«Venivano al nostro fresco mare, a Leuca, / fedeli avventure, / ecco sui dorsi dell’onda/ c’erano secoli alla deriva, / […]» recita Vittore Fiore[1]. Il titolo del nostro volume è dunque la contaminazione dell’incipitdella sua bellissima lirica “Salento estremo” … E assieme a echi di storia e remote leggende, nelle fresche onde del profondo mare di Leuca e delle marine che a est e ad ovest, risalendo verso nord, si susseguono tra le scogliere o i sabbiosi tratti di costa come cartoline di paesi esotici, venivano a bagnarsi gli abitanti del Salento estremo che popolavano la miriade di borghi che vivono quasi silenti nelle valli costeggiate dalle Serre perpendicolari al punto dove la terra, almeno in questa parte del mondo, finisce. Venivano. E vengono sempre più numerosi, turisti da ogni parte d’Italia e d’Europa, a bagnarsi nelle acque dell’estremo mare e a visitare luoghi dove il tempo sembra essersi fermato e la civiltà contadina, pur nell’ invasione di SUV e lo spuntare di ville, pare non essere mai completamente finita. E venivano, in epoche più lontane, pellegrini bianchi di polvere che terminavano il loro viaggio, lungo, faticoso, e a volte rischioso, nel Santuario di Finibus Terrae, nel luogo ove la tradizione vuole che ci fosse la sede di un’antichissima Diocesi che invece, secondo accurati studi, a cominciare da quelli di André Jacob, pare non ci sia mai stata. Ho imparato più tardi – e lo ribadisco qui con convinzione – che un viaggio a Leuca, un viaggio nelle terre del Capo è un affascinante viaggio nella storia, capace di riservare sorprese anche al più smaliziato dei turisti, al più disincantato dei viaggiatori. Paolo Vincenti, nel suo godibile saggio che pubblichiamo negli approfondimenti di questo volume, chiarisce appieno il senso del discorso che qui è solo accennato. A quello scritto si rimanda il lettore curioso di sapere.
Anche per me e Piero Pascali questa parte del Salento è stata una scoperta. E dunque siamo grati a Luigi Ratano, Presidente del Collegio dei Geometri e Geometri Laureati della Provincia di Lecce, e a Eugenio Rizzo, Presidente Emerito, di aver patrocinato la realizzazione dei volumi e di averci quindi “indotto” a fare un viaggio nel Capo di Leuca, osservando, studiando e descrivendo le innumerevoli bellezze di cui questa terra può menar vanto. Bellezze costituite da tesori paesaggistici, storici e architettonici, preziose come gemme di uno scrigno. Nel nostro modesto lavoro abbiamo cercato di dischiudere questo scrigno per far sì che un lettore di questo libro, ignaro dei tesori che forse si trovano a breve o brevissima distanza da lui, oppure che ne sia oggettivamente lontano, senta il desiderio impellente di viaggiare nel Capo di Leuca, magari percorrendo le strade degli antichi pellegrini.
Cosimo De Giorgi, nella sua opera più nota al grande pubblico, così definisce il Capo di Leuca: «Se noi congiungiamo con una retta le due città di Otranto e di Gallipoli, ne risulterà una zona triangolare compresa fra questa linea e le coste dei due mari Adriatico e Jonio. È appunto quella parte della provincia che vien detta comunemente Capo di Leuca. Dividiamo ora questa superficie con un’altra retta che unisca Lecce al Promontorio di S. Maria di Leuca, ed avremo due lembi triangolari di continente, uno orientale che costeggia l’Adriatico, l’altro occidentale che è bagnato dallo Jonio. In questi due lembi i paesi sono distribuiti diversamente per numero e per importanza. Dalla parte dell’Adriatico sono più numerosi e distanti fra loro appena qualche chilometro; dalla parte dello Jonio sono invece più scarsi di numero e più lontani fra loro. […] La causa di questa distribuzione dei due lembi summentovati sta principalmente nella salubrità dell’aria più che nella fertilità del terreno. L’insalubrità della costa jonica prodotta dalle paludi dei Pali, delle Mammalìe e di Gallipoli respinge tutti i paesi alla distanza di 6 a 10 km dal mare. La costa adriatica, da Leuca a Otranto, è invece saluberrima, non essendo possibile l’impaludamento delle acque piovane, perché è tagliata quasi per tutto a picco sul mare, ed è traversata di tratto in tratto da burroni che con ripido pendio si affondano nell’Adriatico. La Terra d’Otranto nella sua parte meridionale si presenta come un gran piano inclinato. Si solleva dalla parte dell’Adriatico per un’altezza che varia da 80 a 140 m, e affonda nel mare Jonio, dove la costa è quasi sempre preceduta da una pianura dolcemente ondulata, e coperta di sabbie che vi formano le dune ed ostruendo i canali di scolo favoriscono gl’ impaludamenti. Su questo piano, nel mezzo del continente e lungo le due coste, s’innalzano delle colline calcaree che raggiungono i 200 metri di altezza sul livello del mare»[2].
La definizione, consolidatasi nella tradizione e comunemente accettata, appare sotto il profilo storico a studiosi più recenti e a qualche lettore particolarmente informato un’indicazione territoriale abbastanza “sovradimensionata”. André Jacob, nel saggio che ripubblichiamo nella sezione Per approfondire (e per il quale dobbiamo ringraziare Roberta Durante, allieva di Jacob e a sua volta autrice di un prezioso saggio sulla presenza bizantina nell’area oggetto di questo volume – una mappa della geografia culturale e linguistica in cui il lettore ritroverà alcuni dei luoghi sommariamente descritti nella parte illustrata) chiarisce che la delimitazione che fa il De Giorgi del suddetto Capo di Leuca è particolarmente estensiva e che in passato tale denominazione era, con ogni probabilità, limitata a un territorio assai meno esteso[3]. Ciò sulla base di documenti storici e letterari. Noi, pur condividendo le annotazioni di Jacob, abbiamo per comodità seguito il comune sentire, che già ha rimpicciolito, rispetto alla descrizione fattane dal De Giorgi, l’area denominata Capo e abbiamo utilizzato questo termine per descrivere nel volume diciotto comuni, comprese le loro frazioni. Una sorta di “mediazione” tra le tesi dei due studiosi (quella di Jacob storicamente più fondata, quella del De Giorgi probabilmente basata sulle idee correnti della sua epoca), dettata soprattutto dall’esigenza di tenere presenti le attuali aggregazioni sovraterritoriali. Non diversamente, seguendo l’opinione corrente e le affermazioni ripetute in centinaia di pubblicazioni, abbiamo aderito all’idea che Punta Mèliso segni l’ideale linea di demarcazione tra Adriatico, a est, e Ionio, a ponente (sebbene Punta Ristola sia geograficamente il luogo più a sud dell’intera penisola su questo versante delle terre italiche e sia considerata l’estremità orientale del Golfo di Taranto). Su queste premesse abbiamo costruito le nostre descrizioni fatte di disegni e di parole. Occorre però dire, per completezza d’informazione, come stanno le cose circa la linea di demarcazione tra Adriatico e Ionio.
In merito esistono distinte convenzioni internazionali. Vediamole assieme. Quella tradizionale, sostenuta da eccellenti studiosi (Novembre, Parenzan, ecc.) pone il confine tra i due mari lungo la retta che idealmente congiunge, in corrispondenza della parte più stretta del Canale d’Otranto, l’idruntina Punta Palascìa con Capo Linguetta sulla costa albanese. Ai fini metereologici (Meteomar) e per le Informazioni Nautiche degli Avvisi ai naviganti si utilizza come linea di demarcazione tra Adriatico meridionale e Ionio settentrionale la retta che congiunge Punta Mucurone nei pressi di Castro a Lukovë, in Albania. Per l’Istituto Idrografico della Marina Militare, che, emette un’altra categoria di avvisi ai naviganti (per la navigazione costiera, fari, ecc.) il limite convenzionale tra costa adriatica e costa ionica è posto a Capo Mèliso. L’Organizzazione Idrografica Internazionale utilizza, infine, una linea di demarcazione che congiunge Capo Mèliso a Capo Cefalo, sull’isola di Corfù. Vale anche la pena ricordare, senza ovviamente entrare nel dettaglio, che geografi e storici del mondo antico, come Strabone, Tolomeo, Erodoto e Tucidide, denominano e distinguono con modalità differenti le acque dei due mari.
L’area che il De Giorgi denomina complessivamente “Capo di Leuca” a sud della linea Gallipoli-Otranto è, come egli ben spiega, morfologicamente caratterizzata dalla presenza delle Serre dette anche Murge salentine, rilievi di modesta altezza, disposti quasi parallelamente tra essi, che scendono verso l’estremo Sud. Sul versante orientale le alture scendono direttamente al mare, nella parte centrale della penisola sono caratterizzate da terrazzamenti. Nelle piccole valli disposte tra le colline la presenza d’acqua ha fin dall’antichità favorito l’insediamento umano e numerosissimi piccoli centri abitati, vicinissimi l’un l’altro, si addensano in questa zona. Ciò ha reso un po’ meno cospicua rispetto ad altre aree del Salento la presenza di insediamenti isolati, le masserie; fenomeno questo legato anche alla minaccia, qui particolarmente incombente e grave, che per secoli e secoli ha costituito l’esposizione agli attacchi di pirati e saraceni. L’esposizione a tale minaccia ha però fatto sì che in molti casi i complessi masserizi siano in questa zona particolarmente imponenti e articolati.
L’estrema vicinanza dei borghi (il cui nome per molti di essi pare derivare da un prediale romano) ci ha indotto a organizzare il lavoro non tanto tenendo conto della prossimità dei centri che descriviamo, quanto piuttosto tracciando un percorso che avesse una sua razionalità intrinseca. Abbiamo così scelto di muoverci dalla parte più settentrionale di quel quadrilatero a forma di grossolano rombo che abbiamo delimitato (il territorio di Supersano: si veda disegno alle pagine iniziali) per scendere sino a Leuca procedendo in senso antiorario e risalendo lungo il versante adriatico per ritornare, lasciando la costa, nel territorio comunale confinante con quello di partenza e posto più a est. I diciotto Comuni di cui parleremo appartengono tutti alla Diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca: in pratica, nel delimitare l’area che consideriamo il Capo di Leuca abbiamo assunto come condizione fondamentale l’appartenenza di tali comuni a questa Diocesi. Altro elemento unificante è la loro appartenenza al Gal “Capo di Leuca” (tranne Supersano, che fa parte del Gal “Terra d’Otranto”. Quest’ultimo Gal comprende anche Nociglia, di cui si è parlato nel precedente volume, che però fa parte della Diocesi di Otranto assieme ad altri quaranta comuni[4].
Scendevano all’estremo mare – si è già detto – gli abitanti di queste terre. Venivano coi carri dai paesi vicini, o a piedi, fino al Santuario di Santa Maria di Finibus Terre, lungo le straducole dense di sole, risonanti del canto di assordanti cicale. Venivano a vedere dove si diceva che il mare cambiasse colore formando una linea retta come per indicare che là verso Sud, lontano lontano (pura leggenda, se non altro perché geograficamente errata) si trova la Terra dove Cristo aveva predicato secoli e secoli prima. Scendevano in queste contrade anche pellegrini provenienti da regioni lontanissime. Sin dall’Alto Medioevo esisteva un percorso, un fascio di vie e di sentieri che conduceva da Canterbury a Roma. Un itinerario è descritto nel X secolo dal vescovo Sigerico, sceso a Roma per ricevere il pallium. Le tappe del viaggio da lui descritto costituiscono la principale tra le vie Francigene (o Romee), ma esistono numerosi percorsi alternativi che gli studiosi hanno individuato, a tratti coincidenti con le antiche vie romane. Esistono descrizioni di pellegrini che fecero il viaggio a Roma partendo da luoghi ancor più lontani. Da Roma un numero imprecisato di pellegrini si spingeva fino in Puglia e nel Salento per imbarcarsi alla volta della Terra Santa. Alcuni ritengono che un certo numero di essi giungesse anche a Leuca. Nel 1994 la Via Francigena è stata dichiarata “Itinerario Culturale del Consiglio d’Europa” e ha assunto un ruolo sovranazionale identico a quello del cammino di Santiago di Compostela. Nel 2001 è nata a Fidenza l’Associazione Europea delle Vie Francigene che «in qualità di soggetto abilitato ufficialmente dal Consiglio d’Europa, dialoga con istituzioni europee, regioni, collettività locali per promuovere i valori dei cammini e dei pellegrinaggi, partendo dallo sviluppo sostenibile dei territori attraverso un approccio culturale, identitario e turistico.» (https:// www.tuttitalia.it/associazioni/associazione-europea-delle-vie-francigene). La riscoperta, la valorizzazione e la fruizione delle antiche vie dei pellegrini costituiscono dunque un’intelligente forma di turismo culturale ecosostenibile: opportuni cartelli segnalano i percorsi, i punti di accoglienza e di sosta ecc. Un efficiente sistema che propone vacanze e weekend non banali, sostenuto anche da sempre più numerose associazioni di salutare escursionismo (comunemente ora definito trekking) molto attive anche nel Salento. La Regione Puglia, con proprie distinte deliberazioni, ha nel 2019 definito la Via Francigena del Sud per la parte che interessa la nostra regione e ha ufficializzato i tre “cammini” che dal Nord Salento scendono fino a Leuca. Per l’area che descriviamo il percorso principale (la Via Francigena propriamente detta) segue la direttrice della via Traiana ed è costituita dal seguente itinerario: Tricase-Tiggiano-Corsano-agro di Alessano-Gagliano del Capo-Castrignano del Capo. La Regione ha altresì individuato e geodifferenziato alcune varianti sia sotto il profilo storico-culturale che turistico (“Terre della Francigena”). Esse sono costituite da un percorso che si snoda lungo l’interno e da uno che scende lungo la costa ionica per ricongiungersi nel suo tratto terminale con la precedente. Si tratta della Via Leucadense (da Lecce a Leuca) e della Via Sallentina (da Taranto a Leuca). Tale via segue il tracciato dell’antica strada costiera romana, la via Augusta Sallentina, che collegava Taranto a Otranto e a sua volta ricalcava l’ancora più antico percorso messapico. Lungo la prima troviamo Supersano, Ruffano, Specchia, Alessano, Salve (frazione Ruggiano), Morciano di Leuca (agro), Patù, Castrignano del Capo (frazione Leuca); lungo la Sallentina s’incontrano Ugento, Acquarica del Capo (agro), Presicce (agro), Morciano di Leuca, Patù, Castrignano del Capo (frazione Leuca)[5].
Si diceva all’inizio che un viaggio nel Capo di Leuca è un viaggio nella Storia (con la esse maiuscola), nelle tradizioni, nella memoria, ma questo cammino è anche un intrigante viaggio di eccezionale interesse naturalistico che ci pone con immediatezza di fronte all’affascinante constatazione di come Natura e Uomo abbiano convissuto nei trascorsi millenni e si siano reciprocamente condizionati e trasformati. Nelle numerosissime grotte e caverne che si aprono lungo la costa e raggiungono tra Gagliano del Capo e Punta Ristola una concentrazione che non ha eguali in nessun’altra parte del Salento, è spesso visibile la mano dell’uomo che vi ha tracciato iscrizioni e graffiti, ha lasciato ossa, amuleti, frammenti di suppellettili. Quasi tutte le cavità sono state originate dall’azione carsica (cioè dall’azione delle acque meteoriche) o, in gran numero, dall’erosione marina. Spesso da entrambe le fattispecie. Qualcuna è stata scavata dall’uomo. Alcuni studiosi ne enumerano 36, altri autori 34. Il nome con cui ciascuna di esse è conosciuta a volte varia in base agli autori o al linguaggio dei pescatori locali. A tali grotte, scrive Piovene «la fantasia popolare ha dato leggendari nomi, nei quali la mitologia cristiana e la pagana vanno di pari passo. Del diavolo, del presepio, dei giganti, delle tre porte, del drago, della stalla, intorno a Leuca»[6]. Alla straordinaria quantità di grotte e caverne costiere si devono aggiungere i complessi grottali presenti nei Canaloni di Leuca, profondi solchi di origine carsica che scendono perpendicolari dall’entroterra a sud di Castrignano verso il mare, nella fascia compresa tra Punta Mèliso e Punta Ristola[7].
Tutto il tratto di costa che scende da Tricase fino a Leuca e prosegue sullo Ionio fino a Torre Vado fa parte del Parco Naturale Regionale Costa Otranto-Santa Maria di Leuca e bosco di Tricase istituito nel 2006. L’intero parco è percorso da suggestivi, talvolta spettacolari, sentieri assai noti agli appassionati di trekking. Numerosi siti di quest’area, prevalentemente della costa di Levante ma anche dell’entroterra (come ad esempio nella zona di Presicce e di Acquarica del Capo) sono stati classificati per le specificità naturalistiche come “Siti di importanza comunitaria”. Tra tutti ricordiamo il Posidonieto Capo San Gregorio-Punta Ristola e la vasta area del litorale di Ugento. Un viaggio nel Capo di Leuca può dunque essere un’esperienza fuori dal comune, capace di lasciare una traccia in ogni visitatore. L’urbanizzazione sconsiderata ha certo profondamente modificato il paesaggio, ma è fuor di dubbio che qui sopravvivono ancora spicchi di Arcadia, bellezze che agli inizi dell’Ottocento fecero scrivere al famoso scienziato naturalista Giovan Battista Brocchi, di origini venete: «Né i geologi solamente, ma i botanici ancora troverebbero colà ampio compenso alle loro fatiche, se fatica può essere l’aggirarsi per quelle popolate e deliziose pianure. Io non conosco di fatto verun altro luogo ove più comodamente si possono intraprendere siffatte peregrinazioni. Meravigliosa è la quantità de’ paesi sparsi per la Terra d’Otranto, e prossimi l’uno all’altro, segnatamente verso il promontorio di Leuca, di maniera che il viaggiatore poco dee curarsi di stabilire ove debba prendere ristoro; e dove possa ricoverarsi alla notte. Né io so tampoco quale altra situazione in Italia possa meglio corrispondere a quanto i poeti ci narrano della felice Arcadia, che certo non mancano ivi né il dolce clima e salubre, né gli ubertosi pascoli, né le campagne vestite di rosmarino, di timo e di mille altre piante odorose, e ciò che più importa, non manca il candor de’ costumi, e l’esteriore decenza negli abitanti»[8].
Oltre ai già citati scritti di André Jacob, di Paolo Vincenti e di Roberta Durante, la corposa ma godibilissima sezione Per approfondire ospita altri cinque lavori. Francesca Ruppi, conduce il lettore in un luogo profondamente segnato dalla dimensione religiosa e da quella artistica, seducendoci con il concetto di sacralità e di bellezza della natura che esso esprime; sviluppando e dando forma compiuta ai tanti accenni disseminati in questa introduzione e nei testi che accompagnano i disegni. Sempre Francesca Ruppi delinea con un altro suo contributo il sistema dei frantoi ipogei di Presicce, patrimonio culturale e identitario di uno dei borghi più belli del Salento, e non solo. Luigi Montonato traccia un breve profilo biografico di Cesare Vanini[9], il filosofo nato a Taurisano, del quale Unisalento e la Società di Storia Patria di Lecce hanno ricordato con un Convegno, svoltosi il 12 dicembre 2019, il quattrocentesimo anniversario della sua morte sul rogo a Tolosa. Lo stesso Montonato, relatore in quel convegno e profondo conoscitore del pensiero del suo illustre concittadino, traccia un’essenziale e aggiornata bibliografia ragionata degli studi su Vanini. Carlo Stasi, infine, “inventore” della leggenda di Leucasia, spiega come tale parto della sua creatività sia finita per diventare per tutti appunto un’“antica leggenda”. Ci è sembrato opportuno inserire nella sezione Per approfondire questo scritto allo scopo di ripristinare la verità effettuale sulla storia di un nome fortunato, non certo per assecondare intenti che ad alcuni potrebbero apparire autocelebrativi. Ci è sembrato inoltre utile farlo perché nel libro di Stasi, fatto di storie e leggende salentine, il lettore, se lo desidera, può ritrovare, connotati con la cifra della fantasia, alcuni dei luoghi, degli oggetti e dei personaggi di cui si tratta in questo lavoro.
Un’ultima annotazione, sperando di non avere fin qui annoiato il lettore. Grazie alla Società di Storia Patria-sez. di Lecce questi volumi stanno raggiungendo le biblioteche di diverse Università europee, riscuotendo curiosità e interesse. Il modo non consueto di “raccontare” il Salento sta certamente contribuendo a dare a questa nostra terra una dimensione sovranazionale che non potrà non avere ricadute positive in tutti gli ambiti, quando l’emergenza del Covid-19 sarà finalmente superata.
Avvertenza: In questa sezione non vengono utilizzate note. I riferimenti bibliografici sono inseriti nel testo. Per rendere più agevole la lettura i riferimenti bibliografici sono riportati in maniera sommaria: per l’indicazione completa dei testi utilizzati si rimanda alla Bibliografia generale.
(2020)
[1] Poeta e intellettuale meridionalista di statura europea, nacque a Gallipoli il 20 gennaio 1920 e si spense a Capurso il 21 febbraio 1999. Nel 2019 si è celebrato il primo centenario della nascita. Il padre di lui, Tommaso Fiore, altrettanto noto intellettuale meridionalista antifascista, è l’autore del celebre Un popolo di formiche, una sorta di cronaca di un viaggio nella storia dei “cafoni” pugliesi, premio Viareggio nel 1952. “Salento estremo” è contenuta nella raccolta: V. Fiore, Io non avevo la tua fresca guancia, Bari, Palomar, 1996, p. 27.
[2] C. De Giorgi, La Provincia di Lecce. Bozzetti di viaggio, II, Galatina, Congedo Ed., 1975, (ristampa fotomeccan. dell’edizione Lecce, Spacciante,1888), pp. 121-122.
[3] Va subito detto che il focus del saggio di Jacob non riguarda la delimitazione del Capo di Leuca, questione di per sé importante ma non fondamentale, che egli affronta a margine, bensì il fatto che egli cancella definitivamente Leuca dalla lista delle antiche città episcopali, dimostrando che la Civitas Leocadensis menzionata nelle decime del 1324 non è identificabile con Leuca, ma con Alessano. (Cfr. A. Jacob, «Ecclesia Alexanensis alias Leucadensis». Alla ricerca della sede definitiva di una diocesi salentina. In «Rassegna salentina», anno V, n. 5, settembre-ottobre 1980, pp. 3-18. Riproposto in questo volume nella sezione Per approfondire).
[4] Ricordiamo quanto detto nei precedenti volumi. Il gruppo di azione locale (Gal) è in genere una società consortile composta da Enti pubblici e soggetti privati che ha il compito di favorire lo sviluppo locale accedendo ai fondi strutturali messi a disposizione dall’Unione Europea. L’appartenenza a questo o a quel Gal è un indicatore importante per comprendere le affinità che legano le popolazioni: i motivi che spingono un’Amministrazione ad aderire a un Gal sono di solito la comunanza di storia, tradizioni e interessi attuali con i comuni vicini.
[5] Il più antico racconto conosciuto di un itinerario cristiano verso Gerusalemme è l’Itinerarium Burdigalese di un anonimo pellegrino della prima metà del IV sec. d.C. Il percorso di andata si svolse da Bordeaux attraverso la Gallia, l’Italia Settentrionale (da Torino ad Aquileia), e lungo la direttrice danubiano-balcanica. Al ritorno il pellegrino s’imbarcò a Valona e raggiunse Otranto risalendo poi verso Roma lungo la Via Traiana e la Via Appia. Nel mese di febbraio di quest’anno l’Aevf ha unificato in un unico percorso la Via Francigena del Nord con quella del Sud, rispettando l’Itinerarium fatto dall’anonimo pellegrino che parte da Otranto per risalire verso nord, con l’“appendice” che congiunge Otranto a Leuca lungo il versante adriatico (quello che la regione Puglia, con le deliberazioni in precedenza richiamate, ha stabilito essere per il Sud Salento la Via Francigena propriamente detta).
[6] G. Piovene, Viaggio in Italia, Milano, Bompiani, 2017.
[7] Altri canaloni esistono in quest’area, ad esempio tra Morciano di Leuca, Torre Vado e Patù (i canali Cantoro, di San Vito e “de lu forcatu”).
[8] In L. Ruggiero, Non solo barocco. Spigolando tra personaggi e fatti di scienza salentini, Lecce, Edizioni Grifo, 2013, p. 170.
[9] Il testo è tratto da: G. Montonato, Di Vanini… ultimo dialogo a Tolosa, Taurisano, Edizioni di Presenza, 2019.