di Giuseppe Orlando D’Urso
Quelli della mia generazione hanno appreso dai manuali di storia e di letteratura che il Medioevo andava distinto in due momenti: l’Alto Medioevo, facendolo partire dalla data convenzionale del 476 (caduta dell’impero romano d’occidente) fino alle soglie dell’anno 1000; il Basso Medioevo fino alla scoperta dell’America, 1492.
Del primo è stata trasmessa l’idea di un periodo buio caratterizzato da guerre, da invasioni di popolazioni definite “barbare”, da epidemie, da superstizioni; secoli segnati da arretratezza culturale essendo stato se non cancellato, quanto meno ignorato quel patrimonio culturale e giuridico sul quale si era fondato l’impero romano, a sua volta intriso di pensiero e arte greca.
Quei testi scolastici tuttavia non trascuravano di evidenziare l’importante ruolo svolto dalle prime comunità monastiche cristiane, “luoghi in cui veniva custodito il sapere”, con i loro scrittoi, con i loro amanuensi dediti a copiare autori greci e latini.
Negli ultimi decenni, l’immagine di un Alto Medioevo oscurantista è stata messa in discussione da vari storici, limitandoci qui a indicare due tra i più noti: Jacques Le Goff (Il cielo sceso in terra: le radici medievali dell’Europa), Régine Pernoud (Medioevo; un secolare pregiudizio).
Pernoud ridimensiona i pregiudizi sul medioevo e, tra altre analisi, rivaluta ed evidenzia il ruolo della Chiesa e del cristianesimo riconoscendo un’importanza determinante nella conservazione e trasmissione del sapere, nella promozione di valori sociali e morali che hanno contribuito allo sviluppo della civiltà occidentale. Anche l’idea della donna sottomessa è in varie maniere scalfita con esempi che dimostrano come avesse, al contrario, un ruolo considerevole, un potere autonomo soprattutto se ricopriva mansioni di potere.