Non è facile reggere un personaggio come quello di Adriano. Proviene dalla Storia ma si svincola dai territori della Storia per trasformarsi in una creatura che vive il tuo tempo, i tuoi giorni.
Mentre leggi ti sta lì davanti, maestoso e fragile; ti guarda negli occhi, come se volesse interrogarti, sapere che cosa pensi, in che modo giudichi il resoconto e il racconto che fa della sua vita, le sue grandezze e le sue miserie, i suoi alibi e le sue verità, i ricordi, i desideri, i turbamenti, i sentimenti, la sua pacata inquietudine, la sua saggezza. La sua concretezza. La sua fioca vanità. La sua umiltà. Dice che qualche volta la sua vita gli appare banale a tal punto da non meritare di essere scritta, da non meritare neppure di essere ricordata.
Mentre leggi senti la sua voce. Chiara e pacata. Non sussurra. Non grida. Racconta. Senza nessun movimento. Mentre leggi, lo vedi, lo senti. Con addosso una palandrana bianca. Ha il volto e la voce di Giorgio Albertazzi che del romanzo della Yourcenar fece teatro. Opera da strabilio. Lo vedi e lo senti: un fantasma. Che si confronta con i suoi fantasmi. Sospeso in un vuoto di tempo e di spazio, ma ricolmo di senso. Dice: “Le gambe non mi sostengono più nelle lunghe cerimonie di Roma; a volte mi sento soffocare e ho sessant’anni. Sembra avesse ragione quel mago a predirmi che non sarei morto annegato. Morirò a Tivoli o a Roma, tutt’al più a Napoli, una crisi di asfissia sbrigherà la bisogna. Sarà la decima crisi a portarmi via, o la centesima? Il problema è tutto qui”.
Ti sta davanti, Adriano, mentre leggi, e pretende e impone che ascolti quello che dice attentamente, senza distrazioni, senza interruzioni. Però, a un certo punto, la lettura devi interromperla per forza. Un romanzo così non si può leggere tutto in una volta. Adriano lo devi allontanare per un poco; devi fare in modo che non penetri nei tuoi pensieri, nella tua esistenza. Devi evitare che venga a trovarti mentre stai sbrigando le tue faccende. Non devi scordarti che si tratta di un personaggio, di una finzione. Si deve tenere a distanza. Non gli si deve dare confidenza, perché si mette accanto e ti ripete quello che hai letto. Deve restare nella sua esistenza fatta di parole. Quando finii di leggere le Memorie di Adriano per la prima volta, ebbi l’impressione di essermi liberato da qualcosa di incombente, di pesante, dalla pressione di un’ombra scura, invadente. Probabilmente pensai che non l’avrei mai più ripreso. Per intero non l’ho mai più ripreso. Allora chi non lo ha ancora letto si potrebbe chiedere per quale motivo dovrebbe affrontare questa sofferenza. Forse si potrebbe rispondere che ci sono libri che non si può fare a meno di leggere. Anche a costo di qualche sofferenza. Memorie di Adriano è uno di questi.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 4 agosto 2024]