Prodromi di una rivista: “Zibaldoni e altre meraviglie”. Lettere di Gianluca Virgilio a Enrico De Vivo

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Endenna, 21 maggio 2001

Caro Enrico,    

so bene che quanto ti  ho scritto a proposito della rivista ti è sembrato un po’ azzardato e estemporaneo, e forse in realtà lo è. Tuttavia voglio provare a ragionare con te su alcune cose che mi frullano per la testa in questi ultimi tempi, e che sono all’origine di questa mia sortita.

I) Ho l’impressione che la nostra volontà di esprimerci sia grande, tanto da assumere l’aspetto di una forte necessità; questo non basta, tu dirai, perché la volontà è ancora un conato, e nient’altro. Ma vi è qualcosa di più, che mi spinge a  proporti la fondazione di una rivista, e cioè:

2) non ti pare che il nostro lavoro abbia un denominatore comune nella ricerca di storie o di forme più o meno marginali di scrittura, passate o destinate a passare sotto silenzio, mai prima catalogate e che richiedono un intervento di recupero, o addirittura di essere portate alla luce? Ecco,  questa potrebbe essere la linea della rivista, cioè la proposta dei materiali che stiamo accumulando nelle nostre ricerche, sistemati o semplicemente interpretati da noi. Una rivista che propone storie minori, “impensate” stavo per dire, e l’ho detto, e che noi per la prima volta raccogliamo, pensiamo e proponiamo. Noi e non solo noi. Infatti,

3) ho notato che questa nostra ricerca è propria anche di altri. La  Fumagalli, onestissima collega mia e di Ornella, raccoglie le cosiddette leggende metropolitane. Ne hai sentito mai parlare? Anche lei raccoglie, dunque. E chissà quanti altri, che potremmo coinvolgere nella nostra rivista, sempre che,  naturalmente,  lavorino in questo senso e con questi intendimenti. Il senso del mio riferimento alla Fumagalli è appunto questo: noi due possiamo individuare, a partire dalle nostre conoscenze, gli studiosi che operano come noi, la cui ricerca è assimilabile alla nostra.

4) Naturalmente la rivista per il momento dovrebbe essere solo virtuale. I costi non li conosco, non ne ho neppure la più pallida idea. Tuttavia ci si può informare. Inoltre, si tratta di riflettere un po’ insieme sulle nostre forze, non pecuniarie, che quelle, si sa, sono poche, ma intellettuali. Su quali e quanti materiali possiamo contare? Non si parte, secondo me, se non c’è materiale sufficiente per un anno. Una cosa campata di aria, che duri  un sol numero e due, non mi interessa.

5) Non solo storie, tuttavia. Chiarito che lo zoccolo duro della rivista devono essere le suddette storie,  si può ragionare su una struttura più ampia della rivista: poesia, racconti, critica, ma senza eccedere.

Conclusione: io lo so che sto sragionando, e che senza mezzi non si va da nessuna parte. E tuttavia,  chi te lo dice  che, se noi riusciamo a programmare qualcosa di serio, qualche editore non ci soccorra? Nel nostro caso, è giocoforza rovesciare il detto catoniano e dire: verba tene, res sequentur.

Insomma, questa è la mia idea. Non credo che sia prematura, e se lo è, lo è perché va ancora pensata a fondo. A te la parola.

Una stretta di mano e un abbraccio

Gianluca

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                                2

Endenna 24 maggio 2001

Caro Enrico,  

per fortuna la “metamorfosi dell’impensato” s’è insinuata anche nella tua lettera. Infatti, leggendo la tua risposta, mentre sulle prime ho tratto l’impressione che già stessi per rifiutare la mia proposta, poi ho capito che invece ti andava di discuterla; e di questo sono contento.

Anch’io sarò schematico, non per fretta, ma per chiarire meglio a me stesso e a te quanto voglio dire.

1) In questa fase della nostra vita, come ti dicevo, mi sembra necessario fare il punto della situazione, non solo in senso soggettivo, ma proprio nel senso ampio del termine, cioè spingendoci verso il limite letterario possibile in questo momento. Mi spiego: che cosa oggi si può dire, che non sia cestinabile domani? E che cosa abbiamo noi fatto finora che valga la pena di salvare dal cassetto o addirittura dal cestino della puttumiera? Quale proposta noi facciamo al nostro potenziale lettore?

Dico noi, e intendo non solo noi due, ma un’intera  generazione che, secondo me, aspetta il momento buono di coagularsi intorno ad un progetto comune.

Io non ho molti amici, caro Enrico, anzi diciamo pure che non ne ho alcuno, da coinvolgere in questa iniziativa (forse la Fumagalli è l’unica che mi dà qualche attestato di serietà). Tuttavia sono convinto che uscire allo scoperto nel modo che ti ho proposto, significa innescare un processo aggregativo che potrebbe diventare veramente significativo. Per iniziare, quattro o cinque persone potrebbero bastare. Se l’idea funziona, la rivista sarà come il miele per le api. Verranno i lettori e verranno i collaboratori.

2) Il punto fondamentale che tu tocchi nella tua lettera è quello della linea della rivista. Allora, intendiamoci. Io non sottilizzerei ulteriormente sulla differenza tra cultura bassa e cultura alta, che m’importa poco. Personalmente ritengo che qualunque lavoro che aggiunga un’idea in più al nostro cervello, sia un lavoro valido. L’oggetto non m’importa. Mi chiedi “specificazioni ulteriori”. Eccole. Non esiste, secondo me, un tipo particolare di storie che dovremmo ricercare. Ognuno segue la sua strada, e ci si incontra solo perché si è camminato a lungo per sentieri distinti che alla fine hanno portato da qualche parte. La  rivista è lì, in quel luogo,  dove il cammino ha condotto. Se qualcuno riesce a farmi capire il senso della sua raccolta di quarte di copertina, ben venga, sarò felice di apprendere che anche così ci si può esprimere, e avrò imparato una cosa in più. Non ho pregiudizi di sorta. Ho usato l’aggettivo “marginali”: intendevo solo riferirmi a quanto non occupa il centro della scena letteraria (i romanzi prefabbricati, alla Baudolino, per esempio), a quanto non è immediatamente visibile, all’”impensato”, se vuoi. E quando aggiungevo il riferimento ai racconti “passati o destinati a passare sotto silenzio”, non pensavo a nessun tipo di censura, bensì al fatto che il destino di certe storie è appunto quello di essere scritte o raccontate senza che nessuno ci rifletta su. Non è così che rimangono “impensate”? D’accordo con te, allora, che non si tratta di definire “il tipo” di storia. Tutte vanno bene. E d’accordo con te sul fatto che il nostro intervento debba consistere soprattutto nel “pensare”, cioè nel riflettere e interpretare, le suddette storie.

3) Da tutto questo deriva che la più gran parte della rivista dovrebbe essere destinata alle “storie degli altri”, cioè a quelle che noi ricerchiamo, e solo in misura minore alle “nostre” storie. Mi spiego: se è vero quello che dice Giulia,  che io non faccio che “copiare” storie altrui, ne discende che sono quelle storie ad avere il primato, non le mie poesie o i miei racconti. Lo spazio che a questi ultimi dobbiamo assegnare deve essere poco. E questo vale anche per la critica. Ti pare una linea “restrittiva”? A me pare una linea riconoscibile. Questo non vuol dire non dare spazio a chi vuol dire la sua in modo libero. La garanzia deve essere la serietà della cosa, e pegno la bontà del prodotto, certificata da quanto dicevo prima: un’idea nuova, che ci faccia crescere intellettualmente. Queste sono le due uniche restrizioni a cui io penso. Non so se sei d’accordo: in tal caso, prepariamoci ad avere più nemici che amici.

4) Ancora sulla linea della rivista. A me pare, inoltre, che la rivista debba esprimere un’idea forte e precisa di letteratura. Che cosa è per noi la letteratura? La risposta non è semplice, e io non dico che dobbiamo partire, imponendo una definizione più o meno condivisibile, che lascia il tempo che trova. Dico, invece, che la rivista dovrà contenere in ogni numero, come nel suo codice genetico, questa domanda, cui ciascuno potrà dare una risposta di volta in volta diversa. Insomma, una rivista che si interroghi e che interroghi sul fatto letterario, stimolando nuovi apporti. Che ne sai tu di quel che può accadere?

5) Necessario appare, dunque, dotare la rivista, sin dal numero zero, di un piano programmatico, dal quale, a mio  avviso, il  lettore deduca  alcune cose fondamentali:

a) Chi scrive sulla rivista. Qui noi possiamo anche presentare la rivista come un prodotto generazionale,  di coloro che sono nati intorno al fatidico ‘63, motivando la rivista anche con ragioni soggettive (lato sensu),   come per esempio la necessità di esprimere un certo modo di fare letteratura. I quarantenni dell’anno 2001 ne hanno fatte di guerre, e sin da ragazzini: il terrorismo, il rampantismo, il buonismo, ora il berlusconismo. Qualcuno di noi dovrà decidersi a tracciare la storia di questa nostra generazione,  che ne ha viste di belle, di cotte e di crude. Fare questa storia significa anche capire, e far capire chi è che ora prende la parola per dire la sua.

b) Una rivista che si rispetti ha bisogno di nemici. Quali sono i nostri nemici? Io li individuo negli scrittori che amano i prefabbricati, le scatole chiuse, le scatole cinesi, gli scrittori che aprono scuole di scrittura, credendo di salvare il mondo, eccetera. Questa dimensione polemica, secondo me, è necessaria, imprescindibile, perché solo per antitesi si stabilisce meglio una tesi, intorno alla quale articolare un certo discorso e ricercare il consenso e la partecipazione attiva di chi vuol condividere il progetto.

c) I contenuti. Il lettore che per la prima volta prende in mano la rivista deve sapere quello che trova e che troverà. Il discorso sulle “storie altrui”, secondo me, deve suonare come una dichiarazione programmatica fondamentale, perché chi legge capisca che noi non vogliamo profonderci in tirate poetiche o prosastiche, che non interessano nessuno, se non chi le scrive. Noi, al contrario, diciamo chiaramente che è nostra intenzione di ritirarci dietro le quinte, con molta umiltà. Dinanzi al profluvio di presenzialismi,  di egocentrismi, di performance logorroiche, una simile dichiarazione non potrà che essere ben accolta, ed inviterà alla lettura anche il lettore più maldisposto. Sulla maldisposizione del lettore contemporaneo, credo non ci siano dubbi. Si è così stufi, che  oggi non si legge più, si sfoglia soltanto.

d) Chi è il nostro destinatario? Chiunque abbia ancora nostalgia di una storia, chi vuol prestare i suoi occhi alla pagina scritta per farsi raccontare una storia mai prima ascoltata, oppure ascoltata, ma mai considerata: il lettore inconsapevole, che per un istante, riflettendo, diviene consapevole, e prova piacere a rimanere in questo stato, a reiterare questa riflessione, perché capisce di essere stato fin qui solo ingannato dalla menzogna letteraria imperante. Il nostro lettore sarà il lettore comune, e la nostra funzione consisterà nel farlo reagire mettendolo a contatto con una storia. Non è questo il fine ultimo del nostro metodo fondato sulla “raccolta differenziata”?

Cos’altro potrei dire. Nulla per ora, perché voglio sapere se sei d’accordo su quanto sto scrivendo. Se ho eluso involontariamente qualche argomento, non hai che da dirmelo, e provvederò subito. È bene chiarirci a fondo le idee, prima di mettere sul tavolo i nostri contributi alla rivista. E poi hai ragione tu: non importa se questo progetto andrà in porto, quel che vale è che se ne parli, e che si individuino i nuclei del nostro pensiero; poi, come dice l’adagio, se son rose, fioriranno…

Caro Enrico, fammi una cortesia: rimandami l’ultimo allegato che, manovrando io maldestramente con il computer, ho perso.

Una pedata e un abbraccio

Gianluca

3                        

Endenna, 27 maggio 2001

Caro Enrico,   

innanzitutto, sgombriamo il campo da possibili fraintendimenti ed equivoci:

  1. Io non voglio coinvolgere un’intera generazione nel progetto della rivista. E tuttavia, chi ti impedisce di pensare che la rivista si renda necessaria proprio perché noi apparteniamo ad una generazione, che ora ha un’età in cui, con  cognizione di causa, essendo la nostra un’età matura,  può “dire la sua”? E preciso: “dire la mia” significa appunto raccontare: “Stretta la foglia, larga la via,  dite la vostra che io ho detto la mia”? Ricorda che il nostro progetto è letterario, non storico o politico, eccetera. E, dunque, da questo punto di vista devi considerare le mie affermazioni. Del resto, anch’io non mi sento, né sono, per fortuna, un soggetto storico, né ho voglia di fare della mia generazione un mito. Ma mi permetterai almeno, nel momento in cui sto pensando a una rivista e alla sua necessità (?), ch’io speculi un po’ sul senso della cosa. Rimane, se vuoi, un mio particolare bisogno, quello di guardarmi alle spalle, il che non implica nostalgia o altro, ma solo aggiunge un elemento di giudizio in più a quelli (pochi) in mio possesso.

Dall’affermazione precedente (e cioè: “Ricorda sempre che il nostro progetto è letterario, non storico o politico, eccetera”) deriva che, pur essendo io un bertinottiano, non mi sogno neppure di dar battaglia, come a nemici, a chi attualmente prostituisce le lettere. Giusta la tua definizione: “il discorso sul nemico deve essere il limite, non l’argomento”;  anche se, aggiungo, qualche polemica ben definita e argomentata potrebbe solo giovare.

  • Io credo che sulle “storie altrui” (da cui dovrebbe derivare il titolo della rivista) ci siamo già perfettamente intesi. Che senso ha allora la tua tirata sui “sensi di colpa” che dici di non voler provare? Ci mancherebbe altro! È evidente che mi hai frainteso. Allora, come si dice, vengo e mi spiego. Io non penso neppure lontanamente di dare la parola agli altri, con ciò esimendomi dal dire la mia (di nuovo!). Sarei sciocco a voler fondare una  rivista con questo intendimento. Il senso del mio “ritirarsi dietro le quinte”, con umiltà, sta nella linea della rivista, che, mi sembra, giustifica la sua nascita. Nessuna prosopopea, insomma, da letterati sapientoni, ma una seria ricerca delle storie, che entri nel cuore del fatto letterario. Insomma, per la prima volta (credo), il lettore va a leggere storie che non sono frutto solo della “creatività” dello scrittore, ma della sua ricerca di “storie altrui”, appunto: gli scritti dei tuoi ragazzini, le tue note di condotta, e simili, i miei primi incontri, e ora gli aneddoti, le leggende metropolitane raccontate da ragazzi e adulti,  per fare  gli esempi con cui potremmo cominciare. Questo sarebbe il corpo della rivista, come la intendo io, una  rivista come vedi, fatta di “storie altrui”, raccontate da altri, ma raccolte, selezionate, interpretate da noi. Mi sono spiegato? Io non credo che su questo tu non sia d’accordo, perché il senso della tua ricerca va, se ho ben capito, in questa direzione.

Naturalmente, un’altra parte della  rivista potrebbe essere dedicata alla libera creatività degli scrittori: racconti, poesie, eccetera. E qui aggiungo (sgrana gli occhi, e comprendimi bene) che questa sezione dovrà essere attentamente vagliata, perché è quella in cui si rischia molto. C’è il pericolo che, allargando, com’è auspicabile, la cerchia dei collaboratori, noi si venga subissati da valanghe di racconti, poesie e altro. È qui che noi dovremo intervenire in modo impietoso. Tu dirai: ecco il novello Catone, che già si erge a giudice. No, non è questo che volevo dire, anche se le mie parole si prestano all’equivoco. Dobbiamo invece impedire che la rivista diventi un’accozzaglia di materiale, poesie su poesie, racconti su racconti, frutto di una soggettività sfrenata e, per questo, insensata. Le tue parole (“mettere insieme piuttosto gente che legge, che gente che scrive”), io le interpreto anche così. Mi sbaglio?

  • In effetti, il problema, prima o poi, si porrà: chi giudicherà chi? Il programma di cui ti parlavo serve già da ora a disciplinare le modalità dei nostri interventi, oltre che a dare un’identità ad un progetto che altrimenti rischierebbe di rimanere anonimo e preda del primo venuto. Se le idee sono chiare sin dal principio, poi tutto scorrerà senza intoppi; altrimenti, presto inizieranno i guai. Io prevedo una gestione collegiale, fondata sul mutuo consenso, della rivista. Forse questa discussione può portare a un’intesa che faciliterà il  lavoro avvenire.
  • Rivista virtuale o cartacea? Per ora non escluderei nessuna delle due ipotesi. Domanda: saresti in grado di fare un preventivo dei costi (grosso modo, per ogni  pubblicazione), considerando l’una e l’altra ipotesi? Inoltre, credo che un’ipotesi non escluda l’altra. Soprattutto all’inizio, converrà anche stamparla in un numero limitato di copie (un centinaio?) da inviare alle persone di nostra conoscenza, non credi? E la periodicità, bimestrale ti va  bene?
  • Proviamo a scendere nel concreto. Per quanto riguarda la parte relativa alle “storie altrui”, già ci siamo, l’elenco l’ho fatto prima (vedi punto 2). Aggiungerei soltanto, per quanto mi riguarda, una sezione dedicata alla citazione. Mi spiego. Su ogni numero, possiamo far comparire una o più citazioni,  il cui senso rientri nella linea della rivista. Intendo citazioni di “uomini più o meno illustri”, che hanno detto qualcosa su cui possiamo esercitare la riflessione. Sta a noi decidere se questa riflessione vogliamo esercitarla per iscritto, a mo’ di commento, oppure no. Cosa ne pensi? I tuoi pensieri su Benjamin mi inducono già da ora a credere che sarai d’accordo. Per quanto riguarda la parte “creativa”, abbiamo già un buon numero di tuoi racconti (a proposito, complimenti, noto con piacere  che sei in una fase di grande creatività), i tuoi scritti estravaganti (consentimi la definizione): quello sul congresso di Bologna, il tuo dialogo con l’amico architetto, eccetera. Io potrei contribuire con qualche racconto, poesia, o anche con qualche piccolo intervento critico. Poi, da cosa nasce cosa, magari la rivista può essere uno sprone a lavorare di più e meglio. Si vedrà.
  • Noi stiamo qui a discutere su una rivista da fondare, e tu l’hai già fondata. Ho ricevuto ieri l’altro due numeri di Per Aria. Benissimo! Per iniziare, potremmo pensare ad una cosa del genere, fatta in casa (almeno credo), anche se potenziata nelle dimensioni e a più voci. Sbaglio, o questa rivista la stampi al  computer?
  • Vuoi interpellare Celati. Ben venga: sarà il nostro patronus. Ti trascrivo il brano  che mi hai  richiesto: “L’unico rimpianto che aveva Da Ponte era di non aver scritto il suo poema pastorale in versi, perché allora sarebbe stato un vero poema, mentre a scriverlo così come gli veniva era andata a finire che tutte quelle pagine gli sembravano della carta straccia da buttar via. Erano come gli orbitamenti nella valletta, con tutti quegli urli e spasimi di notte e pensieri da pazzi di giorno, che non si capiva a cosa fossero serviti,  tranne forse trovando qualcuno che facesse un riassunto per dire che anche quelle erano cose successe nell’universo infinito” (p. 80). Ti raccomando: voglio leggere un bel commento a queste parole.

A proposito: sono riuscito a procurarmi tramite il prestito interbibliotecario il libro in cui c’è l’intervista concessa da Celati sulla novella. Grazie per il suggerimento. Se puoi essere più preciso per quanto riguarda la prima pubblicazione di Notizie ai naviganti, te ne sarei grato.

  • Interpellato mio padre sul destino dei registri di classe, mi ha risposto che “forse” vengono conservati negli archivi dei provveditorati.

Cos’altro dire: non lo so proprio. Io penso che di carne al fuoco ce ne sia in abbondanza. In più faccio un pensiero, per quello che vale: un’estate potrebbe bastare per preparare un’uscita bimestrale di almeno un anno, a cominciare da settembre-ottobre 2001. Che cosa ne pensi?

Se ho dimenticato di scrivere qualcosa,  fammelo notare. Saluti ai tuoi cari.

Gianluca

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4

                       Endenna, 3 giugno 2001

Caro Enrico,     

Il titolo non mi piace. “Repertori moderni” è titolo arido, statico, poco fantasioso, non evoca nulla, se non il grigiore di una biblioteca (repertori) appena illuminato da una logora finestra (moderni). Dobbiamo pensare un titolo barocco, lussureggiante, fantasioso,  dinamico, evocativo. Mi viene in mente “Altri Zibaldoni” oppure “Zibaldoni moderni”, oppure ancora “Brogliacci e Scartafacci”, o “Scartafacci e Zibaldoni”; ecco, quest’ultimo mi piace proprio, se fossi un lettore mi procurerei subito una rivista dal titolo così accattivante. Magari il sottotitolo potrebbe contenere notizie più precise come quelle che tu proponi: “Raccolte, riassunti, volgarizzamenti, repertori, citazioni, racconti…”.

A proposito, non ho mai letto il “Giambattista  Basile”. Puoi dirmi come posso fare a procurarmelo?

Questa lettera ho intenzione di inviartela via posta, così  ti giunge pulita pulita. Devi avere pazienza, non sono un esperto di computer e attualmente non ho neppure il tempo per migliorarmi (sta per iniziare il corso delle quaranta ore, cui si aggiungono gli adempimenti di fine anno scolastico).

Una cosa, per cominciare: è perfettamente inutile che tu faccia con me l’incompreso. Io ho capito perfettamente qual è la tua idea, e la condivido nell’essenziale, salvo una riserva di ordine formale. Temo cioè che alla fine questi materiali siano troppo grezzi, tanto da divenire indigeribili. Il lettore moderno è come il moderno consumatore: beve latte totalmente scremato, e se tu gli porgi una tazza di latte appena munto, dice che puzza di mucca. Allora, hai steso un bell’elenco, da  cui  traggo alcuni punti: riassunto, citazione, lunario,  florilegio,  catalogo,  dizionario.  La domanda è: come faremo a coordinare tutte queste cose? Quale progetto di  fondo esse sottintendono? Ecco quello che  dovremmo provare a mettere per iscritto, prima  di estendere agli altri la proposta. Appena avrò un po’ di tempo libero, ti annuncio che mi proverò a scrivere un editoriale (cioè una giustificazione della rivista, e una sorta di  programma) che poi ti manderò con la preghiera che tu lo corregga e lo integri; naturalmente, se vorrai, potrai bocciarlo. Inoltre, ti invito a fare altrettanto. Confrontando i due programmi alla fine potremo stabilire se un lavoro comune è possibile, e in che termini.

Per la suddetta ragione non sto ancora aprendo la discussione alla Fumagalli, cui ho fatto solo un accenno del progetto-rivista. Non ho voluto approfondire il discorso, e non lo approfondirò finché noi non avremo le idee chiare e distinte. Tuttavia, ti mando un suo articolo in cui riassume il senso della ricerca sulle leggende contemporanee. Non so perché, ma sono convinto che nel suo cassetto giacciano storie interessanti. Vedremo.

Sull’idea di coinvolgere tutti i personaggi che nomini, ho poco da dire, se non che mi sentirei millesimo tra cotanto senno. Non so se avranno tempo, voglia e materiale per  quel che vogliamo fare. In ogni caso, io propongo di pazientare un po’. Del resto, come te,  anch’io non ho fretta.

Ti invio inoltre una quindicina di aneddoti che ho trascritto. Manca ancora una lavoro teorico che li incornici; per ora ci sto pensando e sto prendendo qualche appunto. Verranno tempi migliori. Comunque, ti farai un’idea dei racconti che vado estrapolando dai testi più vari. Dammene, se puoi, un parere.

Ti auguro di concludere bene questo anno scolastico.

Gianluca

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5

                      Endenna, 13 giugno 2001

Caro Enrico,              

eccoti, come promesso,  una lettera di invito ai narratori italiani. Io so già che essa ha un che di ingenuo, ma te la mando lo stesso, proprio perché tu intervenga con le tue censure per migliorarla, emendarla o addirittura cassarla, se vorrai. Leggila  come una bozza tutta da discutere. Se vuoi, cioè se decidi che grosso modo va bene, rimandamela riveduta e corretta. Altrimenti, cestinala, e che non se ne parli più.

Da parte mia, continuo a credere che il progetto ci sia, cioè ci sia l’idea essenziale che, come tu dici, determina il nostro “posizionamento”. Non ci è possibile fare ricerche di mercato, non ne abbiamo la forza, ma siamo, credo, in grado di dire la nostra sulle lettere contemporanee. E questo potrebbe bastarci. A me così pare. E credo anche che  – e qui devi scusare la mia brutalità – ogni ulteriore dibattito “per metterci d’accordo” sia in buona sostanza inutile. Noi siamo già d’accordo! Ora bisogna “fare”. E questo “fare” presuppone solo un’altra cosa, che in un lavoro collettivo non va mai perduta di vista. Detto in breve, dobbiamo cercare entrambi di non appiattirci sulle nostre posizioni, sulla specificità, individualità, particolarità delle nostre posizioni. È evidente che ognuno di noi le conserverà, ed è bene che sia così. E tuttavia un progetto collettivo non può non prevedere un pizzico di generalismo (tu dicevi che il mio progetto di rivista è generalista), il che non vuol dire che io ricerchi il generico, l’indifferenziato. La “linea” è quella della rivista-zibaldone, non mero contenitore, ma aggregato di storie, aneddoti, citazioni, eccetera,  come sarà segnalato nel sottotitolo. Che ne pensi del titolo “Zibaldoni d’autore” oppure “Zibaldoni moderni”? A me  piacciono entrambi. Forse il secondo di più; del resto questo secondo titolo sarebbe il frutto di un accordo tra noi due, poiché io ci avrei messo il nome e tu l’aggettivo (dall’originario “Repertori moderni”).

Alla Fumagalli – te l’ho già detto – non gliene parlo, finché l’idea non sarà matura. Non coinvolgerò altre persone prima di aver raggiunto un accordo pieno con te. Solo allora parlerò alla Fumagalli; ma a quel punto potremo rivolgere l’invito anche ad altri. Convengo che l’articolo della Fumagalli che ti ho mandato non fa al caso nostro. Ma te l’ho mandato solo per darti un’idea del suo lavoro, per dirti, insomma, che esso è scientificamente fondato; quello che le chiederò è ben altro, e cioè le storie che va raccogliendo armata di microfono e di registratore (e poi trascrive).

Vengo allora alla proposta. Per iniziare, potremmo preparare – dico noi due, ma sei d’accordo io interesserei la Fumagalli e tu chi vorrai – un paio di numeri di rivista da inviare insieme alla lettera di invito, al fine di dare un’idea ai destinatari della lettera del lavorio che intendiamo fare, mostrando ciò che in realtà non è mero proposito, ma cosa già fatta, e che attende solo ulteriori contributi. Lo so bene che noi due da soli facciamo poca strada. Ma se tu ci stai, potremmo almeno partire. Se il progetto vale, e riusciamo a produrre qualcosa di valido, sono convinto che non incontreremo difficoltà a trovare il consenso di altri scrittori. A quel punto, potremo “ingaggiare” un editore, e, da cosa nasce cosa, potremo ingrandirci. Sto fantasticando? Non credo. Ma tu, ci credi?

                                                           Gianluca

 P. S. Anche stavolta farò un allegato (la lettera di invito). Spero mi riesca bene. Dammi un cenno.

Lettera aperta ai narratori italiani

Gentile narratore italiano,

noi ancora pensiamo che tu sia riuscito, dissimulando la tua presenza tra le pieghe del mondo moderno, a salvaguardare il tuo ruolo. Non che tu ti nasconda, perché la natura di homo narrans ti porta a venire allo scoperto in mille occasioni; il fatto è che spesso le interferenze e i disturbi comunicativi si sovrappongono alla tua voce, che rischia di non essere più udita. Del resto, il lettore non se la passa poi molto meglio. Questi disturbi lo riguardano personalmente. E noi, dunque, parlando a te, parleremo di lui, naturalmente. Ecco quello che dobbiamo dirti. Questo: che nel panorama delle nostre lettere italiane manca una rivista che sia destinata esclusivamente a contenere le voci dell’homo narrans contemporaneo: storie, aneddoti, letture, citazioni, riassunti, florilegi di racconti, brogliacci di narrazioni,  almanacchi dell’impensato, cose finite e indefinite, ma che siano la voce di chi intende narrare, o riferirle, e null’altro. Noi crediamo fermamente che il narrare debba essere ricondotto nella sua dimensione originaria, ludica e sapienziale, di diletto dell’animo e di ricerca della conoscenza, e che lo scrittore animato da qualche altro intento solo disturbi (interferisca con) il fatto letterario.

Abbiamo pensato al titolo “Zibaldoni moderni”, con esplicito riferimento a Leopardi che per primo ha sperimentato questa forma aperta di scrittura, perché immaginiamo che ogni narratore abbia nel proprio cassetto uno zibaldone, che aggiorna e va scrivendo nel tempo, per i posteri.  Ci siamo detti: e se proponessimo a codesti scrittori di rendere pubblica la loro opera in progress, i loro scartafacci, i loro tentativi, i pensieri, gli appunti, le citazioni, le annotazioni diaristiche, i deliri, i sogni, eccetera, non faremmo forse opera proba. Un narratore, anche quando annota il pensiero d’uno scrittore o prende appunti, non scrive mai per sé, ma per un lettore che prima o poi  verrà, o è già venuto, e nessuno se ne era accorto.

Sia chiaro: non vogliamo certo riempire la rivista d’un’accozzaglia di tentativi mancati, di aborti letterari, bensì ci affascina il non finito, il latte per nulla scremato, il genere non canonico, il pensiero grezzo e impensato, che improvvisamente è in grado di sconvolgere l’assetto della nostra sensibilità, e la conoscenza, senza chiederci null’altro che una totale disposizione all’ascolto.

“Zibaldoni moderni”, dunque. A differenza dello Zibaldone di Leopardi, ma seguendo la sua traccia, questa rivista-zibaldone sarà un’opera collettiva, in cui le voci, pur mantenendo la loro titolarità, dovranno mescolarsi, perché dall’amalgama emerga in tutta la sua varietà la fisionomia dell’homo narrans contemporaneo. Che cosa va appuntando nel suo zibaldone Tizio, e che cosa Caio, e che cosa Sempronio?  Non che il lettore smanii per saperlo, forse non ci pensa neppure; ma proprio questa è la curiosità che vogliamo suscitare e a cui vorremmo corrispondere con la rivista-zibaldone.

Queste diversi voci costituiranno la “linea” della rivista, il nesso interno che legherà gli zibaldoni d’autore. Va da sé che il progetto potrà realizzarsi solo se ad esso risponderà positivamente il narratore italiano, solo se questi vorrà per una volta abbandonare la propria astrattezza, la propria politezza, e uscendo dalla perfezione del suo mondo letterario, vorrà confrontarsi con gli altri scrittori su una questione cruciale: come (in quali modi differenti) si parla al lettore? Non si tratta solo di tecnica letteraria, bensì di sondare qual sia oggi il rapporto tra scrittore e lettore. La domanda è: perché il lettore dovrebbe leggere quello che tu scrivi? Una rivista di questo genere sarà allora anche un banco di prova per tutti coloro che raccontano una storia, o semplicemente ne riferiscono una già ascoltata.

“Zibaldoni moderni”, dunque: questo il titolo ambizioso della rivista, questa la “linea” che intendiamo seguire, e che proponiamo come traccia di lavoro ai narratori italiani, invitandoti a contribuire al buon esito dell’impresa.

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6

                              Endenna, 15 giugno 2001

Caro Enrico,  

finalmente ti vedo un po’ più costruttivo! Anzi, devo dire che il tuo ottimismo mi sembra un po’ esagerato. La tua lettera sottintende una concezione dell’uomo in generale, e quindi anche dell’homo narrans, più che positiva. Andiamoci piano, amico mio, andiamoci piano!

Tu proponi di far circolare la lettera aperta tra gli scrittori italiani, almeno tra quelli che sono da noi raggiungibili. Fin qui, non ho nulla da eccepire. Ma considera nel concreto la proposta che facciamo, e considera i mezzi di cui disponiamo. Noi abbiamo solo un’idea, e nessun mezzo. Ora, mi vuoi spiegare per quale ragione i suddetti scrittori dovrebbero dare a noi “nullatenenti” i loro scritti, gli stessi che invece una rivista già bell’e pubblicata pagherebbe loro fior di quattrini? Insomma, qualunque progetto non sostenuto da un minimo di mezzi è destinato a rimanere  virtuale, o per lo meno a farci fare la figura dei velleitari. Insomma, non siamo più adolescenti! Questa è la ragione per cui ora tocca a me fare la parte del diavolo (finora l’hai fatta tu). Il mio progetto mirava proprio a superare questo velleitarismo o, se vuoi, l’impressione di velleitarismo che inevitabilmente daremmo. Lo riassumo: propongo di iniziare con una rivista fatta in casa, sul tipo di “Per Aria”, ma più ricca di pagine e a più voci; una rivista su cui comparirebbero scritti nostri e di tutti coloro che sono personalmente raggiungibili da noi due. Le spese sarebbero limitate e sopportabili (da noi due), e intanto noi avremmo in mano qualcosa (non il nulla) da inviare a tutti coloro a cui vorremo chiedere la collaborazione, e che attualmente non sono da noi raggiungibili personalmente. In un secondo momento, se la cosa va bene, cioè se le adesioni sono numerose e qualificate, il progetto potrebbe essere presentato a qualche editore, che, se interessato, si accollerebbe i costi.

Caro amico, è un problema di strategia e di tattica, allo stesso tempo. Anch’io non voglio fare una  rivista a quattro mani; ma capisco che per realizzare qualcosa di serio bisogna  procedere per gradi, senza partire in quarta;  occorre,  in definitiva, contare sui propri mezzi. Giocare d’azzardo non è il caso, perché al momento del “vedi”, le carte da mostrare ci farebbero perdere.

Allora, prima di ogni altra cosa, qui bisogna decidere: o seguiamo la tua proposta,   fondata sulla pura idea, coi rischi che ti ho paventato, o seguiamo la mia, che all’idea unisce la fattiva realizzazione di un numero O (zero) della rivista. Pensaci, e dimmi il  tuo parere.

Le variazioni-correzioni che hai apportato alla Lettera aperta le condivido in pieno. Per ora, però, non aggiungerò nient’altro, perché conviene prima risolvere questo problema. D’accordo anche sull’idea della rete che deve girare intorno a “Zibaldoni moderni”: essa è necessaria alla vita della rivista.

Ti saluto col solito abbraccio e la solita pedata.

Gianluca

***

7

                          Endenna, 16 giugno 2001

Caro Enrico,     

 vediamo allora di riprendere il discorso, facendo il punto della situazione. Forse è il momento di prendere i primi contatti. Leggo che tu puoi contattare direttamente e personalmente Celati, Arminio, Faeti, Brindisi e Perrella. Bene, mi sembra un buon inizio. Per parte mia, contatterò al più presto la Fumagalli. Le spiegherò il senso della nostra operazione, invitandola, se è d’accordo, a darmi i suoi contributi. Inoltre, comincio a preparare le mie carte. Alla fine dell’estate di sicuro te le farò avere. Sono ancora del parere che un gruppo di quattro-cinque persone che abbiano voglia di fare e un po’ di materiale raccolto, possano cominciare il lavoro. Giusto per orientarmi nel tempo, io mi darei queste scadenze. Primi contatti con i suddetti, subito. Richiesta di materiali, prima della fine dell’estate. Nel frattempo potremmo allargare la rete, cercando nuovi contatti e nuove adesioni attraverso l’appoggio dei suddetti; quindi, procedendo a spirale, ottenere altri materiali, da utilizzare in prosieguo di tempo. Direi che il numero zero della rivista potrebbe essere pronto per Natale 2001.  Per partire poi in pianta stabile nel 2002.  Che ne pensi?

Il procedimento di composizione della rivista potrebbe seguire queste fasi:

  1. raccolta del materiale per generi (per es. una cartella di citazioni, una di aneddoti, una di leggende metropolitane, di letture, di riassunti, eccetera). Ognuno di noi dovrebbe avere una copia di tutto il materiale diviso in cartelle, pronto per essere amalgamato nelle varie sezioni della rivista.
  2. Questa fase è quella più delicata, perché si tratta di dare una impostazione valida alle singole parti della rivista. Vedo con piacere che tu hai già in mente delle rubriche dai nomi alquanto fantasiosi. Mi sta bene. Io non sono ancora giunto a questa fase di elaborazione,  perché me la riservo per il momento in cui avrò sotto mano  tutto o buona parte del materiale. La composizione della rivista potrebbe essere il frutto della discussione su ciò che conviene o non conviene mettere assieme, e questa discussione potrebbe avvenire attraverso Internet. Naturalmente non escludo  la fattiva collaborazione, in queste due fasi,  di altre persone. Ma credo che questo compito spetti a noi.

Ora vorrei chiederti alcune cose. In primo luogo, vorrei che mi parlassi dell’editore angrese. In secondo luogo,  dimmi un po’: che ne facciamo della Lettera aperta al narratore italiano? Non credo che sia utilizzabile per i contatti personali. Insomma, dimmi se devo inserire gli emendamenti che hai proposto nelle lettera del 14  giugno.

Inoltre – non ti meravigliare -, io non ho il desiderio – come tu dici – di contattare nessuno scrittore. Certo, per uno che cerca di fondare una rivista sembrerebbe una cosa scandalosa, ma io non credo che lo sia più di tanto. Nel panorama delle lettere contemporanee vedo solo approssimazione, improvvisazione,  esibizione, eccetera; il che non toglie che questo sia un mio limite,  poiché probabilmente non so guardare bene e a fondo nelle pieghe della letteratura contemporanea.  In ogni caso, sono convinto che quanto ci proponiamo di fare sia veramente originale, e che ci potrebbero definire ingenui solo perché con la nostra proposta usciamo fuori degli schemi, portiamo in pubblico la solitudine dei nostri studi. Ma da null’altro possono nascere gli “Zibaldoni moderni”  che da questa  solitudine,  che nella rivista troverà soluzione e risposte. Caro amico, io non ho nessuna fisima di pubblicare alcunché; se avessi voluto farlo, per il piacere di vedere il mio nome nero su bianco, avrei già sprecato qualche soldo presso un tipografo. Ma non mi importa questo. Come ho già avuto modo di dirti, a me interessa il “fare”, e discuto con te soltanto perché ho compreso che a te importa la stessa cosa.

A presto

Gianluca

***

8

                                          Endenna, 19 giugno 2001

Caro Enrico,         

non so bene fino a quando rimarrò qui a Endenna, ma sta sicuro che ti avvertirò in tempo dei miei spostamenti.  A Galatina disporrò di un portatile di mia sorella, col quale farò il collegamento ad Internet. Naturalmente, anche di questo, e della eventuale nuova e-mail ti terrò al corrente.

E veniamo alle nostre cose. Devo dire che gli scritti di Arminio mi hanno un po’ spiazzato. Il racconto erotico non lo escludo, ma i  due più brevi testi che mi hai inviato non saprei proprio come interpretarli e giustificarne la presenza in una  rivista: mi sembrano acerbi e frutto di improvvisazione. Il terzo testo, l’universo alle undici del mattino,  quello più lungo,  mi pare abbia un respiro maggiore e sia dotato di una più intensa espressività; pertanto, non lo escluderei da ogni considerazione. Anche tu mi sei sembrato – nel tuo dialoghetto – piuttosto perplesso, anche se poi, nella lettera, ti dici pronto ad accogliere tutto nella rivista-zibaldone. Io naturalmente non voglio fare il censore, ma sarà il caso di non accogliere ogni cosa indiscriminatamente.

L’idea della “Oniroteca italiana” mi piace, e potrebbe essere una rubrica della rivista. Magari più in là ti mando qualche mio sogno.

La mia proposta di dividere gli scritti per generi per poi rimescolare il tutto devi prenderla solo come una proposta organizzativa.  A questo proposito, parlavo di cartelle in cui tenere separati i diversi materiali, secondo il genere. La composizione della rivista, la sua strutturazione, diverrebbe più facile. Ma forse questo di cui ti sto parlando risponde solo a un mio modo di ordinare le cose, e quindi ha poca importanza.

Ho fatto le aggiunte alla Lettera aperta al narratore italiano, che ti invio in allegato. Dovrai aggiungere i nostri indirizzi di posta elettronica e anche quelli delle nostre abitazioni. Inoltre, fai le aggiunte che riterrai opportune, e rimandami il tutto, che considereremo questa volta definitivo. Appena avrò ricevuto il testo definitivo, scriverò alla Fumagalli per chiederle le sue cose (non ha ancora una e-mail, ma  dice che si doterà di computer quest’estate).

Anch’io sto procedendo ad una revisione dei miei materiali zibaldoneschi, e sono d’accordo con te quando dici che almeno tutto questo lavoro alla fine sarà  utile almeno alle nostre cose,  che riceveranno una qualche sistemazione. In ogni caso, io sto lavorando, e sono ottimista. Se son rose, fioriranno.

Hai finito gli esami? Saluti a tutti.

Gianluca

***

9

                          Endenna, 23 giugno 2001

Caro Enrico,            

Contrariamente a quanto pensi, io sto lavorando sodo, e te ne darò  la dimostrazione.

Ti allego un file contenente alcuni miei scritti zibaldoniani, riordinati negli ultimi tempi, per darti un’idea  del contributo che intendo dare alla rivista. Su questi scritti lavorerò durante l’estate, limando e ritoccando, togliendo e aggiungendo, come al solito. Solo alla  fine dell’estate farò una copia cartacea ”definitiva” che ti invierò per posta. Per ora, fattene un’idea.

Ho scritto alla Fumagalli,  dicendole di non farsi problemi a scriverti per eventuali chiarimenti, che tu già la conosci perché te ne ho parlato io, e che apprezzi molto la sua opera, eccetera. Vedremo. Tu, intanto,  tienimi informato su  quanto vai facendo, e non essere sibillino (che significa che hai due  editori, uno virtuale e uno reale?). Inoltre, stai provvedendo  a far girare la Lettera aperta?

A proposito di Genova e di zibaldoni: diceva De Sanctis che di sicuro se Giacomino non fosse morto prima, sarebbe stato sulle barricate nel ’48. Noi dovremmo esserci a Genova,  almeno in spirito, non credi?

A presto

Gianluca

***

10

                                       Endenna, 26 giugno 2001

Caro Enrico,         

grazie per le informazioni, che attendevo con ansia. Non ci sono ancora grandi risultati, ma il meccanismo s’è messo in moto, e questo è l’importante. Da Perrella, non c’era da aspettarsi molta collaborazione, e  tanto meno da Belpoliti, che è tutto preso dalle sue cose (sai che anche a me ha detto che “l’idea è bella”?). Insomma, sembra proprio che quando Tizio conquista qualche posizione, sia poi restio a imbarcarsi in imprese incerte. Bisogna metterlo nel conto! Tuttavia, qualcosa è accaduto, e a noi questo deve importare di più: Arminio è con noi (ma suggeriscigli qualche prosa più amena, per favore, almeno per cominciare), la Fumagalli sono certo che non ci deluderà, Felice Blasi sembra felice di imbarcarsi con noi, poi ci sono io, poi ci sei tu: insomma, la rete non ha ancora maglie molto fitte, ma c’è già, non credi? Dovremo essere ragni pazienti, e continuare a tessere, a dispetto di tutti. Vedrai che ce la faremo. Diversamente, sarà stato un magnifico tentativo mancato, ed anche un’occasione di dibattito importante, oltre che un  modo per uscire allo scoperto.

Ho letto Blasi. Devi spiegargli che la scelta dello zibaldone ha senso proprio perché con essa noi non limitiamo nessuno e accogliamo ogni esperienza valida, laddove, invece, la crestomazia presuppone la scelta di ciò che è crestòs, cioè utile. Lungi da noi una cosa del genere. Semmai, puoi dirgli, che lo zibaldone contiene, può contenere, una crestomazia, ma non viceversa. Quindi, ben venga qualunque crestomazia, purché sensata: essa sarà parte della rivista-zibaldone. Del resto, non è così anche nello Zibaldone leopardiano?

La veste tipografica. Questa è da pensare bene. Io farei una cosa molto sobria, del tipo “La Critica” di Croce o “Il giornale storico della letteratura italiana”. Carta buona, ma senza fotografie o disegni o altro, che non siano d’autore, cioè fatti apposta per la nostra rivista. Per il resto, gli scritti devono parlare da sé, senza altri sussidi di immagini. Che cosa ne pensi? È troppo ascetica questa impostazione grafica?

L’idea dell’annuario hai fatto bene ad escluderla. Noi dobbiamo mettercela tutta per una cadenza al massimo trimestrale, perché altrimenti una rivista di intervento letterario come dovrebbe essere la nostra non avrebbe senso. Per intervento letterario intendo dire che noi non vogliamo solo pubblicare le nostre brave cosette, ma proporre un modo di intendere la letteratura, e questo non può che avere un impatto “violento” sulle patrie lettere. Insomma, non saranno solo esercitazioni, le nostre. Che ne pensi?

Ultima cosa: ho scoperto negli ultimi giorni uno scrittore zibaldoniano, Arrigo Cajumi. Ho letto parte del suo Pensieri di un libertino scritti durante il fascismo, e pubblicato subito dopo la caduta del fascismo. Lo conosci? Ti allego un file con alcuni pensieri che ho trascritto. Vedrai che alcuni fanno proprio al caso nostro.

Scartabellando tra i miei file, ho inoltre scoperto un riassunto dell’Adone di Marino da me fatto qualche anno fa. Pensa che faticaccia: tutti e venti i canti riassunti, con citazioni dei versi che mi piacevano di più. Che ne dici? Può servirci? Se mi dici di sì, quest’estate (ma ci siamo già!) li ripiglio in mano e te li mando, come al solito alla fine dell’estate. Ho anche riassunto i primi dieci canti dell’Orlando innamorato di Boiardo. Così un tempo mi dilettavo… Fammi sapere; ma soprattutto tienimi sempre al corrente della nostra rete. Buona pesca!

Gianluca

***

11

                                                        Endenna, 2 luglio 2001

Caro Enrico,         

 come ti preannunciavo, domani parto per Galatina, dove mi tratterrò per dieci-quindici giorni. Se volete farvi una vacanzuccia, cambiare aria, andare al mare, tu e la tua famigliola, potete venire a trovarmi: avreste a disposizione una casa intera, dal momento che i miei genitori e Milena rimangono a Endenna per motivi di salute (di mia madre) almeno fino al venticinque luglio. Amedeo giocherebbe con Sofia e Giulia, noi attenderemmo al progetto della rivista, Silvana e Ornella socializzerebbero e ci preparerebbero dei buoni pranzetti, e poi, ripeto, andremmo tutti al mare a mostrar le chiappe chiare.  Pensateci!

Contrariamente a quanto ti dicevo qualche giorno fa, non disporrò di alcun computer nel mese di luglio, e quindi le comunicazioni  giornaliere saranno interrotte. Tuttavia, tu  continua a trasmettere via e-mail gli scritti che ti perverranno, che io leggerò al mio ritorno a Endenna, e in caso di notizie importanti, non esitare a scrivermi. In fondo, le Poste  funzionano ancora!

Ieri sera ho finito di rivedere i miei Scritti zibaldoniani, che ti invio con un allegato. Mi  piacerebbe ricevere da te delle critiche, anche aspre, per capire se ho scritto cazzate oppure cose che vale la pena di rendere pubbliche. Sai, il  dubbio rimane sempre, se manca il confronto. In particolare, che cosa pensi del pensiero numero 2? È da omettere?

A parte questi dubbi, penso che puoi mandare in giro l’allegato, così vediamo le reazioni, in particolare se l’idea della nostra rivista, conosciuta attraverso alcuni dei suoi possibili materiali, piace oppure no! Io rimango fermo al proposito di preparare tutto per il nuovo anno: quattro numeri di centoventi-centocinquanta pagine ognuno formato “La Critica” o anche “Letteratura” (l’hai mai letta?), prevedendo per il momento la pubblicazione dei nostri scritti. Naturalmente poi faremmo spazio ad altri autori, nel caso si presentassero in corso d’opera. Credo tuttavia che gli autori che hai elencato siano sufficienti a fornire materiale abbondante per l’annata 2002. Non credi? Tu cerca di fartelo inviare entro il termine dell’estate; così avremo tempo per studiarlo, selezionarlo e per dare ad esso una collocazione negli spazi della rivista. Se vuoi saperla tutta, penso ancora che sarebbe auspicabile un numero 0 (zero) da pubblicare a Natale 2001, numero che servirebbe per lanciare l’idea in concreto, e per farci raggiungere nuovi autori. Che ne pensi?

Ultima cosa: tieni conto che controllerò la posta elettronica prima di partire, per l’ultima volta, martedì 3 luglio verso le diciassette, perché poi mi faccio accompagnare a Bergamo per prendere il treno. Un saluto a tutti.

Gianluca

***

12

                            Endenna, 2 luglio 2001, ore 10.15

Caro Enrico,      

era inteso che il numero 0 non doveva uscire solo con i miei e i tuoi scritti. Che senso avrebbe una cosa simile. Ben vengano gli scrittori che hanno aderito alla rivista. Però io dico una cosa, a proposito di questi autori, e cioè che costoro dovrebbero presentare tutti, o quasi, i loro scritti, con i quali intendono collaborare almeno alla prima annata della rivista. Intendimi: noi non possiamo correre il rischio di presentare col numero 0 delle collaborazioni che poi si rivelerebbero estemporanee e, come dire, temporanee. Noi dobbiamo avere, già prima del numero 0, tutto il quadro della situazione, cioè tutto il materiale per l’intero anno 2002. In altri termini, prima di partire, noi dobbiamo pianificare i primi quattro numeri della rivista in tutte le loro parti, salvo poi, in corso d’opera, inserire quegli scritti che ci perverranno dopo l’estate o, al massimo dopo l’autunno, magari a discapito di altri già programmati. Insomma, ti propongo una programmazione elastica dell’intera prima annata di “Zibaldoni moderni”. Questo vuol dire, se sei d’accordo con la mia proposta, che ai collaboratori della rivista noi dobbiamo chiedere non qualche cosa che abbiano scritto negli ultimi tempi oppure qualche racconto scritto per l’occasione, ma un impegno maggiore, cioè tutta una serie di materiali, a partire dai quali a noi sia possibile quella pianificazione annuale di cui sopra. Insomma, se alla fine dell’estate, o al massimo, ripeto, alla fine dell’autunno, noi non disponiamo di almeno seicento–settecento cartelle dattiloscritte dei vari scrittori, è inutile, a mio avviso, avviare la rivista col numero 0, ed è meglio rinviare tutto a  tempi migliori. Non credi?

Quindi deve essere chiara la nostra richiesta a tutti coloro che hanno accettato di imbarcarsi: devono  rimboccarsi le maniche e lavorare sodo. Una collaborazione estemporanea possiamo accettarla da un Celati o da un Belpoliti o da un Perrella,  insomma dai nomi grossi o semigrossi, ma non da un Arminio o da un Borriello o da un Virgilio. Mi sono spiegato?

Mi sta bene aprire il numero 0 con la Lettera al narratore italiano e subito dopo far seguire una cronistoria (potresti intitolarla così) del nostro rapporto epistolare concernente la nascita della rivista. Insomma, col numero 0 spiegheremmo (spiegheresti) come è nata la rivista, attraverso quale dibattito abbiamo maturato l’idea, che cosa ci abbia spinto a tentare quest’impresa, eccetera. Questo inizio mi piace molto. Perciò lavoraci sin da ora, e fammi leggere i risultati, che sicuramente saranno ottimi. Mi piace il tuo modo di scrivere immediato (almeno apparentemente), che dà il senso degli eventi nel loro divenire, del nascere della cosa. Da questo punto di vista tu sei un buon  allievo  di Celati. Ma attento: gli allievi devono superare  i maestri, altrimenti sono fottuti.

Basta, non aggiungo altro. Ma ti prego di considerare bene le cose che ti ho scritto: noi è bene che cominciamo a vivere solo quando, una volta nati, abbiamo una minima speranza di sopravvivenza. Diversamente, è meglio non nascere.

Mi fa piacere che l’invito a Galatina ti sia giunto gradito. Non pensateci troppo: venite e basta. Porta tutto il materiale in tuo possesso: potremmo cominciare a inquadrarlo, e a progettare le soluzioni migliori.

Ma dimmi: per quanto riguarda le possibilità concrete di vedere la nostra rivista stampata, a che punto siamo? Perché, sai, un dubbio mi viene, che, alla  fine, dopo tanto travaglio, la montagna non partorisca un topolino!

A presto

Gianluca

***

13

                              Endenna, 3 luglio 2001 ore 9.15

Caro Enrico,         

prima di partire ti invio la raccolta delle mie poesie. Molte, forse tutte, le conosci già, ma non ordinate in questo modo. Ho scelto il titolo Le notti della medusa (1989-2000), e te le mando in allegato. Tu escludi che qualcuna possa comparire nella nostra rivista?

Un altro autore zibaldoniano: Robert Musil, Diari. Ricordo che l’edizione Einardi è presente nella tua biblioteca. Ricordo male?

Gianluca

***

14

                                                                           Galatina, 3 agosto 2001  

Caro Enrico,

con grande piacere ho letto la corrispondenza che hai ricevuto per “Zibaldoni e altre meraviglie”. Guerrera mi sembra personaggio interessante, sebbene il suo progetto di “una rivista che cammini insieme a una mostra / evento itinerante” sia troppo ambizioso, almeno per il momento. Non dico che l’idea sia da escludere, ma credo che noi ora avremo tanto da fare per mettere insieme la rivista che l’idea di aggiungere la “mostra / evento” mi sembra ecceda le nostre forze. In seguito, quando ci saremo consolidati come redazione della rivista, potremo pensare ad associarvi altri progetti-satellite; ma per ora, direi, proprio no! Questo è quanto penso. Intanto, chiedi a Guerrera che ti mandi tutto il materiale di cui dispone, che metterebbe a disposizione della rivista. La stessa cosa devi chiedere a Borriello, alla Pastura e agli altri. È questo che ci importa, ora, non altro. Sulla lettera di Giordano, non dico nulla, perché le parole non servono, in questo caso; servono i fatti! Ecco, sui fatti, lo giudicherò, non su altro. Ben scritta la tua lettera a Rocco Brindisi, proprio ben scritta. La sottoscrivo interamente. Stiamo attenti a conservare buoni rapporti con questo scrittore, che mi pare sobrio e valido.

Gli scritti di Di Donato mi pare rientrino nello “stravagante” (che giustamente, a mio avviso, Guerrera depreca) e non nell’ ”impensato”, che è quello che a noi interessa.

Complimenti per il tuo Cucù: questo dialogo ti è venuto proprio bene, è fresco e snello e convince. Alla fine, potevi dir male anche di me, me ne sarei sentito lusingato. Che cosa non si fa per la gloria! Potremo pubblicarlo in rivista.

L’implicito rimprovero contenuto in apertura, proprio non me lo merito. Capisco benissimo che tu stai facendo una fatica immane per tenere i fili della corrispondenza con i nostri collaboratori; ma, dimmi, come vuoi che io ti dia una mano? I tuoi contatti sono perlopiù di natura personale, e forse per questo tutti scrivono a te, sebbene il mio indirizzo sia stato reso noto, non è vero? Come si potrebbe fare, allora? In futuro, quando il lavoro sarà avviato, forniremo un unico indirizzo redazionale, e decideremo di volta in volta come ripartire gli incarichi concernenti le pubbliche relazioni. Ma per ora, credo che dovrai avere pazienza: non posso certo rispondere io ad una lettera indirizzata a te!

Per quanto riguarda “Zibaldoni con meraviglie” (ma io direi meglio “Mirabilia e Zibaldoni”), ogni inizio può essere quello buono. Ho letto anch’io l’intervista a Toni Negri sul “Corriere” e la conservo. Io potrei darti un risposta del genere (dimmi se va bene):

“Sarà vanto corporativo, ma credo che la letteratura anticipi sempre molte cose, se non altro perché la vaghezza della parola letteraria ha l’antico potere di prevedere possibili scenari futuri. La fine delle letterature nazionali possiamo farla risalire a De Sanctis che ha dato il canone della letteratura italiana alla fine del lungo processo dell’unità d’Italia. La letteratura nazionale da allora è una delle tante mistificazioni dei letterati ufficiali, buona per le scuole, dove si devono insegnare certe cose; ma è concetto per altri versi inutilizzabile, se non per comprendere come lo stato nazionale agisca da poliziotto anche nel campo della letteratura.”

Ma dimmi, non hai tu letto prima Proust, Joyce, Musil, Borges, prima di Verga, Pirandello e D’Annunzio? e malgrado che questi ultimi tre a scuola ce li abbiano “insegnati”? Le nostre letture, la nostra forza desiderante, per dirla con Negri, non sono state, e non sono ancora, transnazionali, globali? Empire, non so perché sia stato rifiutato da tre editori italiani, ma sta pur certo che un quarto si troverà, e noi tutti potremo leggerlo comodamente in traduzione. E se non si trovasse un editore disposto a pubblicare Toni Negri, il sovversivo? Beh, allora lo leggeremmo in inglese. Non si discorreva forse della fine delle letterature nazionali?

In conclusione, caro Enrico, dal materiale che mi hai mandato deduco che tutto procede bene. Soltanto, bisogna che gli scrittori mandino al più presto i loro scritti.

Tieni duro, ti raccomando!

A presto

Gianluca

***

15

Endenna, 6 settembre 2001

Cara Stefania,

ti ringrazio per lo scritto che mi hai inviato. Lo trovo efficace in ogni sua parte, eccetto che… nella conclusione. In verità, mi sembra che una conclusione, magari sullo stile dell’incipit, manchi, e questo crea degli scompensi. Scusami, se mi permetto di trinciare giudizi sul tuo lavoro, che sai quanto reputo serio, ma credo che, confrontarsi su  queste cose sia utile a tutti. Conosco il contenuto della lettera che ti ha spedito Enrico. Forse è questo che lui vuol dire quando nota che qualcosa non va nella seconda parte del tuo scritto. Rivedi questa parte, se ti va, e  mandami altre tue cose, che mi farà molto piacere leggere. Da parte mia, non appena sarai collegata in rete, sarò  ben  lieto di farti leggere le mie cose, come  anche Enrico. In questo modo saremo esposti alle tue stroncature. Ma sai bene che non si tratta di questo. Perché non provi ad aggiungere una, due paginette conclusive in cui  riprendi il tono autobiografico dell’inizio. Tu sei particolarmente efficace quando concili la ricerca sul campo con la tua esperienza personale. Per esempio, in conclusione, potresti dire che strada hai imboccato nella  tua ricerca, quali risultati hai raggiunto e cosa speri di trovare in futuro, eccetera. Non so se ho reso l’idea di quello che voglio dire:  forse sì,   forse no. Tuttavia, sappi che aspetto tue nuove. Mandami tutte le tue meraviglie zibaldoniane (Zibaldoni e altre meraviglie dovrebbe essere il titolo della rivista).  A presto.

Gianluca

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