di Rosamaria Dell’Erba
“Il Sud è il mio mondo e nel Sud voglio tornare;” se si considera che questo è il desiderio maturato nel corso di una vita vissuta tra l’Europa e l’ America, l’attaccamento alle proprie radici – come dichiarato nel libro di Vittoria Grassi, Il mio Sud di (Deltaedit, Arnesano 2007) – appare come la necessità improrogabile del ricongiungimento a una dimensione che ci appartiene nel profondo: l’età dell’oro della nostra esistenza, quella che racchiude il manifestarsi dell’amore, lo schiudersi alla vita, con tutta la gamma emozionale che questa comporta, quella della conquista e dell’affermazione di noi stessi.
Le emozioni sono ancora oggi un patrimonio del pensiero rimasto sommerso, forse per modelli educativi improntati all’austerità nel comportamento, del tutto scollati -oggigiorno- dal loro naturale contesto, o forse per un naturale “restraint” -direbbero gli inglesi- che caratterizza l’uomo contemporaneo, o forse per un più mondano “understatement”, un minimalismo ad oltranza, sta di fatto che non sempre siamo sinceri con noi stessi e con gli altri.
Oggi invece, la narrazione di sé è oggetto di corsi di Filosofia pratica, di scrittura diaristica, di scandaglio ai fini terapeutici, pratica scientifica quest’ultima, avviata da Ira Progroff e sperimentata da un gruppo di corsisti dell’Università popolare nello scorso autunno.