Racconti sovietici 9. Quarantunesimo 7

Dimenava la coda da tutte le parti, il diapason dava il là, indicava alle cornette e ai tromboni quando si doveva attaccare, e se un suonatore della banda poco poco non fosse stato attento, all’istante riceveva un colpo brusco di diapason in fronte.

I suonatori della banda si stavano facendo in quattro. Erano però assai curiosi quei suonatori. Soldati qualsiasi, dei reggimenti vari della guardia imperiale. L’orchestra militare riunita.

 Ma non avevano bocche per niente… Sotto il naso era tutto liscio e piatto. A tutti loro gli strumenti a fiato erano infilati nella narice sinistra.

La narice destra aspirava l’aria, l’altra, sinistra, soffiava dentro lo strumento e, a causa di questo, il suono delle trombe e di tutti gli altri strumenti a fiato era particolarissimo, sonoro e allegrissimo.

«Alla marc-cia cerimo-oniale prepara-rrrsi!»

«Alla marc-cia cerimo-oniale… Spall’arm!»

«Re-ggimento!»

«Batta-glione!»

«Com-pagnia!»

«Da destra a plotoni… Il primo batta-glione… avanti march!..»

Le trombe: tu-tu-tu. I campanellini: din’-din’-din’.

Il capitano Švetsov marciava avanti alle righe, non marciava, faceva una danza servile, un pupo sui fili. Il sedere del capitano tumido, tondo, liscio, come un grosso prosciutto. Scalciava: un-due, un-due!

«Bravi, ragazzi!»

«Bau-bau, un-due, bau-bau!..»

«Il tenente!»

«Il tenente! Il tenente, dal generale!»

«Quale tenente?»

«Della terza compagnia. Govorucha-Otrok dal generale!»

Il generale era seduto in groppa ad un cavallo, stava fermo in mezzo alla piazza. La faccia paonazza, il baffo canuto.

«Signor tenente, come mai dà tutto questo scandalo?»

«Ah, ah, ah! Ah, ah, ah

« È impazzito?… Ridere?.. Ma io le faccio… Con chi crede…?»

«Ah, ah, ah!… Ma lei non è un generale, generale, ma è un gatto, Vostra Eccellenza!»

In groppa ad un cavallo stava seduto il generale. Dalla testa alla cinta era tutto e per tutto un generale, ma dalla cinta in giù aveva le zampe di un gattaccio. E fossero almeno di un gatto di razza con il pedigree, ma no! Erano di un gatto bastardo, come quei gatti grigi spelacchiati a righe che in ogni cortile e sopra i tetti gironzolano.

Le zampe artigliose stavano appoggiate solidamente dentro le staffe da cavaliere.

«Lei sarà mandato alla Corte Marziale, tenente! È un caso inaudito! Che un tenente, un ufficiale delle guardie imperiali abbia all’improvviso l’ombelico a rovescio!»

Il tenente si diede uno sguardo attento e allibì. Vide che da sotto la sciarpa gli era uscito fuori l’ombelico, un sottile intestino di color verde, e l’estremità, il cordone ombelicale vero e proprio, stava baluginando in un impressionante, velocissimo movimento centrifugo. Il tenente acchiappò l’ombelico al volo, ma quello cercò di svincolarsi.

«Agli arresti! Per una violazione del giuramento!»

Il generale tolse la zampa dalla staffa, allargò gli artigli, la allungò per acchiappare il tenente e sulla zampa c’era uno sperone d’argento, in cui invece dell’anellino era fissato un occhio.

Un occhio comune. Una tonda, gialla pupilla, acutissima che stava fissando dentro, sino al cuore del tenente.

Ammiccò dolcemente e disse, come non si sa, l’occhio da sé disse: «Non ti preoccupare!… Tutto va bene!… Finalmente sei tornato in sensi!»

Una mano sollevò la testa del tenente e, aprendo gli occhi, lui vide un visetto magro con le ciocche ramate dei capelli e un occhio dolce, giallo, lo stesso.

«Ma come mi avevi spaventato, poveretto. Una settimana ho tribolato con te. Avevo paura di non riuscire a curarti. Siamo soli soletti sull’isola. Non avevo nessuna medicina da darti, né qualcuno che potesse aiutare. Soltanto facendoti bere dell’acqua calda, son riuscita a farti riprendere. Le prime volte vomitavi molto… Cosa vuoi, l’acqua è cattiva, salata, lo stomaco la rifiuta.»

Entravano a fatica nella coscienza del tenente le dolci parole preoccupate.

Si sollevò un po’, si guardò attorno con gli occhi pieni di incomprensione.

Tutt’attorno c’erano le cataste di pesce. Ardeva un falò acceso, sopra il quale sullo scovolo del fucile stava appeso un paiolo, in cui bolliva qualcosa.

«Ma che cos’è?.. Dove sono?..»

«Come, hai dimenticato? Non mi riconosci? Marjutka sono!»

Con le dita sottili di una mano magrissima il tenente si strofinò la fronte.

Ricordò, fece un flebile sorriso, sussurrò: «Sì… ora rammento. Robinson e Venerdì!»

«Ma come, hai ripreso a farneticare? Non fai che dire venerdì e venerdì! Non so neppure che giorno è oggi. Ho perso il conto.»

Il tenente sorrise un’altra volta.

«Non è un giorno!.. Si tratta di un nome… C’è un racconto che narra di un uomo che dopo il naufragio, finì su un’isola disabitata. Quest’uomo aveva un amico. Di nome Venerdì. Non lo avevi mai letto?» – Si distese nuovamente sul montone e tossì.

«No… Ho lette tante fiabe, ma questa non la conosco. Stai sdraiato, tranquillo, non ti alzare. Se no, ti ammali di nuovo. Intanto mi metto a cucinare il pesce. Poi mangi, per tornare in forze. È da una settimana quasi che non hai messo niente nello stomaco, oltre l’acqua. A guardarti, sei diventato quasi trasparente come una candela. Stai sdraiato, riposa!»

Il tenente chiuse stancamente gli occhi. Dentro la testa continuava a persistere un lento tintinnio cristallino. Gli tornarono in mente le trombe coi campanellini di cristallo, fece una flebile risatina.

«Che hai?» – chiese Marjutka.

«Così, mi sono ricordato… Nel delirio, ho avuto un sogno molto divertente.»

«Hai urlato tanto nel sonno! Comandavi, imprecavi… C’era di tutto. Il vento che fischiava, non c’era nessuno attorno, ero da sola con te sull’isola, e tu che stavi malissimo. Una tale paura mi prendeva, non ti dico!» – Marjutka si rannicchiò come se sentisse freddo, – «Non sapevo che cosa fare?»

«E com’è che sei riuscita a cavartela?»

«Come vedi, me la sono cavata. Avevo paura più di tutto che tu potessi morire di fame. Oltre all’acqua nulla prendevi. Quelle poche focacce che avevamo, le avevo date a te, sciolte nell’acqua calda. Ora non abbiamo altro che tanto pesce attorno. Ma non è il cibo più adatto per una persona malata! E allora, quando ho visto che cominciavi a muoverti più tranquillo e stavi aprendo gli occhi, tutto il peso mi è caduto dal cuore.»

Il tenente allungò la sua mano. Le belle dita sottili, nonostante fossero sporche, si misero sul polso di Marjutka. Accarezzandolo piano piano, il tenente disse: «Non so come ringraziarti, mia cara, sei proprio un tesoro!»

Marjutka arrossì e allontanò la mano di lui.

«Non mi ringraziare!… Ho fatto soltanto quello che dovevo fare. Potevo mai, secondo te, far morire una persona? Non sono mica una bestia disumana e insensibile!»

«Ma io, lo sai, sono un cadetto… Un nemico. A cosa serviva tanto patire per me? Tu stessa appena appena cammini.»

Marjutka, tutto d’un tratto, rimase ferma per un attimo, si scosse perplessa. Fece un cenno con la mano e rise.

«Ma che nemico e nemico? Non riesci ad alzare una mano, cosa dici, un nemico! È evidente che il destino mio con te è quello. Non ti ho ucciso subito, mancando il bersaglio per la prima volta in vita mia, perciò devo preoccuparmi di te sino alla fine. Adesso eccoti, mangia!»

Mise davanti al tenente il paiolo, dove nuotava un pezzo del grasso, ambrato dorso di un pesce pregiato. Per l’ambiente si sparse il fine, gustoso aroma del pesce, divenuto quasi trasparente nella cottura.

Il tenente tirava il pesce dal paiolo a piccoli bocconi. Mangiava con evidente appetito.

«Peccato che sia tanto salato. Perfino brucia in gola.»

«Come lo metti, tale rimane. Se avessimo dell’acqua dolce, si potrebbe metterlo a bagno per togliere il sale, ma così è una vera disgrazia. L’acqua è salata, il pesce è salato! Sì, le cose si mettono proprio male per noi, la peste dei pesci le pigli!»

Il tenente mise il paiolo da parte.

«Cosa? Non ti va più?»

«No, basta. Sono sazio. Mangia adesso tu.»

«Al diavolo questo pesce! Dopo una settimana il solo odore mi dà fastidio. Lo stomaco non lo riceve più.»

Il tenente stette sdraiato su un fianco, appoggiandosi su un gomito.

«Sarebbe bello avere una sigaretta!» – disse malinconicamente.

«Vuoi fumare? E parla allora. Nel sacco di Semjannyj è rimasto del tabacco forte per le sigarette fatte a mano. Si era bagnato un po’, ma lo avevo fatto asciugare. Sapevo che quando ti saresti ripreso, avresti voluto fumare. Ai fumatori dopo la malattia, il desiderio del tabacco aumenta ancor di più. Eccolo, tieni.»

Il tenente, visibilmente emozionato, prese la borsetta con il tabacco. Le sue dita tremavano.

«Sei un vero tesoro, Maša! Sei meglio di una balia asciutta!»

«Senza le balie, forse, non sapresti neppure vivere» – rispose seccamente Marjutka, ed arrossì.

«Peccato che non c’è della carta. Il tuo rosso-lampone mi ha requisito tutto sino all’ultimo pezzo di carta e la mia pipa l’ho perduta.»

«Della carta…» – Marjutka s’impensierì.

Poi con un movimento deciso girò il risvolto del suo pellicciotto di montone di cui era coperto il tenente, mise la mano nella tasca, tirò fuori un pacchettino.

Togliendo una cordicina, lo aprì, prese da lì alcuni fogli di carta e li allungò al tenente.

«Eccoti, per far le sigarette».

Il tenente prese i fogli, guardò attentamente. Alzò su Marjutka gli occhi illuminati da una perplessa luce blu.

«Ma si tratta delle tue poesie! Sei impazzita? No, non posso accettare!»

«Prendi ti dico, accidenti! Non tormentarmi l’anima, la peste dei pesci le pigli!» – gridò Marjutka.

Il tenente la guardò.

«Grazie! Non lo dimenticherò mai!»

Strappò un piccolo pezzetto dall’angolo del foglio, si arrotolò una sigaretta, si mise a fumare. Rivolse lo sguardo fisso in lontananza, chissà dove, attraverso la scia blu del fumo.

Marjutka seguiva attentamente ogni sua mossa. All’improvviso domandò: «Ti sto a guardare e non posso raccapezzarmi. Come mai i tuoi occhi sono tanto blu? In tutta la vita da nessuna parte avevo visto occhi così. Sono talmente blu che si potrebbe tuffarsi e perfino affogarsi dentro.»

«Non saprei» – rispose il tenente, – «sono nato con gli occhi così. In molti dicevano che sono di un colore straordinario…»

« È proprio vero!.. Sin dall’inizio, quando ti abbiamo arrestato, avevo pensato: ma che occhi insoliti ha? Sono molto pericolosi i tuoi occhi!»

«Per chi?»

«Per le femmine sono pericolosi. Sanno insinuarsi nell’anima. Inquietano!»

«Hanno inquietato anche te?»

Marjutka avvampò.

«Ma guarda, accidenti! Che razza di domande fai? Adesso riposa, io vado a prendere dell’acqua.»

Si mise in piedi, prese con indifferenza il paiolo, ma, uscendo da dietro le cataste del pesce, si volse allegramente e, del tutto come prima, disse: «Sciocchino mio, dagli occhi blu!..».

(continua)

[Traduzione dal russo di Tatiana Bogdanova Rossetti]

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