Dodici ritratti

di Antonio Devicienti

Primo ritratto: Adolfo Bioy Casares

Il suo fraterno amico Borges odiava gli specchi; Bioy Casares, invece, si lascia fotografare tra il grande letto in ferro battuto e lo specchio, la stanza si raddoppia, chi guarda la fotografia vede, nello stesso tempo, lo scrittore di fronte e di spalle, come se L’invenzione di Morel potesse in qualche modo darsi quale certificazione di presenza e (atroce?) sospetto che solo l’immagine sopravviva alla morte fisica. E, con essa, la parola scritta.

Secondo ritratto: Antonio Tabucchi

Protendersi da uno stretto balconcino di Lisbona, sorridere divertito, contemporaneamente invitare e sfidare l’obiettivo fotografico.

Potrebbe accadere in un gioco del rovescio, in un racconto con figure, anywhere out of the world…

Ma accade perché ho nostalgia di chi mi ha insegnato la saudade e, pur avendolo conosciuto solo nei suoi libri, di lui mi faccio un ritratto tutto mio, ogni volta nuovo.

Ma forse il suo ritratto più fedele (esistono ritratti “fedeli”? e fedeli a che cosa?) è il cromatismo incomparabile di Lisbona sotto il sole, un racconto d’amore e di morte ambientato nelle Azzorre, un viaggio notturno in treno, l’Atlantico che rompe le proprie onde a Biarritz.

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