di Giuseppe Virgilio
Per i tipi dell’editore Schena di Fasano, Franco Martina, docente di Storia e Filosofia nei Licei di Stato, ha pubblicato Il fascino di Medusa. Per una storia degli intellettuali salentini tra cultura e politica (1848-1964), 1987, pp. 225.
L’opera si articola in nove capitoli, veri e propri saggi e studi, tutti inediti, tranne il primo, il sesto e il nono apparsi rispettivamente in “Lavoro critico” nel 1982, “Contributi” nel 1983, e “Sallentum” nel 1978. Gli intellettuali salentini e la rivoluzione del ’48 dà l’avvio all’indagine. Il 1848, vale a dire il nodo storico del Risorgimento, è enucleato da Martina come insufficienza delle forze sociali e politiche del moderatismo cattolico neoguelfo reazionario e municipalista e di quelle del Partito d’Azione e della democrazia liberale della sinistra borghese e nazionale.
Nel Napoletano la reazione borbonica proscrive gli attendibili, cioè i patrioti colpiti dalla sorveglianza poliziesca e destinati a incorrere nella pena del domicilio forzoso, dell’esilio, della detenzione, della reclusione o del carcere preventivo per mesi ed anni. Accanto agli attendibili ci sono i condannati delle grandi Corti speciali, possidenti e commercianti, medici ed avvocati, sarti e falegnami, contadini e braccianti rimasti lunghi anni a marcire nelle galere. Tra di essi si è stretto un legame di solidarietà spirituale in nome dell’ideale mazziniano di associazione dei liberi popoli che devono procedere concordi verso la mèta da Dio fissata al progresso umano oppure in nome del moderatismo neoguelfo di Gioberti, che è stato un completamento e non un superamento del mazzinianesimo, se è vero che coloro che il Mazzini ha gettato nel turbine degli eventi, sono restati come avvinti alla causa nazionale e la loro adesione ad uno stato puramente regionale si è sublimata per grandeggiare nell’idea italiana.