di Boris Andreevič Lavrenëv
(Continuazione)
Capitolo Nono
In cui viene dimostrato che, anche se al cuore non si comanda, tuttavia è l’esistenza a determinare la coscienza
Il tenente della guardia imperiale, Govorucha-Otrok, doveva diventare il quarantunesimo sul conto mortale di Marjutka.
Divenne invece il primo sul conto della felicità femminile.
Crebbe nel cuore di Marjutka un’inclinazione incontenibile verso il tenente, verso le sue mani sottili, verso la sua voce piana e più di tutto verso i suoi occhi di un blu eccezionale.
Grazie a questo blu, la vita si rasserenava e si illuminava.
Si dimenticavano il poco allegro mar di Aral, il gusto stomachevole del pesce salato e della farina ammuffita; si scioglieva senza traccia la nostalgia inquieta della vita, agitata e rintronante, lasciata oltre le vastità delle acque. Di giorno sbrigava le solite faccende: impastava e cuoceva le focacce, lessava dei dorsi di pesce pregiato, venuti ormai a uggia, per cui le gengive iniziarono a gonfiarsi e ricoprirsi di piaghette ulcerose; ogni tanto andava sulla riva per mettersi a guardare verso l’orizzonte nella speranza di scorgere sul blu del mare il volo dell’ala bianca della tanto attesa vela.
Di sera, nell’ora in cui il sole vorace smetteva di rotolarsi giù dal cielo baciato dalla primavera, si cacciava nel suo solito angolino sul tavolaccio, si stringeva, facendo le moine, alla spalla del tenente. Ascoltava.
Tante cose raccontava il tenente. Era abile a raccontare.