Racconti sovietici 9. Quarantunesimo 7


di Boris Andreevič Lavrenëv

(continuazione) 

Capitolo Settimo

All’inizio è oltremodo ingarbugliato e oscuro, ma diviene chiaro e lucido alla fine…

Le trombe d’argento, alle trombe erano appesi i campanellini di cristallo.

Le trombe suonavano, i campanellini tintinnavano con un dolcissimo scampanio un po’ gelido: Tili-din’, din’, din’. Tili, tili, dljam-dljam-dljam.

Le trombe suonavano qualcosa di loro, di particolare: Tu-tu-tu-tu, tu-tu-tu-tu.

Non c’era dubbio, era una marcia. La marcia. Certamente, era la stessa che veniva suonata sempre alle parate militari.

Come pure la piazza, schizzata dal sole attraverso le sete verdi degli aceri, era sempre la stessa.

 Il direttore della banda militare dirigeva l’orchestra.

Si mise di schiena all’orchestra, dallo spacco del pastrano tirò fuori una coda, una coda grossa, a pelo lungo, di una volpe rossa, alla punta della coda era avvitato un pomello d’oro, nel pomello era fissato un diapason.

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