Manco p’a capa 214. Non bastano le aree protette

di Ferdinando Boero

Complimenti a Luisiana Gaita per l’ottimo articolo sulla protezione del mare in Italia (Aree protette? Solo sulla carta e riguardano meno dell’1% del mare. Greenpeace smentisce il dato ufficiale del governo che parla dell’11,6%), e complimenti a Greenpeace per la mappa delle aree protette: dovremmo proteggere almeno il 30% dello spazio marittimo entro il 2030 e siamo lontanissimi dall’obiettivo. La soluzione al degrado ambientale, comunque, non è di proteggere una parte rilevante dei nostri mari ma di gestirne adeguatamente la totalità. Le aree protette sono istituite dove gli habitat hanno caratteristiche paesaggistiche rilevanti (di solito scogliere sottomarine) o dove sono presenti specie carismatiche (vedi il santuario dei cetacei in Mar Ligure). Gli habitat e le specie, però, non sono entità autonome, e prosperano solo se il funzionamento degli ecosistemi è garantito. Gli habitat e le specie sono la struttura ben visibile degli ambienti, mentre le funzioni ecosistemiche sono entità meno evidenti. Il concetto si comprende meglio se lo rapportiamo al nostro corpo. Gli apparati digerente, circolatorio, respiratorio, le cellule, e l’apparato escretore sono strutture ben conosciute, visto che sono parte dei programmi scolastici. Ma sono pochi a sapere come queste strutture interagiscano per far scorrere l’acqua nel nostro corpo fino a produrre la plin plin dell’acqua minerale! Salvaguardare le strutture senza comprendere le funzioni non è garanzia di buona gestione.

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