Traduzioni 2. Da Luis de Góngora y Argote

di Antonio Devicienti


Luis de Góngora y Argote in un ritratto di Diego Velázquez, 1622.

Luis de Góngora y Argote (Cordova 1561, ivi 1627) incarna uno dei vertici del Barocco e di tutta la poesia occidentale; la sua geniale sensibilità per i valori lessicali e sonori, il gusto per una sintassi concepita come un susseguirsi di ardite architetture, l’amore per i riferimenti dotti (più o meno velati) si espressero in forme poetiche che vanno dal sonetto al romance (componimento classico castigliano di argomento epico-lirico), alla letrilla (altro tipo di componimento classico di argomento leggero); l’autore delle Soledades (1613) – vasta opera in poesia che suscitò un enorme scandalo per l’impossibilità di classificarla entro un genere letterario preciso e per la fantasia sbrigliata che ne fa un organismo di estrema complessità linguistica, sintattica e concettuale – e della Favola di Polifemo e Galatea – elegantissimo poema mitologico dalle marezzature coloristiche e linguistiche indimenticabili – amava i riferimenti colti (culteranesimo e concettismo fu detta questa sua scelta di gusto che ebbe numerosi proseliti e altrettanto numerosi denigratori).

Nella mia traduzione tradotto soltanto alcuni sonetti che, spero, possano incuriosire e spingere a leggere un’opera di gran lunga più vasta e dagli echi profondi e variegati; ho optato per una traduzione il più possibile trasparente, rinunciando alla resa delle rime, delle allitterazioni, delle inversioni e via enumerando che, a loro volta, caratterizzano una poesia nella quale Lorca e gli altri grandi poeti della Spagna degli anni Venti e Trenta si riconobbero, ammirati e stimolati a cercare vie nuove per la poesia del XX Secolo.

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