Un documento particolare Intorno ai gloriosissimi SS. Oronzo e Irene Protettori dell’ill.ma città di Lecce.

Per semplificare egli riduce la trattazione del discorso a tre capi: dove, quando e come s’imponesse per la prima volta il nome d’Oronzo; perché si fosse a lui dato il nome latino di Publio, e  se fosse stato primo cristiano primo vescovo, primo martire Salentino.

Conclusa tale dimostrazione D’Auria promette di dedicarsi a studi più approfonditi sul nostro Santo ma purtroppo, non esiste altra documentazione a proposito come pure quella relativa a S. Irene, promessa all’inizio.

Il manoscritto tuttavia certifica l’esistenza agli inizi dell’800 di uno scetticismo nei confronti della storicità del Santo tanto da sentire la necessità di affrontare l’argomento spesso polemizzando con gli scettici.

Un altro interessante elemento che emerge dalla dimostrazione delle tesi sostenute dall’estensore è la base culturale alla radice della sua formazione religiosa.

Un confronto si rende infine necessario con altri documenti più o meno coevi che rimandiamo ad altra occasione.

La Chiesa di San’Irene a Lecce.

L’incredulità a scola del disinganno

Ricerche notizie ricavate da più antichi scrittori Greci e Latini né fin a questo tempo poste in buon lume intorno a Gloriosissimi SS. Oronzo e Irene segnalati Protettori dell’ill.ma città di Lecce.

 E dal P.re D. Auria della compagnia di Gisù dedicati all’ill.mo Sig. D. Giovanni Andrea Gattini.

Con ciò sia cosa che io di questo tempo mi ritrovi con addosso un sovraccarico di molte fatighe, tuttafiata  servemi di acuto  stimolo per  intralasciare  ogn’ altra occupazione la già data parola di metter a nota quelle più ricondite notizie, che intorno a questi S.S. Protettori furo con diletto ascoltate nellee letzioni della Divina scrittura, ch’ in ogni Domenica  si fann’a questo Pubblico e con ardor, con impegno a non perderne la rimembranza, ne son istantemente richiesto da j tre volte saggi di questa inclita città oltre che un altro motivo mi rubò di seno à quelle poche ore che servian di riposo all’affatigata mente; m’induco a fermamente evadere, chè l mio gentil,  e saggio Lettore abbia sperimentale conoscimento, che gl’encomi, all’orche son troppo clamorosi, e perenni,  di facile la maraviglia, che nasce dalla Lode, sole a non pochi esser cagione di scimunito Livore, come già testè la non fallace sperienza ebbe a confessarlo il moral filosofante |a|Quam magnus admirantium , tam magnus invidentium Populus est. Eppure chiunque vuol farla da vero saggio, n’avvisa M. Tullio |B|deve tenere a segno la lingua, e la penna, affine, che il cenzore non addivenghi bersaglio de suoi troppo grossolani ‘nganni:

|a|Seneca de vita beata |B| Cicero 3 Tusculan.

dacchè tenendo per cosa indubbitevole d’aver ei colpito nel branco  fra la confusion poi si veggia e si ripiagna trastullo, e favola di giustissima critica, sin  a toccar co’ mani, quanto sia pregiudiziale quella millanteria, saccentella, ch’jnatali riconosce dall’ignorantia. Optimus ac gravissimus quisque conffitetur se multa ignorare , et multa sibi etiam atque etiam esse addinenda Non fia più dunque maraviglia, se tal’uno, gittando  l’erudite pupille in su’ di tai storiche contezze le rilegga di questa foggia titolate: L’incredulità a scola del disinganno. E se una tutto difficile impresa la quale, affacciando il carattere dell’impossibile chiami tal volta in dubbio la più fina prudenza, a non così di facile  donarle sua piena fede, a ragion d’esempio che di tal Eroe il vanto con agevolare questo creduto impossibile in là dalla commune, speso l’annanzi giusta il testimonio del Poeta |C|Tarda solet magnis rebus inesse fides. Mi protesto, che questa incredulità essendo di sua natura originale dalla prudenza, non tiene bisogno di girne a scola del disinganno, e se mai lo zelo di farne critica ribogliesse nel capo, allora mal accorto uccellatore restarebbe preso alla |C| Quid. Epist. XVI. Ragna; Anzi il satirico a vie più canzonarne la dabbenaggine, rimbombar allo spesso ne farebbe |D| Tecum habita ut novis, quam sit tibi curta supellet. Quell’incredulità dunque che a disingannar ad espugnar mi accingo, è di tal natura, che solo vuol amistà con alcuni cervellini  li quali proseguendo a giacerne in seno all’ozio, affatto nulla tengono  commercio co’ scrittori più veritieri ed antichissimi, siano Caldei siano Greci, siano latini, d’onde s’ apprende tutta soda erudizione. Quindi contentandosi d’avere distesa l’ampia sfera dell’ingegno tra confini di certi scartabelli, venerande Reliquie della semplicezza de tempi andati, o di qualche recente autore d’oltre ai monti, o di tutt’altro, che spacciando storiche anticaglie, già mai ebbero per fortuna di ravvisarlo, quale da sapientissimi critici va riconosciuto  favolatore ovvero Apocrifo; In appena pena farseli a risonare certe incontrastabili verità, giammai perché conobbero queste pretiose  sorgenti per attingere di quella scienza la pratica, che fa ben distinguere il vero dal falso;  |D| Innum ?. Sat. V.

L’incredulità risveglia in essi loro il provito di mordace critica! anzi tal’uno a ostentare di sua erudizione il buon uso, scrive sù la fronte di quelle tante istoriche notizie che furonli sempre ignote il medesimo titolo ch’a suoi cinque libri impose l’Erudito palesato coetaneo di Tucidite incredibiliu Historiarum lectiones.

Ah per cortesia questa tanto necessaria eruditione sembra a guisa di un decano così profondo ed ampio  ch’a valicarlo sotto la condotta di niente o poco esperto nocchiero, si correrà a vele, a remi ad urtare né scogli, e farvi miserando naufragio; di tal guisa che dicantarebeseli dalla fama a quell’istessa critica dello stagirita|E| Quibus dam magis est opera pretiu videri sapientes, et non esse, quam esse, et non videri. Non bastano la soma degl’ anni, non basta la canuta lettura quando mancano gli autori più rinommati, o de parabolani non si ha pienissimo conoscimento. Né qui ho tempo a mio bell’agio, da sfogare senza pecca di censor indiscreto, lo zelo contra de Litterati Maddeburghesi, e di tanti altri simili Farinelli d’oltre i monti, che dove per imperitia degl’idiomi, dove per genio mentitore l’applicano.____________________________

|E| Aristot. Elench 1.. Non è per ora mio disegno di ritessere la vita di questo gran santo ma solo di metterne in buon lume tutto ciò, che la semplicezza de tempi andati trasandò, sicche dove ora un qualche poco o niente esperto critico o si fa scrupoloso nel non credere d’esser suo prop. questo Agnome, ovvero di molto adulteratosi, poi venghi a toccar co’  mani questa verità, che fulli sempre nascosa.________________

di proposito a voler inzampognare la sincera erudizion degli italiani, facendosi lecito lo più delle volte d’arrogarsi il vanto de Poeti in prosa ad imitazion di Apulejo, di Luciano, e di tant’altre capricciose penne, ma di questo utilissimo Argomento n’abbiamo ragionato a bello studio nell’Universale Storia di questo Reame, di cui se ben impedito sia il proseguimento a’ stampatori pur un tempo usciva a luce distribuita in quattro pingui volumi.

Or via mettiamo in concio la penna, acciò si tessa diligentissimo ragguaglio primajamente dell’invittissimo Protettore S. Oronzio, e poi della nostra taumaturga S. Irene; che se’ l tempo tenendone già sepellita in un ingrata obblivione ogni più distinta contezza, perder ne fece le più care veridiche memorie; Ben volentieri ho’ voluto addossarmi questo grave incarico, al mal pro di quelle molestie, che sogliono generarsi nel ripescare le notizie di antica storia tra per una spessa calca di autori, per a’ signori Leccesi contestare, quanto io a lor imitazione divotissimo viva di questi santi; a non isluntanarmi da quel giusto confine, dentro cui verace storico aggirarsi deve, giusta l’insegnamento di Tullio: |F|Primam esse historia legem ne quid falsi dicere audeat deinde , ne quid veri non audeat ne qua suspicio gratia sit inscribendo, ne qua simultatis;con vigilante cura mi son adoprato, che la verità compaia sott’j nativi lineamenti, siccome a non far ismarrire i pensieri di chiunque  correr voglia quest’istorico Arringo, lo riduco a tre’ Capi, D’onde e quando come la prima fiata s’imponesse quest’agnome d’Oronzo e cosa ne significhi fattosi già ceppaja di numerose famiglie, quando venissero li simili Eroi à queste Regioni, perche al nostro Santo Protettore donato si fosse il nome latino di Publio, e se con tutto rigore chiamar lo si debbia primo cristiano primo vescovo, primo martire di tutte queste Regioni, al certo nulla mi servirà il calepino di sette lingue _____________________

F| Cicer. 2 De Orat. Lo Scardino, il Marciano, il Giovane, l’erudito Galateo e simili autori con simili con tanti di quei orrevolissimi manoscritti, dove ferma sovventemente le pupille e talun si lusinga tutto di pellegrina erudizione provinciale ‘mpastato; Più alto di grazia! ne volino j sguardi e ’l pensiero tenendo dietro a quei  canutissimi storici che ne presentano  fan la maniera di separare la verità dalle favole.

Fu già lasciato a note chiare ne loro decantati volumi |G| da Ctesia di Cnido, da Niccolo Ieronimo Damasceno, da Eratostene, e da Ieronimo Giziano, e da Beroso da quali Dionis: Alicarnass, Strabone, Diodoro Sicolo, Adriano Alessand:, Pausonia fra le molte ricopiarono queste notizie per li fecondissimi tenitori delle famose città Apamea, Dafne, Antiochia, e Seleucia furibondo scorre un fiume, che nel montelibano i natali riceve, ed andò già per molto tempo nominato Trifone, giusta li documenti di Cieca |G|  Ctesia di Cnido fiorì nella stagione del Rè Artaserse con veridica metodo scrisse gl’avvenimenti de Persiani e degl’Assiri ed in appresso Metastene, avendo fatta correre la fama, che si nobile istoria fossesi del tutto smarrita, il cattivello sene  fe’ autore; ma pure diversificandosi lo stile di Ctesia dalla sua composizione, in vece di plausi, e maraviglie raccattò dalla fama rimprotti e satire. Eratostene famosissimo istorico, e matematico fu coetaneo di Platone, Beroso più dogn’altro con vigilante cura scrisse un’istoria universale dall’inizio del mondo in fin alla sua età, tre secoli prima dell’incarnazione del Verbo Eterno, secondo n’avvisano il Mustero lib: B: Cosmogr: Anton Possevino nella terza parte della sua cronistoria, e San Geronimo nelle sue traduzioni Ebreo, Caldaiche, sappia il mio erudito lettore, che li celebratissimi storici furono per la maggior parte adulterati primariamente da traslsatori niente esperti nell’idioma de Siri e de Caldei, quindi li Greci dall’Asia avendo tramandate queste tanto capricciose traslazioni in Europa verso l’età di Ottaviano Augusto, più d’ogn’altra fu accolta da Romani co’ mille plausi l’istoria di Beroso e perche Metastene nella sua aveva posti a nota  l’avvenimenti più memorandi di Ctesia si ebbe in conto di eccellente istorico; il primo vanto però fu sempre riserbato  per Zenofonte, Erodoto, Tucidite, Ebroso, Niccolo Damasceno, scrisse con elegantissimo stile una piena cronistoria della Siria, e della Lionia, siccome Geronimo Giziano gl’avvenimenti più memorabili di questo felicissimo Reame e dell’Arabi confinanti, e Beroso va di presente tutto imbastardito e monco, per opra di Annio Viterb. Di tal guisa che rassembra tutt’altro del Germano veracissimo Beroso, della stesso maniera furo già per la maggior parte adulterati gl’altri soprallegati Autori, anzi li Maddeburghesi di pari con sentimento a litterati di Olanda e di Inghilterra non ancora satolli di aver fatto capitar in Italia cento e mille di queste capricciose traslazioni dopo che fu la loro ben bene  notiziata ? l’Iliade e l’Odissea di Omero ne commisero alle stampe j successi più famosi della guerra Troiana sotto’vano titolo descritto da Teba, e Darete di Frigia le di cui veraci istorie furo di tutto consumate dall’invidioso tempo così gl’equivoci di Xenofonte la storia di mars. Lesbio, Tito Semp: Porsio Catone, Mario Mars. Tirio e cent’altri Autori, de quali perdutasene affatto ogni loro storica memoria pur ei seppero ripescarle dalle fecondissime invenzioni di Poesia; Or veda quanto devo star vigilante, per non farzi canzonare chiunque di questa gioconda Erudizione vuol sapere, la nuda verità ed in vero devesi tutta la gloria agli insegnatissimi Attanasio, Chircher, ed Anton Possevino, per avere con tutte le altane traslati  Beroso o Metastèneche se tal’uno fosse vago di rilegerli, abbenchè non così di facile l’abbiano per le mani, alle prime richieste sono prontissimo a farne prestito.

Tutti gli altri storici, già di sopra posti a’ nota, da tali sorgenti ricopiaro per la maggior parte j lor avvenimenti  avendosi da questi registrate in greco le historie; sia ben accorto il mio Lettore , acciò abbia ed è con questo comunissimo  sentimento de sacri P.P. |L| Pausonia nell’ottavo libro al foglio 588 dell’edizione di Basilea nell’anno 1557.  egli fiorì nella stagione dell’imp. Adriano e Antonino scrisse in greco il di lui più elegante traslatore e Romulo Amasèo si avvisa chi lege che quella parte di Asia la quale restrignesi fra ‘l Tigri e il Gange era l’india degli antichi, non già l’india di recente scoperta.

Repubblica verso l’anni del mondo 386 a.c. mossa sanguinosa guerra ad Antiocho Re di Siria perche le soldatesche ricevevano continue molestie nel dover passare quinci, e quindi per le spesse tortuosità di questo fiume, siccome rendevano malagevolisissimo il passo à carreggi, che portavan j loro arnesi e vittovaglie, né per le maremme di Seleucia dove a scaricarsi ne vola erano sicure le navi dal valigarlo, quindi per sentimento ed ordine de Consoli si riapri per quelle verdeggianti pianure un’ampia, lunga, profondissima cava, la quale terminava in un’orrendissima valle che dal fiume si divertiro  le acque , e nel mezzo dell’antico letto fu trovata la tomba dove giaceva ‘l cadavere del soprallegato Oronte e di altezza misurava XI cubiti, Orontem Sirye fluvium ad mare, non per campos, sed per valde declivia, et prerupta citato curau descendentem Romanoru Imperator, eccol dire il Console Acilio Glabione,  Antiocheam contendens, classi percinem Reddere conatus est. Magno Itaque labore impensins fossa  deducta in eam flumen avertit. Vetere vero alveo exiccato, urna fictilis reperta est cubitoru XI. Et in ea cadaver nihilo previus humana specie ex omni parte corporis hunc Orontem fuisse ex indorum genere; Da questa gigantesca ceppaia tutti li  numerosi discendenti cominciaron ad arogarsi il nome di Oronte, qual differentia tutta propria da ogni altra famiglia, anzi per autentica fede dell’aver ei rivaleggiato nella Media, Caldea, Siria e Grecia Asiatica donarono questo loro Agnome a’ monti a popoli all’intere Regioni |M| e  perche di quelle barbare staggioni non ancora si erano introdutti li cognomi alle famiglie, elleno si distinguevano da qualche avvenimento prosperevole ovvero sinistro, o li usurpavano un capriccioso Agnome il qual rito solenne |N| da Caldei passò in Egitto e di tempo in tempo andò praticandosi da Greci e finalmente si ebbe per inizio labil costume da Romani quindi li Torquati, li Cocliti, j Manlij, li Sempronij, li Gracchi, gli Scipioni, li Fabi, e cent’altri simili agnomi in appresso ingentilendosi vieppiù la zoticaggine de vetusti secoli, restaro  cognome di nobilissime famiglie, e avvegna che tra’l Cognome  e l’Agnome non vi sia intrinseca diversità, tuttavolta l’eruditissimo Paulo Manuzio, in fede de primitivi grammatici vi riconosce notabilissima distinzione, imperocche il Cognome  presso a latini succede immediatamente_________________________________

|M| Tolom: Alessandrino nella scrittione dell’Assiria Lyciò lasciò registrato, che quell’ampia lunghissima catena di monti che scorre per la Media fu già cognominata Oronte. Plinio nel c. XXVI del sesto libro dice degli antichi tutti quei popoli  h’abbitavano a confini del Tigri furono addimandati Orontes ed Orontei , anzi Calio Rodigino nel XXIII libro, al foglio: 889. dell’edizione di Basilea per testimonio di Diodoro Sic: nel XV libro, a foglio: 400 della correttissima edizzion, a traslatazione di Anversa scrive che un famoso  Capitano addimandato Oronte, il quale per la fedeltà, senno e valore giunse a farsi signore di alcune Provincie ridonateseli da Xerse Rè di Persia, del qual era genero.

Immediatamente al nome così Publio Lentulo Emilio Scipione, quel di più  che s’aggiugne dicesi Agnome e a ragion di esempio Publio Scipione Africano, Tito Manlio Torquato, e simili; Ma perché Marco Tullio Cicerone |O| servesi indistintamente in più luoghi delle sue Orazioni dell’Agnome per officio del cognome della stessa maniera Lucio, e Crispo Sallustio, a tal riflesso non serve consumare più il tempo  in queste pedanterie, questo glorioso Agnome di Oronte essendosi moltiplicato in tante famiglie per la Grecia Asiatica, per la Siria, e Caldea, perche fu sorbito da numerosi Eroi, per senno valor e militare comando assai de Cantati. Quindi fu, che di continuo se ne ritrova special memoria nell’istoria de Greci, de Siri, de Persiani. Passiamo ora a mettere in buon lume quei varj significati giudta la diversità degli idiomi che l’ebbero in uso. Che sia tutto proprio dell’Ebrea favella questo fan dubbitarcene j S.S. Geronimo, e Beda |P| che significa luce, composto da quest’altra dittione        Orontim val a dire lo stesso appo di noi. Luce nella fosca mestizia, e gl’ Ammoniti li Filistei per lo scambievol commercio Col Popolo eletto accattandosene molti  vocaboli, pronunziavagli poi alla foggia natia de Cananei, che per la magior |

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P| S. Geronimo nelle tradizioni Siro Caldaiche. Beda nel terzo tomo dell’istoria all’indice de nomi Ebrei Galian. T.1. Annal.

parte favellano in Caldeo, ovvero in Arabico Laonde significar volendo un medicinale di strapossente energia, dicevano con tutt’altro carattere e pronuciattione                e perché li Gittiani ebbero diuturna negotiazione con questa gente se n’usurparono tra le moltissime etiandio questa dittione, ma con diversissimo significato|Q| mentre ad esprimere quell’uccello ch’ad immote palpebre ricontempla il sole, dè consagrato ad Apolline, diconlo  Oron, siccome li Greci della Lionia rubate avendosi da Siri, da Caldei, e da Gittiani non perche dittioni, secondo la varia scrizzione, e declinazione           addinotar  ne vogliono cose diverse, e li loro         specialmente servonsi di questa seconda dittione ad esplimere il torchio da ricacciar oglio, e musto,  se bene gl’Attici dichinlo        ; quindi si può dire nell’idioma nostrale giusta la varia foggia de Greci, Oronte, ed Orontio, vero sebene, che presso a quej scrittori li quali |Q| Eliano, che nell’età di Antonino Pio Imper: fù discepolo di Pausania, nel capo XIV del decimo libro a fog.:       .Dell’Edittione  Tucurina . Budeo in fede Gio. Fran.co Mariana  nell’ultimo libro della sua istoria dell’orrenda inundazione che fuero j Longobardi per l’Italia, poco mancò che affatto non vi perdessero la scienza e la favella latina quindi deve il mondo litterato professare eterna obbligazione all’ill .ma  Religione de S.S. patriarchi Basilio, e Benedetto, perocche in quelle sonore tempeste questi con ardor con impegno salvarono con la pietà, l’idioma latino, e le perseguitate discipline in  Montecassino , e dei  Basiliani patrocinaronle in quelle due loro famosissime Badie di Squillaci in Calabria, e di Nicolò di Casole presso ad Otranto ma essendo pure in mezzo alla signoreggiante barbarie, imbastardito l’idioma latino, assai più del Greco, questa  fu la vera cagione dell’avere malevolmente traslati moltissimi nomi greci nella pronunzia latina , siccome tante Dittioni latine nella Greca, laonde Orentio in vece di Orontio, ed altre senza numero. 

Li quali fann’ispeciale professione di scrivere o di favellare, secondo la politissima dittione Attica ch’era fra Greci, come la Toscana nell’Italia, più volentieri s’appigliano a scriver Oronte, che Orontio, anzi saper deve il buon avventuroso Lettore, che molti scrittori Latini all’uso barbaro di quei clamitosi tempi, invece di lasciarci a nota Orontio scrissero Orentio, ed  il cardinal Baronio nelle sue note al martirologio segue lo stile di Beda, di Usuarde di Adone, e de Greci menologi nel farci raccondo? di Orentio, e compagni martiri nelle Spagne nel primo di maggio, siccome di un altro Orentio martirizzato nell’Armenia sotto Diocleziano a di 21 di giugno dichiarantesi già queste per si lungo corso di secoli oscurissime Verità devo mandare ad effetto un’altra promessa, ed è per appunto, il qui registrare con ordine cronologico di qual’anno capitato fosse una tale Progenia, sicchè addivenisse rinomatissimo per queste Regioni l’Agnome Orontio: abbiamo nell’undecimo a XIV cap.o di Giosuè e più distintamente nel primo de Giudici, che li Palestini, o siano li Cananei e specialmente l’immansueta progenia de Gicanti ch’essendo a viva forza discacciati per la maggior parte di tutte quelle Provincie ch’oggi da peritissimi Giografi nomansi Palestina, Fenicia e Calesidia, maritima,  né sapendo come qui fronteggiare, al valor, alle fortune del popol Ebreo,  a guisa de bachi disolatori all’orche dall’alto si pittano alla preda de verdeggianti prati si dispersero a schiere a schiere per le confinanti Regioni e col passare degl’anni, a gran mercè di loro crudelissima valentia s’impadronirono di quasi tutta la Grecia asiatica, né satolla ancor lor furibonda ambizione per si nobili conquiste si portarono ad assalire le si portarono ad assalire le isole che stann’a rincontro dell’Anatolia, difatto riuscì prosperoso il disegno , perocche Cipro fu la prima a sentir il grave anzi strabocchevolmente tormentoso gioco di questi barbari |R| ed ecco già dilucidato quell’oscurissimo testo di Geremia, dove fa promesso l’Altissimo di voler annientare tutto ‘l poter di quei tanti nemici del suo Popolo. Depopulatus  est enim dominus Palesthinos et reliquias insule Cappadocie, dove nel testo ebreo, o siriano leggesi             . Reliscrin?

|R| Gerem: C. 47 Christoph. a castro in Ieremiam . Iacobus Galianus T.1.  annaliu in anno 1931 ? THEODOR IN C. 47 Jeremia D. Hieron in c. XII Ger?. D. Egighanus in Huclion ?: sapra il mio Lettore che di sopra si è ragionato della vera Cappadocia tutta mediterranea secondo Tolomeo e Strabone per questo Agnome venne nell’età di Plinio seniore comunicato eziandio a quell’ampia Regione, la quale lasciandosi a destra l’Armenia e l’antica Ixscania? scorre fin alle spiagge del mar nero ed ebbe già per sua metropoli la decantata Trebisonda dove l’infelicissimo Isaac Commeno fuggendo da Costantinopoli piantò in questa città il  fisaggio ?  dell’impero

Celistim  et caphtorim che giusta la sposizione di Cristoforo da Castro dal Galiano di Teodorato e da altre S.S. P.P. non già intendersi deve quell’ampia provincia di Asia, la quale si appella Cappadocia, per esser questa mediterranea la dittion adunque Insula Capthor intender debbiamo l’isola di Cipro, che quando la Cilitia, e la Siria, vero, ch’alcuni spongono questa voce chaphthorim per quell’altra Cappadocia che ne scorre verso la Propontide, ma, per quel mare ne meno s’incontrano isole di considerazione; oltre che quella parte di Asia era toccata in sorte alla famiglia di Giafet, non già a discendenti di canciato giuste’l comune sentimento de P.P. e sagri Dottori. In appresso questi medesimi Palestini, o siano Filistei, colla prosapia gigantesca, originata da Henac? L’insignorino di tante isole della Grecia in Europa e particolarmente di Candia, e ne fa speciale ricordo Ezechiello, all’orche minacciando nel cap.o XXV: questa pessima gente di questo tenore ne favella. Ecce ego estendam manum meam super Palestinos et interficiam interfectores, e la germana traduzione de settanta fa così legg. Ecce ego estendam manum meam super Attiogenas? disperdam cuexemes, et habbitantes maritimam. Lodato’l cielo, che, per autentica fede di questa storia, ne mettiamo a luce non già ‘l testimonio di qualche profano scrittore ma dell’istessa Divina  Scrittura l’autorità che servemi  a guisa di luminosa fiaccola per porre via quelle fosche caligini che li si parano dinanzi nella lettura di storici Gentili e voglia ‘l vero questi esser dovrebbe lo scopo principale di chiunque a saper di nobilissima Erudizione s’applica di proposito ne studi. Fattisi dunque questi Filistei dove Padroni dove esterminatori delle tant’altre isole, poterono con tutt’agevolezza fermare il domicilio nel vicino continente di Grecia, e perche frequentavano sovente il commercio co Nazionali dispersi per tante provincie dell’Asia, ecco quindi vien a galla la nuda verità, che sepellita giacque in quelle rinomatissime favole di Europa rapita, e di Dedalo, mezzano assai, cattivello per quel tauro consigliero del re Minosse |S| tutta quell’immensa  propegia dè Cananei fu per ischerno dagli Ebrei nominata, Agarei, ed Ismaeliti a motivo di ricordar aversi la discendenza da Agar serva e concubina di Abramo, e da Ismaele generato da questo Patrarca con Agar, il qual Ismaele a suoi XII figlioli avendo lasciato un particolar Agnome, donò in retaggio al primogenito e a suoi immediati discendenti l’Agnome di Agareni, e di Ismaeliti, che poi à danni d’ Europa di Asia di Africa abbandonando le orride solitudini di Arabia furo chiamati Saraceni. Li Filistei a dunque, che s’avevano usurpate tante belle provincie d’Europa allo spesso si imparentavano con questi Agareni che da allora girano dispersi per le Arabbie e per la Celicia il di cui sovrano mandò già una sua figlia per isposa al Re di questi nazionali che signoreggiavae in Cipro, Candia, e nell’Acaja ma poichè di quell’etàdi alle muse si dovevano plausi, inchini ed una pienissima credenza, ecco dalla greca poesia il capriccioso infingimento nel darsi a intendere il rapimento della bellissima fanciulla Europa fatto da supremo Giove  sotto le comparite di mansuetissimo toro: fu costume dagli Assiri di chiamare i loro divinizzati monarchi nell’Agnome di Belo ovvero Nino, e li Greci ad imitazione di questi nominavangli Giove |S| Quasi tutti i popoli dell’Arabbia furo per lungo corso di anni cognominati Agarei ed Ismaeliti e dovre gli Ebbrei per eziandio caricar d’ ignominie gli Fenici addimandavagli li or Agereni ora Ismaeliti tutt’altrovercio gli Arabi e li Fenici tenevanlo per un agnome di singolar vanto perocchè supponendo, che la linea maschile di Abramo con la moglie Sarà fosse del secondo legittimo letto, quando già erasi sposato in Agar, dalla quale moglie nacque Ismaele quindi a questi non già a Isacco riferiscono la primogenitura come già alla distesa ne scrivono li P.P. e sagri Dottori allegati dal P. Giacomo Galiano nel L Tomo de suoi celebratissimi Annali, di poi vero l’età dell’Imperatore Eraclio l’usurparo l’Agnome Arabesco di saraceno, che in quell’idioma significa Malandrino, Baronavio ?, Vagabondo, Dominante, ed altre simili cose giuste la variazione dell’accenti e delle vocali.

Giove |T| Siccome tutte queste nazioni tenevano in conto d’inviolabile rito, lo scolpire nelle monete, ne vasellami di metallo ed in ogni altra cosa di particolare stima dipignere l’effige di qualche Bruto, ed in questa nave dove veleggiava dall’Asia in Europa la figliola del Re Agareno stando effigiato un toro su di questa base laccorarono quella celebre favola frapponendo eziandio l’Agnome di Agareno in quello di Agenone Re di Didone cioè della Fenicia verso gli anni del mondo 2610 dell’ingresso del popolo Ebreo nella Palestina anni 90 giusta ‘l computo degli eruditissimi Giacomo Gagliano Giovanni da Bussiores, Riuiolo ?, e cent’altri

|Z| Nennod fù nominato da Gentili scrittori Belo dallano e Caldea Bell che vuol significare il sole e perché quest’istesso divinato Nennod era in conto di supremo nume presso a Siri a i Filistei, a Gabaoniti, e Samaritani dicevanlo secondo ‘l natio dialetto Bahal Bahalphexgor, ? cioè sole Dio dei pianeti e degl’orti, delle selve,delle ville, che poi da Greci si disse Giove, e Priapo=tanto ne scrivono il Gerario, il Fernandex, il Tostado, Corn: A lapide sopra il cap. XII della genesi che la favola d’Europa rapita avesse per istorico fondamento quell’effige di toro dipinta nella poppa di quella nave su cui dall’Asia era condotta la real fanciulla per isposa al Re di Candia e che si dicea Giove. E’ questa una verità tanto nota nell’antica istoria che non servono ragioni a piu di linearla. Cent’altri da quest’Europa dunque nato essendo al Re Giove un figlio lo volle nominato Minosse , ed a suo tempo niente meno dal genitore fu da Poeti scelto per caro obiettivo delle loro invenzioni . Io però battendo l’orme di Zeze |V| di Eusebio di Natale  Conte ne metterò in buon lume la nuda istoria. Non assi per cosa infallibbile se Minos fosse natural figliolo di Giove anzi moltissimi autori lo suppongono di bassissimi natali lo che nulla s’appartiene all’integrità dell’istoria mentre per quel tanto riguarda il mio disegno basta che l’abbia da tutti li scrittori per legitimo Re di Candia e perché faceva sanguinosa guerra a popoli dell’Attica fulli bisogno di portarvisi alla testa del suo esercito acciò coll’esempio rincorato le milizie vendicassero la cruel morte di Androgeo suo figlio come a lungo scrive Plutarco.

|V| Plutarco nel suo Teseo. Pausania nel 1 libro a fol. 6 dell’Edittione di Basilea . Zeze nell’Istoria universale al capo XIX, della prima Ehiliade o sian i primi mille anni della creazione. Omero di poi nel V libro dell’Odisse l’appella figlio di Giove, e nell’ultimo lo tiene per discepolo di Giove. Eusebio ne lascia indecisa la controversia siccome altri moltissimi egli fu cosi prudente, giusto, e coragioso, che per mezzo de virtuosissimi ministri ottenne dalla fama il vanto di Re felicissimo, e con singularità caroggiato da vassalli, siccome da Poeti riportò quel fastoso titolo di Primo Giudice nel cessar ? I suppliccj Arei laggiù negli abissi avendo Dedalo avuto un figliuolo da una delle figlie di Cocielo, restò di poi tiranno di molte terre e castella di Sicilia e alla perfine ebbe a pagare di buona moneta la fellonia del padre lasciando ‘l nome d’Icario a quel mare, dove restò annecato.

Plutarco; stando ei pertanto fuore del Regno un favorito per nome Tauro, smodatamente invaghitosi della Regina Pasifae, tanto fè, tanto disse, tanto seppe giocar di machina, ch’alla perfine la disleale Regina donò favorevole rescritto all’impazzato amante e tutto si mando ad effetto per opra di un certo Dodalo Furcimanno assai decantato in tutte le lingue che sappia favellare impudico, traditoresco ambire; Da questo sincero avvenimento j poeti ricavaro la favola del Minotauro, del labirinto e simili farfarucche, doppo qualche tempo essendo tornato alla sua Regia il vincente Minosse, e assai di ogni altro crudel sinistro dispiacendosi quella nuova troppo visibile corona ch’avevagli già lavorata sua consorte tutto si diè, alle streghe e avendo pieno ragguaglio ch’j felloni erano già scappati nella città di  Carmio? erano stati accolti con eccessiva liberalità; risolve di portarsi in Sicilia con una sceltissima armata di fatto capitovi a salvamento ne vola all’assedio di quelle mura ma le figlie di Coccalo, il quale ne era signore invaghitesi di questi giovagnastri, tanto poi, tanto fu scaltrito e costante l’Amore, che divampava in petto a queste fanciulle di infine per caro guidardone di machinati tradimenti, l’infelicissimo Re Minosse sotto di quelle mura perde la vita. Non vi hà più dubbiezza che femminil incostanza quando ad amare di buon Amore si risolve ogni difficoltà più malagevole ogn’oste  più forte assale, combatte e vince; ma pur j suoi trionfi finiran’ in  affanni lacrimose sconfitte. Forse mi si rimprotterà , d’averlo  io assai vertito dal fine perscrittomi, di grazia l’ingannerebbe chiunque di questo tenore giudicar lo volesse  mentre a penn’e calamaio  majo si vedrà che punto non ho scambiato l’epilogo col proemio, quidi s’alcun cane mi morde avrò sempre del suo pelo. Dunque ritorniam all’intralasciato racconto. Veggendosi in una tristissima confusione tutt’i maggiorenti, di quel’esercito, nelle soldatesche avendo più lena da vendicare con la strage de traditori la morte dell’estinto dilettissimo lor Monarca, si fann’a navigare di ritorno alla Patria, ma nel più bello riassaliti da nuove più furibonde procelle, si temevano già per del tutto perduti, e buon per essi che la generosa marinaresca ebbe tempo da gittassi  tra per le arene che ad urtare né scogli, o in quelle ripe alpestri, di cui van seminate le spiagge di quel famoso promontorio che dal biancheggiar delle sue straripanti balze da Greci fu cognominato Leuca; Questa istoria va fedelmente posta à nota dell’eccellente storico Erodoto |X| e ne conchiude di questo tenor la narrazione. Et dum circa japygiam Carsum tenerent ingenti eos tempestate ad orta in terram fuesse eiectos; e perche stavan ei ripieni di spavento per le sofferte calamità e siccome assai piacendo loro l’amenità di questa dovitiosa Regione, scordatisi della Patria vi fermaro stabile Domicilio, attendon di proposito ad edificarvi ville, città e castelli, ed ecco viè più rischiarato quel testo di Strabone: memorie proditum est salentinos Cretentium fuisse coloniam alluder non  solo volendo a quel molto, che ne lasciò a memoria Erodoto |X| non n ha che dubitare di esserci state tutt’intere le famose Istorie de recitati Autori sin all’età dell’Imperador Costantino Magno, ed in appresso avendo cominciato ad inondare per tutt’Italia li Barbari con tant’altri archivi, restaro bersaglio delle fiamme sicchè l’erudita posterità solo n’ebbe alcuni preziosi avanzi e può al certo Tucidite millantar sue particolar fortune a rimpetto di Genistio di Teopompa di Ctesia, e di tant’altri, mentre abbiamo la maggior parte delle sue opere dove costoro ne hanno fatto baratto al fuoco disolatore.

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Erodoto ma per quel tanto ne avea letto presso a Tucidite, a Genesio, a Teopompo fra li nuovi coloni originali da Candia e Cipro trovandosi un’immensa copia di Ammoniti Filistei e Gicanti, perche questi grandeggiavano sopra l’altri in un tutto barbaresco coraggio  di facile potevano insignorirlsi di buona porzione della Japigia, ed a prova della lor immansuetissima fierezza da Greci mandaro soprammodo esecrati, e siccome questi per ischerno nominavangli Antropofagi, Lestrigoni, Gicanti, Giclopi, li Filistei dicevangli Zon Zommin, Enachim, Oronta, e volean significare uomini fuor di modo crudeli, superbi, ed ertissimi di statura, che traevan l’origine da quel ricantato Gicante Orontio di cui abbiamo già scritto. |Y|Ed ecco dimostratocon tante delle inespugnabili ragioni il come |Y|Averta ‘l mio erudito lettore in fede di tanti lealissimi scrittori che quell’Oronte come ci accusano Strabone e Diodoro Sicolo, il quale diè il suo nome al fiume Trifone di sopra  riferito non fu già al medesimo con quell’altro, di cui vi narra Pausania, mentre questi fiorì gran tempo prima quest’altro Eroe  

______________________________________________________________________________________ Il come il quando l’Agnome Orontio cominciato fosse a nominarsi per queste Regioni che se il mio Lettore abbia curioso desio di voler sapere la nuda verità, che l’asconde nelle celebratissime favole  de Listrigoni una volta combattuti, e manomessi dall’invittissimo Ercole in cortesia, mi perdoni, da che l’argomento ch’o per le mani non tien relazione con tal racconto, sappia però ch’a suo bellagio rileger dovra queste, e cent’altre verità della più canuta istoria, quando mi si doni tempo libero da  cento e mille impegni che intorno mi s’affollano. Ma perche vi son non pochi Glitici ch’ostinatamente si fan lecito di canzonar la venuta al diuturno soggiorno di questi Lestrigoni tenendo per incontrastabile dogma che tutto sia inventato di pianta da scaltrissimi Poeti a disingannarli da così erronea persuasione ben volentieri ne tessero succinto ragguaglio e dove poi all’evidente testimonianza  de veraci scrittori,  e dell’isperienza siano per dare franca risposta con un sorrisetto motteggiatore, allora io mi protesto, che a convincere questa tanto ridevole saccenteria; altro mezzo più efficace non trovo, che mandare costoro all’Ospidale de Mattarelli, e la ricetta ne fu gia la pieta a note chiare da Platon, da Socrate, che dove manifesta ragione non giugne sopra farsi buona ragione il bastone. Prendiam dunque per la mano Eratostene, Beroso, e Metastene e allegato da S.S. Agostino, Geronimo, Epifanio contra di Lattanzio, di Giuseppe Flavio Ebreo e di quei moltissimi Autori recitati da Paulo Burgens e dal Pererio, che volevano essere i Gicanti figlioli legitimi del demonio framischiatosi a bella posta con le donne e in essi legeremo che una tanto pessima schiatta essendosi dispersa per tante Regioni del mondo, vi sortirono nomi diversissimi giusta’l vario idioma delle Nationi; dagli Ebrei si dissero Naphil Raphal Hanach, da Cananei Zummin Zon da Greci favolatori  Gicanti cioè figli della terra e di mano in mano secondo la loro erudizione e usanze s’addimandarono Antropofagi, perche si cibavano d’umana carne, Lestrigoni da spietati assassinamenti, Ciclopi dall’essere giudicati affatto privi di ragione , quindi se l’infinsero i Poeti con un sol occhio, situato nell’ampio della fronte che cosa avessero fatto per la Salentina Puglia e campagna felice si può argumentare dalla lor empia insanissima natura, e chi vano fosse di averne accurato ragguaglio potrà leggerlo al fogl. 208. Del quarto libro di Diodoro Sicolo, fattosene l’Edittione in Basilea, presso a Strabone o Beroso e restarà di tutto punto satollata la curiosa brama |$|  se mi…?  su di questa verità sacorarono poi tante delle ngegnose dicerie, ch’affatto eclissarono ogni barlume della vilipesa istoria, anzi quel superbissimo Membro o sia Belo, perché da Greci fu distinto coll’Agnome                  Vir egregius, ac par superis di ugual maniera tutti li più rinomati Eroi, nel militar valore ad imitazion di questo primo Eroe Assiro appellaronli Ercoli, Gittiano, Libico, Tebano e simili, che un’immensa schiera di taj Gicanti rimanesse affatto combattuta e sepellita in quelle grotte che guardano il mare lungo le amenissime piaggie di Leuca tutto di van iscavate dai Paesani , denti molari, costole, spatole?  teschi di tanta stupenda mole, che ne fan toccare con mani l’ertisissima ed ampia statura di questa gente che se ad una si palpabile evidenza

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|$| Strabone in più luoghi fa speciale ricordo de Lestrigoni  nel fogl. 272 dell’edizzione Zugurina e nel fogl. XIX del primo libro, dove ne scrive di pari

Con sentimento a Diodoro Sicolo che quest’esecranda gente  tenea impedito il commercio per mare e per terra dalla Sicilia in fra a Brindisi e da Licata fin a quest’ultimo continente. L’ Agnome di Ercole in fede di Varrone fu donato a 42 famosissimi campioni, e la Poesia de Greci tutt’applicata a mentir con garbo, ed arte, di tanti Ercoli ne formò un solo Eroe, nato press’a Tebe con a lui riferire tutte le più memorande gesta degl’altri, come ne tesse diligentissimo ragguaglio Giac: Ugone nella sua Istoria Romana.

Evidenza qualche critico già dottoratosi nella Palestra  de Scettici, risponder voglia che ossa tanto stravacanti fossero state generate dall’istessa miniera delle pietre ovvero che la natura per ischerzo di sue portentose bravure della semplice terra già quasi impetrita a lai di sol cocente, ed al soffio delle gelate tramontane formati ne abbia teschi, ed altre simili ossature; in tal  supposizione con nerbuti argomenti,  provandone non già sol affermare questa metamorfosi di natura chiunque vuol darsi a conoscere buon filosofante altrimente coll’uscirsene nel rotto della cuffia tutto verrà a negarsi, di tutto si dubbiterà, senza alcun riguardo alla sperienza, che insegna il contrapposto, a quei principij di sana filosofia ci dann’a bere gli scettici che per cortesia avverta ben il saggio lettore che spesse fiate ad ostentar novità, si certa ? e cade dove nemmeno un ignorante fanciullo no  troverebbe in ciampo e fossi caduto ! Il perché datosi fosse il nome di Publio al nostro santo non è argomento di così facile disbrico, siccome non abbisognano ragioni per  mostrarne la sua prima origine da candiotti o sia da Palestini, quà venuti a tiranneggiare con le numerose colonie, e la stirpe di Naphil, e di Anach verso gl’anni del mondo 3680 per quel tanto, che ricavasi da P.P. Sanviano Petanio, Ricciolo e de Bussier|… | per cagion delle strabocchevoli granelle che li ministri della Romana Repubblica di Pompeo Orazio Aurelio Vittore c. 40 de viris Illustr. battaglia si attaccò da Paesani in vicinanza di Brindisi essendo Consolo Publio Sempronio e dopo alcune ore d’una tutta dubia sanguinolenta pugna, li Romani alfine vi restaro per la magior parte tagliati in pezzi e Publio ebbe gran fortuna nel salvarsi con una precipitosa fuga. Li recitati scrittori ne fann’avvisati che il Senato di Roma risoluto avendo d’impossessarsi di Brindisi non già perchè fiorisse di ricchezze valori e possa, ma tenendo egla un si famoso porto assai comodo per la negoziazione di levante, a questo disegno affacciando li consoli che volevano guerreggiare ed impadronirsi della Regione Salentina, perché questi popoli aveano dato soccorso al Re Pirro ed a Tarentini, quando è manifesto di essere stati giurati nimici, anzi sempre irreconciliabili sotto queste palpabili imposture colorando l’ingiusta guerra ei ne misero a capo dei loro disegni di fatto restatine  vergognosamente sconfitti la prima volta dopo li voti fatti alla Dea Pale o sia Vesta, com’ inconfuso accenna Floro vi si portò il Consolo assai rinommato M. Attilio Regolo con la Milizia  più scelta della Repubblica, ed all’ora si mutarono le vicende a favor dei Romani;  vero però che da Nazionali combattendosi con disperato valore e riserba di alcuni Battaglioni, tutta la Milizia cadde esangue  in quel ostinatissimo confitto com’era già sortito all’Esercito, Consoli P. Sempronio ed Appio Claudio nel Piceno, di tal guisa che ne scrive Eutropio con queste formule: Tristre a deo istud bellum fuit Romani autem pauci admodu, qui eo pregio evasere vicexunt, et de his triumphatum est. D’allora cominciò  la sorte a voltare dispettosa il volto a combattenti Salentini mentre disolate le loro città, e popolose terre menavan una vita più da schiavi, che da vassalli di quell’insolentissima Repubblica ed in questo stato di miseranda ignominia duraronla poco meno di sessant’anni se la fortuna avesse perseverato nel correr alla seconda de loro superbi disegni mai più l’esecrata Roma avrebbe per queste Provincie  sventolate le vincitrici bandiere. Essendosi pertanto gittati in sen alla disperazione per di tal maniera confessar alla prova de fatti, sempre verace l’opinion di Seneca all’orche disse non esserci cosa più dolorosa ed insopportabile per ogni uomo d’onore, e nato libero che la faccia di servo, anzi per non sentire fra – ligami ristretti ’l suo arbitrio ben volentieri chiama a singolar tenzone la morte, e crede di aver vinto, con averle  ceduto la vita.

Datisi dunque a spalleggiare Annibale, in quel tempo che l’astuto Cartaginese guerreggiava contro de Romani, per la Giapigia si ristabilirono nella perduta libertà, ma fu troppo breve il contento, perche a capo di qualche anno dell’ignominiosa tragedia che vi rappresentò Cartagine in persona del suo Annibale, li Salentini furo da vincenti Romani distinati per soggetto di una tutta lagrimevole sede, ed in questo calamitosissimo stato duraronla per molti lustri; Di poi vi si mandò grossa schiera di coloni a ripopolare Taranto, Lecce, Brindisi oltre le tant’altre famiglie de soldati, già fattisi nulla più idonei al mestiere degl’armi, o per la soma degl’anni, o per altro sinistro, siccome ricapitandovi da Roma, e dalle confinanti Regioni | | altre famiglie, o spedite a questa volta dal Senato, ovvero

| |Il Panvino scrive di Lecce già disignata colonia de veterani nella stagion di Mario, e di Silla e fra le città ch’ebbero coll’onore mentre Lecce nel numero 153 alla pagina 746 della Veneta edizione erasmiota e da Frontin ricavasi che più fiate dal Senato furo creati de nuovi magistrati  a questo fine, che girassero per Italia, e poi lo facessero avvisato se le Provincie erano bisognose di gente, ed alla di costoro sincera relazione si mandavano nuove famiglie tanto più che Roma sorpassando li tre milioni di abitatori si tenea bisogno per legge del buon governo sgravarsi de tanti migliaia di sfacendati.

Ovvero di spontanea elezione e questo particolarmente accaduto leggiamo presso a Tito Livio, a Marco Tullio, a Sallustio dopo li nuovi isolamenti per l’Italia (arregatisile dalla guerra sociale dalla rubellagion de schiavi Glaviatori,  essendono Spartaco promotor e caporano delle sanguinolenti discordie fra L. Silla e Caio Mario, verso gl’anni del mondo 3969 nell’età più florida del gran Pompeo di Giulio Cesare e del famoso Caton Uticen: ); laonde per lo diuturno soggiorno, e per lo commercio co Romani passato passo da salentini andò mettendosi in disuso. Ogni rito alla Greca ed in vece di questa natia favella cominciò a farvisi Nazionale l’idioma Romano, e questo costume con ispecial impegno fu praticato da quelle città ch’ebbero la gloria di essere elette Colonie, o Municipio per decreto del Roman Senato; ed avverta ‘l mio saggio Lettore, che le città disignate per Colonie, o Municipio, non già intender dobbiamo, che fosser elleno spogliate di Paesane Famiglie mentre una tal supposizione sarebbe di pianta falsissima quando già ‘l testimonio di cento e mille veraci scrittori ne fa toccar co mani la verità di questa mia relazione.  Introduttasi dunque  per le Colonie la foggia di vestire del favellar, e dogn’altro rito civile alla latina | |Ecco già messo in chiaro lume il perché al nostro santoimposto si fosse il nome di Publio, essendo già passato ad essere Cognome di famiglia, quest’altro Oronzo

| | Infra dall’età di Romolo lo praticò questo costume d’introdurre ne soggiocati popoli, non solo la religione ma pur anco ogni rito civile alla Romana a tal disegno, che passo passo mettendosene in oblivione le paterne usanze,  ci rimanessero addattissimi a Roma, come ne scrivono Frontino, Ligonio, Aur., Vittorio Panvino, Curopolde ? ed altri celebratissimi autori; anzi le città già fatte Colonie erano con ispecialissima obbligazione tenute a conformarsi del intutto alla foggia de Romani, Niceforo ne fa distinta contezza nel libro della sua istoria

che se un qualche guasto cervellino poco o nulla ricever volesse a grado taj contezze, ripescate a grandissimo stento, in ossequio del nostro Santo; lasciamolo pur dormire lieto, e festoso in seno alla sua ribalda ignoranza ,lasciatelo  pure spiattellar carote ed erudite muffagini se già la fama ne va risonando a suo particolar vanto, quel di Aristotile, e di Platon giustissimo rimprotto Qui eiusdam  magis est opera pretium videri sapientes, et non esse, quam esse, et non videri. Mi riman ora il qui tessere veridico, e succinto ragguaglio intorno a questi tre punti. Se il gran Oronzopossa Francamente addimandarsi primo fedele, primo martire, primo vescovo di questa Provincia ed avvegna che sia questa una malagevolissima impresa, tuttafiata spero nel patrocinio di detto santo,  che mi faccia scappar fuori da tanto intrigato labirinto.

Egli è comun sentimento de S.S. P.P. tentati da Metafraste e da Corn: à lapide e dal Baronio | | che S. Pietro verso il principio dell’anno 43: della comune salute nell’anno secondo dell’imperatore Claudio portato si fosse la prima volta à Roma, ma per sentimento de recitati scrittori l’Appostolo S. Pietro non fu questa volta nel nostro Regno, mentre dalla Palestina indirizzando ‘l viaggio per la Siria ed Anatolia, indi prendendo ‘l camino di Bitinia di facile ne venne dalla Propontide nella Tracia  e di la Itone  per la Grecia, ed Illirico ne venne in Italia valicando straripevoli montagniaccie, valli orrendissime, e fiumi senza fine.

| | Metafraste nella sua cronistoria Lapide nel cap. XVIII degl’atti Apostolici, Baronio negl’ annali verso l’anno nono di Claudio Imperadore nel qual luogo sono allegati tutti questi li più famosi  S.S. P.P. a favore di questa opinione.

Senza fine l’Appostolo Paolo fu la prima volta a Corinto nell’anno 51 di nostra redenzione, e nono dell’Imperadore Claudio, nel qual tempo li Giudei, che facean a Roma soggiorno, non avendo più maniera di simulare il gran odio che portavan a cristiani e con ispecial ardore l’Appostolo S. Pietro avrebbero voluto bersaglio di loro smaniosi furori. laonde per opra di mille e mille calunnie girono impedendo la conversione dell’idolatri, anzi furo così efficaci queste loro imposture, che sturbavano etiandio la credenza de novelli Battezzato, di che ne ebbe distintissima informazione il Dottor delle Genti che da allora ritrovavasi occupato nella conversione di quell’ostinatissimo popolo di Corinto verso ‘l cinquantesimo primo anno, nel qual tempo per decreto del Senato ed istigazione de sacerdoti dell’i idoli che sopramodo esecravano la nostra religione furono scacciati di Roma, li Giudei e S. Pietro con tutti li Cristiani quindi per divina disposizione raduraronsi in Gerusalemme alcuni dell’Appostoli per celebrarvi quella tanto  rinombata Sinodo, ed a capo di qualche tempo essendosi S Pietro intrattenuto in Antiochia e per le Regioni di Siria perché Claudio fu cacciato dal mondo 3 (con veleno per opra di Agrippina) nell’ottobre correndo l’anno 56 della salute e XIV del suo Imperio di nuovo li Cristiani sbanditi si portarono a Roma, mentre Nerone di quel tempo nè gl’ amava nè si curava di perseguitarli, stand’ei tutt’applicato al buon reggimento della sterminata Monarchia e l’Appostolo Piero ebbe d’allora disegno di portarsi a quella superba Metropoli del Mondo, ma fu costretto a starsene in Asia affine che si rassodassero nella fede quel novelli Cristiani, peroche dalla Greggia d’ eseguaci loro erano scappati molti rapacissimi lupi che per mezzo delle predicate Resie in tante guise malmenavano la fede così li Nicolaiti, e li Giudei Apostati di questo tempo correndo l’anno 57 della Redenzione e primo di Nerone fu data etiandio facoltà a Giudei ci venirne a Roma, e S. Paolo per la seconda volta si portò a Corinto a motivo di sedarvi alcuni gravissimi disturbamenti che s’erano eccitati per caggione di alcuni stramalvaggi Cristiani li quali datisi in preda all’ambizione, alla scorretta licenza givano spargendo certi dogmi di  molto pregiudizio all’integrità di nostra fede, com’egli protesta nelle sue Pistole a Corinti. Trovandosi dunque Paolo occupatissimo in affari così premurosi, ebbe ragguaglio, che in Roma di nuovo li Giudei mettevano sossopra questa grossa schiera de ripatriati fedeli | | perche favorendo ei quel tanto decantato Simone Mago, gran parte di Roma Idolatra era a lor favore poscia che questo infamissimo apostata, e irriconciliabile nimico dei cristiani per virtù de suoi portentosi incantesimi si menava dietro adoratore e panagirista tutto quel popolo;

| | Teodorato ne fa speciale memoria c. 62 Lattantio  l. 4.io cap. 21 Didimo in epistola D. Petri c. 3 Hjppol: de Anticristo Clem: Aless. Strom. L. 6 . Simone fu detto Mago per li suoi frequenti prestigi anzi S. Ireneo, e S. Cirillo suppongono ch’avese particolar assistenza de primi demonij

Quindi si mosse l’Appostolo delle Genti a far avvisati li Romani, che stessero vigilantissimi nel no farsi soddurre ed acciò che questa sua lettera dogmatica  mettesse maggior energia spedilla a quella volta per un suo discepolo nominato Giusto ma che non gia fu quel Tito Giusto da lui sovventemente nominato, che poi lasciò vescovo di Creta, e perche più facile riusciva il noleggiar dalla Gregia a questa volta doppo alcuni giorni vi capitò Giusto ed avendo convertito Publio Oronzio proseguì ‘l camino di Roma verso l’anno secondo di Nerone e 57: della comun salute. Quindi di nuovo si portò alla Region Salentina per di poi far vela da queste piaggie in Grecia, mentre a navigare dalle maremme salentine più esposte al sol nascente Eusebio nella sua Istoria Cronografica Zonora potiamo noi dunque slontanarci da un tanto veridico racconto per sottoscrivere il nostro voto a questi autori che tutto ‘l sentimento loro costituiscono unica base in su l’inveterata tradizione, senza che a favor loro n’allogassero un qualche Dottor o SS. Padre o per lo meno in qualche famoso scrittore di quei primitivi secoli; Dunque riman incontrastabile, la persuasione di esservi capitato il Gran Appostolo, ma non già questa verace tradizione ne contesta il come, il perche, il quando e donde fosse di capitato se dunque nulla probbabile  sipara dinanzi la sua venuta nella Salentina, per la prima volta che S. Pietro n’andò dall’Asia a Roma di certo non ci ha più ragionevol motivo da prudentmente dubitare ch’egli nella seconda gita a Roma non avesse dall’Oriente preso terra in queste piaggie. che se poi un qualche scettico a canzonar si mettesse invariata antichissima tradizione lettor mio gentile caro sappi che non ho tempo a mio bell’agio da consumarlo forse allo’nvano per convincere di superba ignorantagine tai Bietoloni, Or via mettiamoci a riferire con qual occasione S. Pietro navigando a Levante dall’Italia; a queste maremme essendo capitato fattovisi fossevisi intrattenuto per qualche tempo sol a motivo di predicare all’idoladra gente la fede del Redentore.

Correa l’anno 66 di nostra salute e decimo dell’Imperio di Nerone , all’orche questa immansueta coronata Belva per la sua troppa eccessiva prodigalità con avere usato l’Erario straricco già di tanti milioni d’oro, oltre l’essersi impossessato de tesori di Seneca e di tant’altri suoi famigliari a quest’effetto cacciati dal mondo con violenta morte si era ridutto a tale bisogno, che da Senatori Cavalieri e negozianti giovane mendicando soccorso, e perche fra costoro numeravasi grossa schiera di Cristiani, à quali niun male fin a quel tempo aveva regato per consiglio de suoi pessimi Favoriti, si mosse a volerli perseguitare | | non già per odio, e stizza contro la nostra Religione, ma per fin diretto ed ultimo acciò che si facesse richissimo con le loro sostanze e perche molti rioni di quell’alma Metropoli per essere ancora sul piede antico ne aveva potuto ottenere che si rifabbricassero li palazi con più superba Architettura  nel buio di silenziaria notte vi fè appiccar fuogo e l’incendio fu cotanto strabocchevole che di Roma la magg. parte divampò e si ridusse in cenere. Quindi dandosene la colpa di fellonia all’innocenti cristiani, l’Empio, il Barbaro Nerone ebbe tutto il commodo di farne orrendo macello.

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e così venne a satollarsene, l’avarigia, con farsi legittimo, erede di mille e mille assassinate famiglie di Cristiani;  anzi a vie più dar colore a queste sfacciatissime imposture , cominciò Simon mago a spargere per la città e protestare all’istesso Nerone, che tra li principali congiurati all’esterminio suo annorevansi li Cristiani; laonde per ogni angolo di quel vastissimo Impero rembombo un eco di minaccie, di carneficine all’abbattimento totale de Cristiani; e perche li generosi Apostoli, Pier e Paolo con sudore, e pericoli avevano piantata la fede in Roma promulgandolo etiandio per tante Provincie dell’Italia a riflessi di non vederla combattuta e manomessa in quella famosa Metropoli del mondo; la ne vennero S. Paolo dalla Gregia e S. Pietro dalla Siria nell’anno 68 del redentore XII di Nerone, essendo Console Svetonio Paulino, e Ponzio Taleijno, sicchè  inviaggiando da questa regione alla volta di Roma il Gran Appostolo Pietro vi trovò S. Oronzo già creatovi  vescovo dal Dottore delle Genti, ed e come ne festegiò al vedere in Oronzo scolpito al vivo lo zelo la fortezza  e la generosa costanza di S. Paolo, gia suo Precettor, ed esemplare. Ed ecco alla perfin dichiarata questa tanto nascosta verità di essere stato il nostro Santo primo Cristiano de Salentini; Ora si che ben li si conviene quel medesimo encomio dato gia per comun sentimento da P.P. e  sagri P.D. al Patriarca Abramo : Pater credentium il di più lo riserbo ad altro tempo, mentr’ora ho tantisimo special impegno nel studiar del nostro Santo le cose più oscure.


La statua di Sant’Irene che sovrasta il portale. 


Il documento che qui pubblichiamo è nella versione originale. Non si è voluto per comprensibili ragioni archivistiche alterare il contenuto, non revisionando e neppure correggendo il testo, ricco di impurità lessicali e linguistiche. Il documento contiene alcuni spazi vuoti che presuppongono la volontà dello scrivente di integrare in una fase successiva come pure alcune note numeriche che non trovano poi seguito. Alcune note tra le “stanghette” non sono riportate perché tali simboli non sono reperibili sulla tastiera e a malapena distinguibili.

Documento digitalizzato a cura Leonardo Mario Carrozzo

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