Nelle trenta pagine che seguono quelle che abbiamo citato, i paesi in cui risuonava il miscuglio di lingue e dialetti romanzi e greci si stagliano con plastica evidenza davanti agli occhi del lettore. (Manca Soleto a cui, per l’importanza dei suoi monumenti, il De Giorgi dedica un bozzetto a parte). Sono pagine coinvolgenti, di squisita fattura, come spesso riesce a vergare il grande viaggiatore. Il colore del mercato di Martano con la sua mescolanza di tipi umani; la letteratura, le tradizioni, i riti funebri con la presenza delle rèpute, le classiche prefiche – dell’ultima delle quali, martanese, nella sezione Per approfondire Anna Stomeo traccia un indimenticabile ritratto, scavando negli anfratti filosofici e antropologici di un’usanza millenaria – scorrono in pagine di vivacissima sintesi. E poi, ancora, la fine del rito greco, il progressivo ridursi di un’area linguistica che, senza soluzione di continuità, andava da Gallipoli a Otranto, con la presenza di altre piccole isole come quella di Casarano; l’alta densità di abitazioni a corte nei paesi allora profondamente greci; il caratteristico mignanu, un piccolo ballatoio «al quale si ascende per una scala interna, come in molte abitazione di Lecce del XVI secolo» (ivi, p. 359), elemento architettonico che serviva come anello di congiunzione tra la curte familiare e la strada, tra piccolo nucleo parentale e resto della comunità: nulla o quasi nulla manca in queste poche pagine. La ricerca storica e quella svolta in altri ambiti disciplinari ha, com’è naturale, smisuratamente arricchito il bagaglio di conoscenze di cui De Giorgi ci fa partecipi pennellando con tratti impressionistici questi bozzetti. Da questi penso sia però necessario partire, per comprendere questo territorio che si trova “Stin kardìa tu Salentu”, nel cuore del Salento, che prima dell’arrivo dei biondi guerrieri normanni era sostanzialmente tutto greco (e che tale rimase, progressivamente e inesorabilmente riducendosi di estensione sin quasi alla fine del Medioevo), come dimostrano le laure, le cripte, gli insediamenti basiliani ovunque rintracciabili, l’esistenza di scriptoria di testi in greco che poi si sono sparsi in tutta Europa; come dimostra la sopravvivenza di un’area in cui, seppur flebile, si ode ancora l’eco di Bisanzio. La questione dell’origine del grico (o griko, e le due diverse grafie sono oggetto di differenziazione tra gli studiosi, come si potrà notare leggendo gli acuti saggi di carattere linguistico che inseriamo nella seconda parte del volume dedicata agli approfondimenti – rispettivamente di Antonio Romano e di Marcello Aprile-Francesco Giannacchi – e che per importanza di contenuti vanno naturalmente assai ben oltre l’annotazione che faccio rispetto all’uso dell’una o dell’altra grafia) ha a lungo contrapposto diverse scuole di pensiero. Autorevolissimi studiosi la vogliono di derivazione magno-greca, altri, non meno autorevoli, di derivazione bizantina. Titolando questo volume L’eco di Bisanzio non vogliamo prendere posizione su cose di cui non abbiamo la minima competenza. Scegliamo solo un titolo che ci pare abbia una certa suggestione, una forte carica evocativa. Il lettore curioso troverà di questo e altro nel fascinoso saggio della sezione Per approfondire di Paolo Protopapa, che fonde lessico e paesaggio di questa terra. A questo scritto si rimanda. Ma torniamo al De Giorgi e alla sua metafora-similitudine dell’isola etnografica progressivamente ed inesorabilmente erosa. La scuola, certo, e si era alla fine dell’Ottocento. Bisogna aggiungere la radio, la televisione, il cinema alla portata di tutti, il computer, internet, lo smartphone, le migliaia di App… Figuriamoci qual è la situazione oggi. Un libricino edito a cura del CRSEC di Maglie nel 1999 mi aiuterà a chiarire un concetto importante. Scrive Francesco Scala nella prefazione: «La possibilità che la cultura greca ha di sopravvivere, è legata all’azione di tutti coloro che vogliono tradurla in documenti». Gli fa eco nell’introduzione Luigi Chiriatti: «La Grecìa salentina si situa nel territorio salentino come “un’isola” la cui identità è ricostruibile solo per la parlata greca. È difficile trovare altre particolarità che possono differenziare quest’area del Salento, rispetto al suo contesto territoriale e culturale. Va anche da sé che ci troviamo di fronte ad una “parlata” che per una serie di motivi è in via di estinzione. Troppi ritardi e troppe lacune hanno provocato profonde lacerazioni in questa “parlata” non tutelata né dall’interno né dall’esterno. Troppo in ritardo e del tutto velleitari si sono rivelati i tentativi, non naturali ed orali, di salvaguardia della lingua. Ora ci troviamo necessariamente a salvare il salvabile, trasformando questo disastro eco-linguistico-culturale, in qualche cosa di positivo per la gente del Salento in generale e di quella della Grecìa salentina in particolare.» (rispettivamente p. 5 e p. 9 de Canti della Grecìa salentina, Ed. Aramirè). Dunque… dunque, se l’isola etnografica ha resistito all’erosione, se non è stata completamente sommersa dall’innalzamento del livello del mare – per restare nell’immagine del De Giorgi – ciò si deve all’ostinazione di tanti appassionati studiosi, intellettuali, musicisti, piccole case editrici “dedicate” che hanno difeso la memoria e le coordinate culturali dell’enclave greca. Ai tanti, che sulle orme di studiosi come Domenico Palumbo, hanno dedicato una vita “per salvare il salvabile”. Non si nomina qui nessuno, anche se vengono in mente tanti nomi, per non rischiare di dimenticare qualcuno. Sono stati costoro a creare un “Mose” una barriera atta a salvare la cultura, le tradizioni e, in parte, la lingua grika dall’irruzione sempre più potente della modernità. A costoro va aggiunta la meritoria intuizione degli amministratori che nel 1998 hanno dato vita al Consorzio dei Comuni della Grecìa Salentina, successivamente diventata Unione che comprende i nove comuni dell’enclave più quelli contigui di grecità estinta, che qui trattiamo[1]. Molti confondono questa istituzione con la Grecìa propriamente detta (cioè con l’enclave linguistica ove, tra l’altro, almeno in un paio di centri il griko è praticamente sparito), ne confondono le ragioni, le specificità, le finalità. Peccato veniale: il fatto che anche Carpignano Salentino, Cutrofiano e Sogliano Cavour ne facciano parte è assolutamente meritorio. Le unioni dei comuni esistono ovunque nel Salento e in Italia: esse si sono formate in base a consapevolezza identitaria, interessi che vanno oltre quelli delle singole comunità e unitarietà d’intenti delle varie amministrazioni allo scopo di attingere alle risorse finanziarie messe a disposizione dall’Unione Europea. Ciò dunque può essere utile anche per la salvaguardia di un idioma che ha plasmato l’identità di una consistente parte della nostra terra. A tutto questo va aggiunta la manifestazione de La Notte della Taranta, di cui si dirà. Questa, pur rappresentando una “deriva” di temi serissimi – sui quali si può approfondire leggendo l’illuminante saggio dell’antropologo Eugenio Imbriani, nella seconda parte del volume – pur essendo diventata, secondo alcuni, una massificazione-snaturamento di un fenomeno per secoli presente nella civiltà contadina meridionale, ha costituito un potentissimo insostituibile volano di politiche turistico-attrattive; politiche fondamentali per questo nostro territorio che tanto può offrire ai turisti, e non solo ai vacanzieri semplicemente desiderosi de sule, de mare e de ientu. Questo come concetto di base. Vediamo in concreto la realtà della “parlata”. Con Piero Pascali abbiamo visitato la Grecìa nelle splendide mattinate della seconda metà di ottobre dello scorso anno, negli intervalli lasciati liberi dalle limitazioni imposte dall’emergenza del Covid. I paesi erano silenziosi, con pochissimo traffico (solo Galatina, com’è naturale, ci è parsa un po’ più animata). Il cielo terso, la luce sulle antiche pietre di Santo Stefano, sulla Guglia, su Santa Caterina e su tanti altri monumenti che Piero ha disegnato, mi ha fatto capire perché gli Orsini del Balzo abbiano amato così tanto questi luoghi. A Corigliano, sulla piazza assolata dedicata a San Nicola, abbiamo incontrato degli anziani. Abbiamo chiesto loro se parlassero griko. «Certo!» e poi parole incomprensibili, ignote a noi, umili romaici che a stento conosciamo il nostro dialetto e degli anni del Liceo classico conserviamo un esile ricordo, flebile come un’eco dell’orgogliosa Bisanzio. Poi abbiamo chiesto se i giovani lo conoscono questo idioma. «Certo!» ha risposto con sicurezza uno, «Lo studiano a scuola». Immagino che i ragazzi, nativi digitali, che lo studiano a scuola – cosa meritoria – conoscano qualche termine. Immagino che non abbiano e non avranno mai la parlata fluente che il De Giorgi ascoltò nel mercato di Martano. Immagino, e spero, che a tramandare il griko e la cultura legata a questo idioma, siano gli studiosi, sempre più numerosi, e i libri da essi prodotti, come questo modestissimo volume che all’isola salvata da un ideale sistema di paratie come quelle del Mose dedichiamo. Memori delle antiche storie, siamo entrati nella Grecìa partendo da Galatina (che come tutte le cittadine importanti non aderisce a unioni di comuni, fa “parte per se stessa”). Occorreva tracciare un itinerario. L’abbiamo fatto in senso orario; siamo entrati nell’enclave della Grecìa propriamente detta dalla cittadina a est di Galatina, la Soleto degli Orsini, per poi fare una tappa a Zollino, Sternatia, Martignano, Martano e sconfinare a est in un paese di grecità estinta: Carpignano. Siamo poi rientrati nell’isola grika visitando Castrignano, Melpignano, Corigliano. Siamo infine scesi verso sud per far tappa a Cutrofiano e siamo risaliti a Sogliano (entrambi centri di grecità estinta). Con quest’ultimo paese siamo praticamente ritornati alle porte di Galatina, la quale, come gli altri centri qui trattati, fa parte della Diocesi di Otranto. Tranne Calimera, tutti i paesi griki sorgono su modesti rilievi (“Serre” di Martignano e del Foderà) che digradano nel vasto pianoro di Carpignano. In molti di essi sono presenti le tipiche pozzelle ritratte da Pascali e di cui si dirà nei testi della parte illustrata. Le pozzelle e le abitazioni a corte sono state fondamentali per la trasmissione del griko in quanto elementi di socializzazione delle famiglie contadine. In tutti i paesi, oltre alla flebile eco di Bisanzio, materializzatasi in pietre su cui sono state sovrapposte costruzioni ispirate all’ideologia di Santa Romana Chiesa e in solitarie cripte, abbiamo sentito echeggiare, forte, Kalòs ìrtate, benvenuti! Secondo il celeberrimo principio della Grecia classica, in base al quale ogni ospite è sacro. Conclude il volume la corposa sezione Per approfondire nella quale, oltre ai saggi citati, il lettore potrà gustare gli interessantissimi scritti di Giancarlo Vallone, Roberta Durante, Luigi Orlando e Paolo Vincenti. Vallone fa il punto sulla storia di Galatina tra il XII e il XV secolo, operazione indispensabile in considerazione del fatto che la cittadina ha avuto negli ultimi decenni la fortuna «quasi miracolosa, di riscoprire una minuta articolazione del proprio passato quattrocentesco affidata alla documentazione amministrativa dei principi Orsini». Durante ci rende partecipi di nuovi tasselli di conoscenze riguardanti tradizioni bizantine e preziosismi tardogotici in Soleto e Carpignano. Luigi Orlando esamina alcuni componimenti della grande tradizione letteraria grika incentrati sui temi dell’orgoglio, del rimpianto, della morte. Vincenti, infine, traccia un profilo comparativo del folletto dispettoso che assume nomi diversi nelle varie aree del Salento e di tutto il Meridione e che nella Grecìa è conosciuto come sciakùddhi. Il volume si conclude con una Appendice che ospita un mio racconto dedicato alla nota leggenda riguardante la costruzione della Guglia di Soleto.
(2021)
Avvertenza: Nella sezione illustrata
non vengono utilizzate note. I riferimenti bibliografici sono inseriti nel
testo. Per rendere più agevole la lettura tali riferimenti sono riportati in
maniera sommaria: per l’indicazione completa dei testi utilizzati si rimanda
alla Bibliografia generale.
[1] La Grecìa propriamente detta comprende i borghi già elencati dal De Giorgi nella pagina dei Bozzetti in precedenza citata. Questi comuni, come già detto, hanno dato vita nel 1998 a un Consorzio che nel 2001 si è trasformato in Unione. Alcuni anni dopo hanno aderito all’Unione di Comuni della Grecìa Salentina, il cui motto è Kalòs ìrtate stin Grecìa Salentina, “Benvenuti nella Grecìa Salentina”, anche Carpignano, Cutrofiano e Sogliano.
Va detto che non sempre le operazioni di tutela e valorizzazione messe in atto localmente non siano state suscettibili di critiche e va anche evidenziato che, almeno sino a qualche anno addietro, non c’è stato un grande interessamento da parte del mondo accademico. (A tal proposito si veda: A. Romano – P. Marra, Il griko del terzo millennio: «speculazioni» su una lingua in agonia, Parabita, 2008).