di Ferdinando Boero
Il turismo eccessivo (overtourism) rende invivibili posti bellissimi, dove eserciti di vacanzieri competono per spazi sempre più piccoli in cui godere, si fa per dire, delle meritate vacanze. Nel periodo più infernale (agosto) da decenni vado in un posto dove non c’è niente, se non boschi in cui non si incontra nessuno, dove si vedono tracce di cinghiali, lupi, istrici, tassi, scoiattoli, daini e caprioli e donnole e in cielo volteggiano aquile che, con la proverbiale vista, cercano serpenti.
Il posto si chiama Suzzi. Non è facile arrivarci: la strada, lunga e tortuosa, finisce lì, non ci sono negozi e bisogna portarsi tutto, ma non l’acqua, perché l’acqua di Suzzi è buonissima. Mia moglie discende da un’antica famiglia di Suzzi e possiede, in comproprietà con suo cugino Armando, una piccola casa dai muri spessi e dalle porte basse (ci ho messo dieci anni ad abituarmi a passare da una stanza all’altra senza prendere testate). Prima non c’era il telefono e non c’era linea, ma ora ci sono servizi di rete e, se si vuole, ci si può collegare col mondo. In effetti ora potrei vivere a Suzzi e lavorare in modo intelligente (smart), da casa. Un tempo il paese era isolato per mesi dalla neve ma oggi, con il riscaldamento globale, l’isolamento è quasi inesistente. Abbandonato negli anni sessanta, il paese torna a vivere in estate, quando rientrano i discendenti delle famiglie emigrate. Coltivano i loro orti, mettono a posto la strada, puliscono i sentieri, cercano di ricostruire qualche muro a secco che cade, fanno lunghe passeggiate nei boschi in cerca di funghi. Venti anni fa ho scoperto la Via Bella, l’antica strada che collegava Suzzi, a 1000 m, con il Passo della Maddalena, a 1400 m. La prima parte è ancora praticata e porta alla fonte di acqua che rifornisce il paese: il Croesu.