di Maurizio Nocera
Credevo di avere chiuso col tarantismo, cioè chiuso con lo studio e le riflessioni sul fenomeno della sofferenza salentina e sull’altro fenomeno (quello più contemporaneo) ad esso collegato, cioè quello della pizzica di corteggiamento. Sì, avevo chiuso, almeno credevo, quando incontro una mia vecchia conoscenza, una donna di circa 90 anni di Morciano di Leuca [nell’occasione mi ha regalato un arazzo (70 x 100) con una scena settecentesca di pizzica di corteggiamento], che avevo intervistato un paio di decenni fa, perché anche lei attarantata come me. Nell’incontro in una casa contadina, mi dice:
«tu e tutti gli altri professoroni, che vi siete interessati del tarantismo, credete di avere scoperto tutto del fenomeno. Secondo me, di esso, avete tralasciato una parte importante, cioè non vi siete mai chiesti come accadeva che le persone coinvolte, soprattutto donne (il fenomeno è prevalentemente di genere), si trasmettevano l’una con le altre le tecniche fenomeniche delle loro movenze. Mi riferisco alla danza che esse facevano ascoltando il ritmo della pizzica. Quali erano le loro posture, gli svenimenti momentanei a causa della trance sopravvenuta». Le rispondo:
«Mi stai dicendo che nel fenomeno è esistito un codice di trasmissione?»
«No so se si dice così, ma ti sei mai chiesto come accadeva che una donna, magari analfabeta, che non conosceva tutte quelle diavolerie che avete scritto, ad un certo punto della sua vita diventava tarantata?».