Racconti sovietici 9. Quarantunesimo 6

Marjutka intimorita fissò con lo sguardo il tenente.

«Non sarai mica impazzito?.. Dio Santo!.. Cosa si fa adesso, come me la cavo con te? Non è venerdì – è mercoledì oggi!»

«Niente! Non badare. Ne parliamo dopo. Alzati!»

Marjutka docilmente si mise in piedi. Il tenente si chinò per prendere le carabine, ma la ragazza trattenne la mano di lui.

«Fermo! Niente brutti scherzi!… Mi avevi giurato che non saresti scappato!»

Il tenente strattonò il braccio e all’improvviso scoppiò in una rauca risata selvaggia.

«E’ chiaro che non sono io folle, ma sei tu! Rifletti, testolina, come potrei io, adesso, pensare di fuggire? Volevo soltanto portare le carabine, perché a te pesano troppo.»

 Marjutka si chetò, ma, con una voce mite e seria, disse: «Grazie, se vuoi aiutarmi. È solo che ho l’ordine di consegnarti… Non posso, quindi, lasciarti le armi, perché ne dovrei rispondere personalmente!»

Il tenente alzò le spalle e raccolse i sacchi. Si incamminò avanti.

Scricchiolò sotto i piedi la sabbia mista alla neve. Sembrò che la riva non avesse fine: bassa, ripugnante per tutta questa sua piattezza.

In lontananza si vide qualcosa di grigio cosparso di neve.

Marjutka si trascinava a fatica e vacillava sotto il peso di tre carabine.

«Non ti perdere d’animo, Maria Filatovna! Ancora un po’ di pazienza! Credo che si tratti proprio di quelle baracche.»

«Ma quand’è che si arriva? Sono sfinita. Intirizzita tutta dal freddo.»

Si avvicinarono alla baracca. C’era un buio pesto all’interno e l’odore nauseante dell’umidità del pesce e del sale rancido. 

Con una mano il tenente tastò le cataste di pesce salato ed essiccato.

«Mica male! Abbiamo il pesce! Perlomeno non patiremo la fame.»

«Ci servirebbe un po’ di luce!.. Per vedere attorno. Forse troviamo un angolo riparato dal vento?» – gemette Marjutka.

«L’elettricità, qui, non la trovi di certo!»

«Almeno far fuoco con il pesce… È bello grasso.»

Il tenente si mise a ridere fragorosamente di nuovo.

«Far bruciare il pesce? Sei davvero impazzita!»

«Perché dici, che sono impazzita?» – rispose Marjutka risentita. «Da noi, sul Volga, lo usavano moltissimo per far fuoco. Brucia meglio della legna!»

«È la prima volta che lo sento… Tutto sta, è come farlo accendere? L’acciarino ce l’ho, ma non ci sono schegge di legno per far attecchire il fuoco…»

«Ma che razza di cavaliere!.. Sembra che non hai fatto altro che startene attaccato alla gonna della mammina. Eccoti, tieni, tira fuori le pallottole, io intanto strappo un po’ di schegge dalle assi delle pareti.»

Il tenente, con le dita irrigidite, estrasse a fatica le pallottole dalle tre cartucce del fucile. Marjutka nel buio gli venne addosso con le schegge di legno.

«Metti qua la polvere da sparo! A montagnetta… ora dammi l’acciarino!»

L’acciarino sprigionò una scintilla arancione e Marjutka lo ficcò dentro la polvere da sparo. Si mise a sibilare, si accese con una lenta gialla fiammella, si attaccò alle secche schegge di legno.

«Hai visto!» – gioì Marjutka. «Porta il pesce… Una carpa, bella grossa!»

Sulle schegge incendiate misero per traverso un pesce. Dapprima si raggrinzì, poi divampò con una calda fiamma grassa.

«Ora bisogna solo non dimenticarsi di aggiungere il pesce, prima che il fuoco si spenga. Qui n’abbiamo tanto, per mesi e mesi!»

Marjutka si guardò attorno. La fiamma tremava con ombre instabili sopra le enormi cataste di pesce. Le pareti di assi di legno avevano grosse fessure e buchi.

Marjutka andò a fare un giro per la baracca. Da un angolo nel fondo, gridò: «C’è un angolo ben riparato! Tu continua mettere il pesce nel fuoco, intanto io rassetto un po’ qua, sembrerà una stanzetta.»

Il tenente si sedette vicino al falò. Si rannicchiò, cercando di scaldarsi. Nell’angolo Marjutka si dava da fare, spostando rumorosamente il pesce. Finalmente chiamò: «È pronta! Porta qua il fuoco!»

Il tenente prese per la coda una carpa in fiamme. Si avvicinò all’angolo. Marjutka aveva costruito da tre lati una sorta di parete di pesce; all’interno si era formato uno spazio riparato di circa una sagena7.

«Dai, entra. Lì, in mezzo, ho messo qualche pesce per traverso, accendilo. Intanto vado a prendere le provviste.»

Il tenente mise la carpa in fiamme sotto la gabbia costruita con il pesce. Lentamente, svogliatamente il fuoco la attaccò. Marjutka ritornò, mise le carabine nell’angolo, adagiò i sacchi per terra.

«È una vera dannazione, peste dei pesci la pigli! Poveri, poveri ragazzi. Si son affogati in un baleno, così, per niente!»

«Sarebbe bene asciugarsi gli abiti. Se no, ci ammaliamo.»

«E cosa aspetti? Il fuoco di pesce è molto caldo. Spogliati e mettili ad asciugare!»

Il tenente indugiò.

«Finché lei si asciuga le sue cose, Maria Filatovna, attenderò di là. E dopo asciugo le mie.»

Marjutka diede uno sguardo di indulgenza e di compassione al suo tremante viso.

«E sì, ti guardo, e mi pare di vedere uno stupido! Ma che razza di comportamento signoresco, borghese! Che cosa c’è poi di tanto terribile? Non hai mai visto una femmina nuda?»

«Non è per questo… ma è che lei, probabilmente, si sentirebbe in imbarazzo?»

«Sciocchezze! Della stessa carne siam fatti. Non c’è poi tutta questa differenza!» – E quasi sgridandolo: «E spogliati, testone! Senti come ti battono i denti, sembri una mitragliatrice. Tormento, che non sei altro!»

Sulle carabine messe a trespolo al di sopra del fuoco stavano appesi e fumavano di vapore gli abiti da asciugare.

Il tenente e Marjutka si sedettero l’uno contro l’altra davanti al fuoco, girandosi ogni tanto, inebriati, verso il calore della fiamma.

Marjutka guardò a lungo, non distogliendo gli occhi, la magra, delicata schiena chiara del tenente. Sogghignò.

«Ma quanto sei bianco, la peste dei pesci!.. Non è che ti facevano il bagno nella panna!»

Il tenente arrossì forte e girò la testa. Volle dire qualcosa, ma, accorgendosi di un tondeggiante riflesso giallo sul petto di Marjutka, abbassò giù le sue sferette blu oltremare.

Gli abiti si asciugarono. Marjutka si buttò sulle spalle il suo montone rovesciato.

«Bisogna dormire un po’. Per domani, forse, la tempesta cesserà. È una fortuna che il battello non sia affondato. Con la calma, forse, potremmo navigare sino al fiume Syrdarja. Lì incontreremo dei pescatori. Tu ora mettiti a dormire, io invece rimango a controllare il fuoco. E quando avrò sonno, ti sveglierò per farmi dare il cambio. Così, un po’ per uno, facciamo la guardia.»

Il tenente mise gli abiti per terra sotto di sé, si coprì con il suo pellicciotto. Fu subito sopraffatto da un sonno pesante e, mentre dormiva, si lamentava. Marjutka immobile lo stette a guardare.

Alzò una spalla.

«Ma guarda, che palla al piede! Poverello! Speriamo che non si ammali! A casa sua avrà vissuto nella bambagia, certamente, imbacuccato nelle sete e nei velluti preziosi. Eccola, la vita com’è, la peste dei pesci la pigli!»

Il mattino, quando, attraverso le fessure del tetto, nella baracca arrivarono i primi sprazzi di una luce grigiastra, Marjutka svegliò il tenente.

«Senti, cura adesso tu il fuoco, io vado sulla riva. Do un’occhiata in giro, potrebbe essere che i ragazzi nostri non siano affogati ed ora stiano seduti da qualche parte.»

Il tenente si alzò a fatica. Si mise le mani alle tempie, disse sordamente: «Ho mal di testa.»

«Non è niente… Sarà per il fumo e la stanchezza. Ti passerà. Prendi nel sacco le focacce, arrostisciti sul fuoco del pesce e mangia.»

Prese una carabina, la pulì con la falda del suo montone e uscì.

Il tenente strisciando sui ginocchi si avvicinò al falò, tirò dal sacco una focaccia rafferma. Diede un piccolo morso, masticò un po’, si fece cadere la focaccia di mano e come un sacco crollò a terra vicino al fuoco.

Marjutka scosse la spalla del tenente. Disperatamente, urlò: «Alzati!.. Dannazione, alzati!.. È successa una disgrazia!»

Gli occhi del tenente si allargarono, si spalancarono le labbra.

«Alzati, ti dico! È successo un guaio tremendo! Non c’è più il battello! Le onde lo hanno portato nel mar aperto! Adesso è la fine, siamo spacciati!»

Il tenente stette a guardare dritto nel volto di lei, tacque.

Guardò attentamente Marjutka, esclamò un sommesso ‘ah’.

Divennero torbide e folli le sferette blu oltremare del tenente. La guancia, appoggiata fiaccamente sulla mano di Marjutka, emanava un calore di fuoco.

«Si è ammalato, aveva preso troppo freddo, accidenti. E adesso, cosa debbo fare con te?»

Il tenente mosse le labbra.

«Michail Ivanovič… Non mi metta un brutto voto… Non ho potuto studiare… M’interroghi domani, la prego…»

«Che sciocchezze stai dicendo?» – domandò Marjutka tremando.

«Tresor… prendi… una pernice…» – urlò all’improvviso il tenente, sollevandosi.

Marjutka si scostò bruscamente e si coprì il viso con le mani.

Il tenente crollò di nuovo al suolo, si mise raschiare la sabbia con le dita.

Borbottò veloce veloce qualcosa di indistinto, soffocando nei suoni della voce.

Marjutka si guardò disperatamente attorno.

Si tolse di dosso il suo montone rovesciato, lo buttò sulla sabbia, trascinò faticosamente e mise sopra il corpo del tenente privo dei sensi, coprendolo con il pellicciotto.

Si rannicchiò vicino come un povero cuccioletto bisognoso d’aiuto. Gli occhi si annebbiarono e sulle guance affilate scivolarono lacrime lente.

Il malato si dimenava nel delirio, si scopriva, si liberava dal pellicciotto, ma Marjutka perseverava ad aggiustarlo ogni volta, imbacuccando il tenente sino al mento.

Notò che la testa del tenente si rovesciava troppo, gli sistemò un sacco al posto del cuscino.

Guardando in su, come fosse al cielo, disse con enfasi: «Se mi morirà… Che cosa racconto ad Evsjukov? Povera me! Che guaio!»

Si chinò sul tenente delirante per la febbre altissima, diede uno sguardo negli offuscati occhi blu oltremare.

Avvertì una fitta di dolore penetrante al petto. Allungò la mano e piano piano accarezzò i capelli ondulati del tenente, sparsi sul sacco. Prese la sua testa fra le mani, sussurrò dolcemente: «Sciocchino mio, dagli occhi blu!..»

(continua)

[Traduzione dal russo di Tatiana Bogdanova Rossetti]

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