di Simone Giorgino
Il progetto, tuttora in evoluzione, di Soluzione fisiologiche – questo libro si preannuncia come la prima stazione di un percorso più ampio e articolato – segna il ritorno alla poesia, a vent’anni dall’esordio e dopo un lungo silenzio, di una delle voci più autentiche e consapevoli degli ultimi anni. Le poesie di Luciano Pagano s’inseriscono in una strategia di tipo esperienziale più che esistenziale; si tratta cioè di una ricerca induttiva, che è innescata non dalla contemplazione ma dall’osservazione, anzi direi dalla misurazione precisa del reale, senza effusioni, provocatoriamente anti-idillica.
L’alveo in cui la parola poetica si articola e distende è quello dello stile cosiddetto semplice, sfrangiato solo dalle ammaccature sintattiche provocate dal ricorso a frasi apparentemente incongrue che determinano una progressiva dissoluzione del senso. Non sono riscontrabili parentele dirette con i maestri del contemporaneo e quindi non è possibile ricostruire esatte genealogie o adesioni a grammatiche codificate: seguendo questa traiettoria personale, Pagano si ritaglia un raggio d’azione più indipendente e versatile; ma l’originalità dell’esito non cela del tutto la dimestichezza dell’autore con tecniche stilistiche più sofisticate e sconcertanti; solo che le soluzioni formali ad alta densità retorica così come le sirene della sperimentazione sono ormai ritenute sterili e ingombranti artifici, e quindi ironicamente scansate dall’autore, perché quegli stilemi, nel nostro corrente «tempo senza miracoli», sono ritenuti poco più che una risibile, fatua decorazione («la poesia sarà ancora il genere di scambio minore / che precede un accoppiamento»).