A chiare lettere. Un dialogo tra scienza e umanesimo. Carteggio Ferdinando Boero – Angelo Semeraro (14 febbraio 2006 – 14 febbraio 2008) 7.

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01.05.06

Caro Nando,

scrivi amaro: pagine che sembrano uscire dalla penna di Bauman sulla società-discarica (le trovi recensite nell’ultimo “Quaderno” sul segreto).

Il malessere diffuso prodotto dal berlusconismo agirà a lungo perché ha toccato anche noi che pure disponiamo di anticorpi per reagire. Leggo analisi che vorrebbero convincere (e convincerci) che in fondo abbiamo avuto ciò che ci siamo meritati; che il giullare ha incarnato i nostri vizi più antichi, l’antropologia anarco-individualista (e fascista) del popolo italiano (è la tesi di Bocca). Il caimano (quello di Moretti) è una cupa dichiarazione di sfiducia sulla dimensione pubblica del belpaese.

Ci sarà molto da fare, e quasi tutto da ricostruire. Il tuo lavoro è diverso, e ti ha reso discretamente fiducioso nelle magnifiche sorti e progressive…  Un po’ ti invidio, perché puoi muoverti tra le certezze dei risultati, sempre provvisori, ma pur sempre verificati, nella constatazione del lungo viaggio che l’umanità ha compiuto grazie ai progressi scientifici. Lo sforzo che si richiede allo scienziato della materia è al più di dialogare con l’opinione pubblica; di far comprendere le nuove conquiste. Ma trovi un terreno favorevole, perché la scienza ha sempre una sua autorità (e gli scienziati sono sempre un po’ sacerdoti e sciamani insieme). Leggo oggi che Veronesi lavora con Tronchetti Provera sul progetto “Genextra” per inibire gli effetti degenerativi dei tessuti. E apprendo dai giornali che sarebbe pronta una terapia fotodinamica per aggredire i tumori rendendoli sensibili al raggio laser. Belle cose. Che iniettano fiducia. Per noi è un po’ diverso: lavoriamo sempre con gli stessi concetti base, che a volte ti sembrano vecchi arnesi ideologici, incapaci di interpretare, progettare, innovare. Poche scoperte: solo un po’ di creatività (dove c’è) nel vedere da un altro lato le cose, da un’altra angolazione rileggere Aristotele, Spinoza o Wittgenstein. L’avventura del pensiero risente molto dell’ambiente in cui è immerso. E il nostro ambiente è quello umano; la nostra mente una costruzione sociale. Certo, puoi muoverti anche nell’astrazione o nella riflessività, nell’esercizio critico rigoroso, ma a tuo rischio: non hai riscontri immediati. Rischi l’inattualità al tuo tempo, come è capitato a tanti, e il disagio a stare nell’insieme. Se poi ti capita di farti una tua stretta cerchia di eletti con cui discutere, scopri che si parla oramai solo per citazioni, si sale sulle spalle dei pochi giganti a disposizione per darsi un fondamento (e una giustificazione). Se vedi le cose diversamente devi accettare il destino della scomunicazione; della solitudine, che alla fine porta alla follia, a un altro ordine delle cose. Quelli che hanno veramente innovato sono stati tutti, chi più chi meno, un pò fuori. Eretici e inattuali al proprio tempo e ai propri consimili. 

Non rimane che l’appagamento della sfera estetica: improntare i propri stili di vita e di pensiero all’areté greca, alla virtù che consente, entro certi limiti, di dominare il dolore (della separazione/scomunicazione), e attraverso il dolore, il com-patire; accettare i propri limiti e rimanere, con “virtute e canoscenza” in tensione col dio.

Non c’è altra scelta: o la visione del mondo colpevolizzante del cristianesimo, o quella tragico-estetica dei greci. Ma anche per la virtù (la capacità di dominare il caso e gli infausti della sorte) ci vuole lotta.

Saluti dal mio 1° maggio.

a.

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02.05.06

Eh, caro Angelo, capisco bene quel che dici e quel che esprimi. D’altronde, tutto quello che facciamo, anche noi “scienziati” è frutto della nostra cultura, è radicato in una visione del mondo e ne è il prodotto. Ci sono risultanze fattuali che, comunque, sono viziate dall’ideologia, dai concetti base su cui fondiamo il nostro “sapere”. E anche noi dobbiamo convincere qualcuno (i finanziatori) che vale la pena investire in quel che facciamo. Curare malattie è sempre un mezzo facile per fare soldi. E molti medici ci marciano sopra. Alla grande. Come ad esempio il buon Veronesi. Che ha fatto una rivista che si chiama Darwin che poco ha di darwiniano. Purtroppo. A me piace la ricerca di base, fatta per il puro gusto di capire il mondo e di conoscerlo per quel che è. Senza brame di utilitarismo. Anche se poi possono scaturire cosette potenzialmente utili, come forse un giorno verranno dalla medusa cosiddetta immortale. Studio meduse. Mi piacciono, e per me sono come poesie. Lo faccio perché mi piace. Se poi ci sono risvolti utilitaristici è un bonus  inaspettato. Ho passato mesi in Papuasia a studiare meduse, a descrivere specie nuove. Non era facile spiegare ai Papua quel che stavo facendo. Loro avevano una sola parola per descrivere gli animali non commestibili: binatang. Per loro eran tutti binatang, dagli insetti alle meduse. Se non lo puoi mangiare e se non ti mangia, che senso ha? vaglielo a spiegare!

I tuoi crucci non sono tanto differenti dai miei, e il livello intellettuale italico non è tanto lontano, in questo campo, da quello dei papua. Mio padre, poi, fa il poeta. Figurati se non capisco. E chi li compra i suoi libri di poesie? E mio cognato è un critico d’arte. E mia sorella è un’artista. Sono pochissimi quelli che riescono ad avere soddisfazione da questi mestieri. Loro non sono tra quelli. Lui è preside di un liceo artistico, e mia sorella insegna tecniche artistiche. Mostre, libri. Ma poca fama… poi vedono i pittori che fanno tramonti o mari in tempesta che vendono i loro quadri, a tutta forza. Lo so che scrivo cose amare, ma perchè prendersi in giro? La situazione è questa.

L’altro giorno è morto l’onorevole Casalino. Padre di una mia cara amica. L’onorevole Casalino aveva un terreno a Torre Chianca. Con una baracca. Sul mare. Voleva farsi una casa al mare, e ha chiesto il permesso. Non concesso. Non c’era il piano regolatore e non si può costruire. Tutti i suoi vicini di proprietà hanno fatto la casa al mare. Abusiva. Poi l’hanno condonata. Lui, l’unico a seguire le regole, è stato l’unico scemo a non avere la casa. Gli altri, gli illegali, abusivi, si sono trovati la casa, e ora è legale. Ma lui era l’onorevole Casalino. Non poteva fare cose di questo genere. Non si poteva neppure discutere. Per i più, l’onorevole Casalino era, appunto, uno scemo. Per me era un grand’uomo. E anche per sua figlia. L’altro giorno, al suo funerale, non in chiesa, c’erano i vecchi compagni. Con le bandiere (è stato presidente della sezione leccese del PCI). Facce di contadini, e anche di intellettuali. Tutti scemi, più o meno. Purtroppo anche in quelle schiere ci sono i furbi, e sono i peggiori. Ecco, io mi sento a casa tra quegli scemi, mi sento loro fratello, e figlio. E non sopporto i furbi. Mentre nella nostra pseudocultura la furbizia è vista come una grande virtù, è ammirata, lodata. Fatti furbo! ‘ca nisciuno è fesso. Ma un paese di furbi è un paese di fessi. E questo siamo. Ma ci sono ancora tanti onorevole Casalino, solo che non si organizzano, non sono compatti, non fanno lobby. Gli altri fanno la massoneria, l’opus dei, il rotary, il lions. Un tempo erano i miei nemici. Oggi me ne frego, come diceva il mascellone. Cerco di divertirmi, di vivere come mi piace e come mi soddisfa. Fa lo stesso se molti mi considerano scemo. Sono stato responsabile di un progetto interreg da sei miliardi, quando c’erano i miliardi. Avrei potuto, da coordinatore scientifico e amministrativo, attribuirmi una fetta del dieci per cento, è legale. Sono tanti milioni. Non ho preso un soldo. In compenso ora prendo le pillole per la pressione. Ho dato cento contratti di ricerca a giovani ricercatori, e ho coordinato trecento persone, e qualcuno mi ha detto che sono stato scemo a non prendere un soldo per me. Sarà. Ma io vivo bene così. Forse bisognerebbe fare il partito degli scemi. Ma poi, per far valere le nostre cose, dovremmo farci furbi… è sempre la solita storia. Condannati all’opposizione, anche quando siamo al governo. E anche in questo caso vedremo tanti scemi, oggi, che si faranno furbi, non ho dubbi. Ma che possiamo fare? Viviamo come ci piace e fanculo tutti. Senza crucci e recriminazioni: se mi piace lo faccio, se non mi piace, grazie e arrivederci

e ora ciao

n.

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09.05.06

Caro Nando,

altre affinità. anch’io ho avuto in famiglia un poeta: mio padre, che ha calcato le scene fino a tarda età. Cominciò coi De Filippo, Titina, Edoardo, quando, sfollati a Taranto dopo l’armistizio del ‘43, raccolsero attorno a loro i giovani tarantini del borgo antico animando la vita serale  in tempi in cui era ancora lontana da ogni possibile precognizione sua maestà tv. E poi, anch’io ho insegnato nei Licei artistici (quello di Taranto, anni settanta) e conosco bene quell’ambiente. E anch’io poi ho avuto occasioni in cui avrei potuto profittare, del tutto lecitamente. Poca cosa rispetto ai tuoi miliardi, ma non l’ho fatto. Dovrei semmai rimproverarmi di aver beneficiato più di qualcuno che all’occasione giusta mi sono ritrovato poi dall’altra parte, ma così vanno le cose del mondo. E mi consolo con l’Alighiero, che ai traditori riservò gli ultimi versi dell’Inferno, infilandovi insieme Cassio, Bruto e Giuda (“Vedi come si torce, e non fa motto”, c.XXXIV,66). Ma è in atto, come saprai, una riabilitazione dell’Iscariota. Non me lo sono ancora procurato il Vangelo di Giuda, in edicola in offerta col National Geographic. Ho dato precedenza di borsa ai primi due volumi di storia della scienza curati da Paolo Rossi (che però mi è parsa un po’ arida, ma forse è solo una prima impressione, ma poi mi ha sorpreso quando vi ho trovato il “mio” Comenius, quello dell’Orbis sensualis pictus; precognitore di una lingua e una sophia universali: un preveggente delle reti, insomma, anche se Rossi non approfondisce e non lo dice). A proposito, che ne pensi di quell’opera? E’ il caso di continuare a stiparsi gli scaffali?

Voglio proprio comprarmelo e leggerlo il Vangelo di Giuda. Alle revisioni ci hanno allenato. E poi, mi ha sempre interessato il punto di vista di quelli che sono stati crocefissi dalla storia; perdenti, minoritari, eretici, sconfitti. Lui poi sarebbe stato un capro espiatorio eccellente.

In questo momento, mentre scrutinano le schede della prima votazione per il nuovo presidente della Repubblica, il pensiero va a baffino, che sembra essere stato ancora sacrificato (con sollievo mio e di molti tra quelli che ritengono un azzardo la sua ascesa al colle). Personalmente mi capitò di potergli esprimere un aperto dissenso al buffet rettorale del buon Angelo Rizzo, quella volta che venne a Lecce a convincerci della necessità di aprire l’art.33 a una interpretazione vantaggiosa per le scuole private. Tra molti imbarazzi di quelli che all’epoca “contavano”, e che tu ben conosci.

Mi è molto dispiaciuto apprendere della scomparsa di Casalino, che ho conosciuto bene ai tempi delle belle bandiere, in parte divertito, in parte indispettito, da quel sano suo istinto contadino che lo faceva diffidare di noi saputelli intellettuali che chiedevamo nei primi anni settanta una sezione universitaria autonoma del pci. Aveva visto bene: da quei saputelli che nelle assemblee citavano Marx magari senza averlo letto non sarebbe venuto niente di buono, e così è stato. Potrei farti la storia di tutte le capriole di molti colleghi che giocavano la carta del partito nella nostra nobile (!) istituzione per avanzare in carriera, e del ruolo istituzionale esibito per lievitare nei comitati federali del grande partito. Qualcuno è diventato anche preside e altri si sono acciambellati a corte. Quelli non hanno i nostri pudori e credo che le loro buste paga siano molto più pesanti delle nostre. Così vanno le cose del mondo.

Ti sento comunque ben piantato nelle buone ragioni del “fai quel che devi, avvenga ciò che si può.” E in più riesci pure a fare cose che ti divertono. Per me è un po’ diverso, e se mi interrogo, mi trovo insoddisfatto. Ho appena compiuto i miei anni. Tanti. Ho bisogno di nuove motivazioni (e divinazioni). Vado compulsando febbrilmente tutto ciò che mi sembra utile, ma non trovo la traccia che cerco, e tutto mi sembra già detto e scontato. Sì, mi ci vuole una divinazione: di quelle che solo gli dei benigni, talvolta, sanno fare dono agli umani. Non dispero…

A presto, caramente

a.

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[La mail di risposta è andata perduta]

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15.05.06

Caro Nando

So di R. P., un’allieva promettente del corso specialistico. Competition – come diceva quel signore –  is competition, e prima o  poi chi ha un po’ di stoffa riesce a farsi strada. Avevo posto tempo fa, prima del grande sconforto, l’esigenza di far posto nell’Isufi a qualificazioni nella infocomunicazione per i nostri più bravi studenti. Con Sticchi ne avevo parlato per un profilo di comunicazione pubblica, dopo che mi aveva posto il problema della richiesta legislativa di una qualificazione nella comunicazione giuridico-giudiziaria. Sulla comunicazione scientifica ne abbiamo parlato infinite volte, ma per quanto tu sia bravo (e sai che ti seguono tutti con interesse e diletto) non basti da solo. Occorrerebbe rinforzare gli ormeggi: un buon matematico, un fisico, ecc. Ecco che torna il progetto “grande” che invece non si è potuto realizzare. Accontentiamoci perciò di qualche rara avis, che qualche allievo più bravo si faccia strada, ma ti assicuro che molti, altrettanto bravi, se ne sono già andati altrove. Sento ora parlare di rilancio di Scienzecom., perché non sanno che fare, e sono stati avviati gli inutili giri di valzer tra vecchie volpi accademiche e varia fauna rampante. E comunque forse è anche meglio così, perché a garantirli di più, finisce che trovano per primi la strada i più furbi (tanto studenti che docenti) e i figli o le amanti di qualche colletto bianco.

Mi chiedi dei miei rapporti con i colleghi del polo disumano. Vuol dire che qualcosa ti è sfuggito. Ma non può sfuggirti la regola generale di ogni istituzione, specie nel sud, che è quella del marcare a vista chi può fare ombra. Non mi va di esibire – meno che mai poi con te – i riconoscimenti al mio lavoro un po’ solitario e fuori cordata. Del resto ci vuole poco a luccicare in un pantano, e se quelli si accorgono che delle tue cose circolano recensioni su giornali e riviste di qualche peso, e se si parla bene delle cose che fai, cominciano dapprima a salivare, poi ad attivarsi per oscurarti e magari segarti. Ma, almeno per quest’aspetto, non me ne cale più di tanto. La mia c.d. “carriera” è stata tutta in salita; non avevo maestri alle spalle; ho vinto una cattedra ”fuori busta”: Lecce non mi avrebbe mai chiamato un concorso, e se poi mi è capitato pure di vincerlo è per una distrazione del sistema, come mi piace dire in giro. Di fatto si era solo creata una di quelle circostanze virtuose, nei lontani anni Novanta, quando i concorsi erano ancora nazionali, in una commissione dove almeno un paio di commissari ebbero curiosità per le mie cose, sostenendomi per bontà loro. Il resto l’ha fatto il solito gioco di equilibrismo tra laici e cattolici. In commissione ebbi il voto di due cattolici e me ne mancarono due di quelli delle belle bandiere! Ma questo non sarebbe mai accaduto se fossi rimasto a Lecce e non avessi fatto le valige per altri lidi. A Siena incontrai Scalia, Previtali, Tronti, Micciché, Carandini, Prestipino, Clemente e gli allievi antropologi di Cirese ecc.: il gota  accademico senese di quegli anni, gli stessi in cui, sul declinare degli anni Settanta, ci si interrogava sul destino dei laureati in lettere. Partecipai a quel serrato confronto che avrebbe portato poi a Siena uno dei primi corsi di scienze della comunicazione. Ma venne poi il tempo delle scelte “decisive”: rimanere nel Chianti o tornare ai vini manduriani? La legge del 1981 offriva un’opzione a quelli che si trovavano nella doppia condizione di assistente in una sede e di incaricato in un’altra. Attesi l’ultimo giorno utile per spedire la domanda di inquadramento a Lecce, dopo una notte da innominato. Non aggiungo altro, ma molte cose già te le ho implicitamente spiegate. Me ne ero andato perché nei primi Settanta la camera del lavoro locale mi aveva buttato la croce addosso sulle cose universitarie leccesi. Entrai in segreteria con delega per l’università. E ci fu il processo a un notabile dc, primo rettore del nostro Ateneo, che avvalendosi di poteri che non aveva (era al contempo rettore e direttore amministrativo, ossia vigilava sul suo stesso operato) aggiunse due borse al numero  previsto dal bando per favorire due candidati suoi, non ammessi nella graduatoria degli idonei. Toccò a me andarlo a spiegare ai giudici. Il notabile fu condannato, ma per me non vi sarebbe stato futuro quaggiù. Te l’ho detta in due righe, ma bisognerebbe scriverci un libro. Anche il rientro a Lecce dopo lo straordinariato a Bari fu contrastato, e il rettore di turno dovette far fronte alla canea del polo disumano, arrendendosi solo innanzi a un esposto al Presidente Scalfaro.

Spero che ora tutto ti sia un po’ più chiaro. Di conseguenza, non mi è stato mai possibile strappare un dottorato, né ho mai ricevuto inviti a farvi parte. Scienzecom. passò al S.A. (c’eri ancora tu, all’epoca) ma fecero poi di tutto per disarcionarmi. Insomma brutte storie. Te la sei voluta: non avresti dovuto farmi quella domanda.

Ma veniamo a cose più ragguardevoli. Sull’ultimo domenicale del Sole24ore, McEwan scrive di scienza e di poesia, invitando a leggerla – la scienza – come un romanzo. Evviva allora quel McEwan che ti ostini a non voler leggere. Lui sì che sa fare le fusioni che contano. Almeno quel pezzo potresti leggertelo e godere un po’ anche tu! Io continuerò a comperarmi i volumi Utet di storia della scienza, per il semplice fatto che nel racconto di Paolo Rossi, un filosofo che conosco bene, trovo molti punti di contatto con le cose che più mi premono. Chiuso il corso, ho ripreso a scrivere, e ho già il mio prossimo titolo: «Elogio dell’insensibile». E il sottotitolo: «la comunicazione dei giorni feriali». Sai, per me funziona così: ho bisogno di trovare un titolo che mi piaccia. Il resto viene da sé; si tratta solo di tenere ben dritta la barra sull’idea centrale. Insensibilità come chiave di una mancanza di aderenza alle cose, ai fatti, alle persone da una parte, e di altrettanta resistenza delle cose, dei fatti, delle persone a  manifestarsi. Un problema di comunicazione generale. Viviamo tempi di grande glaciazione dei rapporti e l’età dell’empatia, di cui avremmo estremo bisogno per salvarci, è ancora lontana. Qualche anticipazione l’ho fatta ai ragazzi della nostra specialistica, e mi è parso che potrebbe funzionare. Come combattere l’atrofia, l’anestesia sociale, l’afasia della new generation, la comunicazione fàtica della vita quotidiana, la sclerosi multipla delle nostre belle istituzioni; come sfuggire alla grande glaciazione? Ci mancano l’arte e la bellezza. L’aistesis, insomma. Ambiziosetto no? Mi ci vorrebbe dapprima un bel pellegrinaggio a Compostela (partendo da Roncisvalle).

Ciao

a.

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 16.05.06

Non arrivo, caro Angelo, ad aver portato un rettore sul banco degli  imputati, ma ho detto pubblicamente molte volte, e continuo a  ripeterlo, che se si promuovono persone con curricula scadenti,  andiamo a finire, anzi già siamo, nella merda. E’ una posizione dirompente. Graziato dall’ope legis del 1981, con due anni di borsa CNR alle spalle, ho cercato dopo di meritare quel che mi era stato regalato. E ho cominciato a pubblicare su riviste internazionali. I miei colleghi mi prendevano in giro, dicevano che mi ero montato la  testa. Vinto il primo concorso nazionale ad associato, sono stato mandato dove non voleva andare nessuno: a Lecce, nel supertacco  d’Italia. Sono vent’anni che son qui: promoveatur ut amoveatur. Ma io avevo vissuto un anno in Papua Nuova Guinea, e un anno in California.  Conoscevo i due estremi. I primi anni sono stati duri, ma poi la strada è stata tutta in discesa. Mi hanno persino proposto di tornare a Genova. No grazie. L’ho detto con la morte nel cuore, perché amo la mia città, ci sono ancora i miei genitori, sorella, nipoti. Ma qui ho trovato davvero un ambiente che mi piace, anche grazie a gente come te. Ma le piccole diatribe, malignità, invidie, ripicche, ci sono dappertutto. Dalla Nuova Guinea alla California. Avresti dovuto sentire cosa raccontava Frank Zappa…

I miei colleghi di qui, di questo dipartimento, a parte alcune eccezioni, mi odiano. A denti stretti ammettono, ma poi dietro le spalle tramano. Tutte le promozioni sono state esterne. Al di fuori della biologia no: tutto bene. Quanto a matematica e fisica, vuoi trovare persone che vengano a fare corsi da voi? Non è facilissimo però. I matematici di solito entrano e scrivono formule sulla lavagna, che siano a un dottorato di matematica o alle elementari. Di fisici ce ne sono di molto bravi (ma anche di matematici). Se vuoi possiamo cercare di trovare qualcuno. Ma meglio nessuno che gente che non capisce il progetto. Io lo sto capendo, piano piano. Penso che l’anno prossimo farò meglio di  quest’anno. Però mi dovete dare internet in aula. La documentazione si trova lì, e io devo insegnare ad adoperarlo per trovare informazioni scientifiche…

e ora scappo a lezione

ciao

n.

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 16.05.06

Mal comune… Ma abbiamo appreso a non disperare. E anche a guadagnare un pò di disincanto. Se poi ti alleni allo sguardo lungo (óssestai era il verbo giusto dei greci) puoi anche metterti sulla classica sponda del fiume… Ma noi non perdiamo il gusto delle cose che ci piacciono. E ci teniamo in allenamento. Questo mi pare che ci accomuni. E questo ci salva nella foresta lillipuziana.

Non vorrei avere ingenerato però equivoci. Non è che pensassi di proporre (e a chi, e come poi? Con quali poteri, visto che ho messo tutto in altre mani?) un più ricco parterre scientifico per il corso delle belle speranze. Ne parlavo in linea teorica, nello spirito del connettere esperienze e linguaggi diversi nel fare scienza. Viceversa credo che tu sia la persona giusta e meglio equipaggiata per soddisfare l’esigenza di apertura, oltre la grande narrazione umanistica, al pensiero scientifico. So che neppure il vostro polo ha capito bene di cosa si parli quando si parla di comunicazione. D’altra parte, neppure io potrei dire di avere ben chiaro in quali direzioni orientarla. E’ del tutto assente il territorio su queste cose. Ho fatto quello che potevo, non solo all’interno dell’Ateneo. Ho salito le scale dei Celestini, ho scritto a Nichi, a Minervini, ho scritto pezzi mirati sulla stampa locale; ho corteggiato politici dei palazzi barocchi (con riluttanza perché quelli credono che tu stia sempre chiedendo cose per te, e a me fanno un po’ pena e un po’ schifo, anche quando stanno sotto le belle bandiere). Dopo le mie dimissioni è tutto un discutere su palinsesti interni. Il sovrano si è fatta una commissione tutta sua, espropriando di ogni decisione il consiglio didattico. Così si fa ora. Non sapevo che i rettori avessero il tempo e la voglia di occuparsi dei piani di studio. Ma quello lo fa perché ha interessi suoi stretti stretti, anzi vicini vicini. Con complicità e copertura dei servi sciocchi che prima o poi verranno implacabilmente fregati nelle ragioni neppure tanto arcane per cui sono accorsi attorno al suo tavolo.

Basta così. Sennò mi (e ti) intristisco.

Ciao

a.

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 16.05.2006

Caro Angelo

alla fine magari mi ripeto. Come sai ho conosciuto Frank Zappa, ero suo amico. Frank diceva che le rivoluzioni non servono, si deve entrare nel sistema e scardinarlo dall’interno, cercando di salire quanto più in alto possibile e poi utilizzando quel potere per minare il potere. Come ha fatto mani pulite. Mani pulite ha fatto fuori il 

malaffare, non certo le brigate rosse, che pure volevano la stessa cosa, e sono state utilizzate. Ma mani pulite ha fallito perché siamo culturalmente inadeguati, e il vecchio malaffare è stato sostituito con il nuovo. Gattopardescamente, ma anche democraticamente. A noi italiani piacciono i furbi, e non ci piace lo stato. Sarà perché, dopo Roma, non siamo stati mai uno stato, e lo stato era un invasore, e quindi un nemico. Ora davvero lo stato siamo noi, ma continuiamo a vederlo come un nemico. La furbizia, allora, consisteva nel fregare il nemico stato, oggi non c’è motivo. Ma berlusca ha usato meno stato come slogan, come se lo stato fosse un male. Da noi vince il furbo, e piace. Io sto a tutti i giochi che mi piacciono, fino a quando mi piacciono. Mi piacerebbe poter lavorare con te e con “loro”, tutti assieme. Ora lavoro con entrambi, ma non assieme, e mi dispiace.  Perché si perdono opportunità. Bisogna superare gli antagonismi storici, dimenticare. Altrimenti si finisce male, si finisce a litigare. Che poi gli spiriti liberi litigano, gli stronzi si mettono d’accordo, e gli stronzi vincono perché sono d’accordo, mentre gli  spiriti liberi, litigando, lasciano spazio agli stronzi. Qui gli avvocati hanno terreno fertile perché è alta la litigiosità, e la competizione vince sulla cooperazione. Io sono comunista. Non come partito, ma perché mi piace lavorare in comune con gli altri. Le  etichette, le belle bandiere, non bastano. Anzi, possono essere bei  paraventi.

n.

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 17.05.06

Sì, caro Nando, ci stiamo un po’ ripetendo, dall’una e dall’altra parte. Le tue sono parole sagge e vissute, e fanno bene. Ieri le muse mi hanno dato forfet. Erano ostinatamente silenti, e allora mi sono messo a ordinare tutte le nostre e-mail, mettendole in fila una dopo l’altra in ordine cronologico. È la vecchiaia, bellezza! Ho più anni di te, e l’anima tassonomica, classificatrice e archivistica, comincia a prendere il sopravvento su quella zetematica, che vorrebbe andare sempre oltre il saputo. 

Pazzesco comunque: il file “caro Nando” (così l’ho archiviato) si espande per più di 25 cartelle fitte. Un blogger di un certo impegno, che verrebbe voglia di rendere noto ai nostri indiretti interlocutori, che sono stati poi, tutto sommato, gli studenti del corso che abbiamo in comune: è per i loro (veri o presupposti) interessi che ci siamo messi in discussione. E sarebbero – credo – positivamente impressionati dalle cose che ci siamo dette, interrogandoci tutto sommato sul loro futuro, in un presente tanto difficile da interpretare, per loro e per noi.

Caramente

a.

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 18.05.06

Ma la gente si ripete anche quando parla. E noi parliamo per iscritto. Ripetere le cose è importante. Perché a forza di ripeterle poi magari ci si rende conto che suonano male, che non funzionano, e uno cambia. Mi succede spesso. Non serve tenerle dentro, bisogna sputarle fuori. E ogni volta che le ripeti le ripeti in modo  differente, e i modi poi cambiano quel che dici, e alla fine dici cose differenti. Mi sembra una buona pratica. Quanto al rendere pubblico quel che abbiamo detto e scritto, per me va bene, non ci sono problemi. Ripeto, sono cose dette, non veramente scritte, e quindi lo stile è quel che è. Se dovessi scriverti per la pubblicazione starei più attento, e magari non arriverei a dire cose  estreme. Ma non so se ne ho dette. Ne dico spesso, e quindi perché non questa volta? Ora vediamo che dice il buon Mussi. Tu lo conosci? è il nostro ministro di riferimento: che ci dobbiamo aspettare? Comunque potremmo pubblicare il nostro argomentare, magari rivedendolo un po’, sui quaderni che tu curi. Magari estendendo la cosa anche ad altri. Per avere più campane. Un forum estemporaneo, dove non bisogna pensare molto a quel che si scrive. Perché se ci pensi perdi di spontaneità.

pensaci

n.

(continua)

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