Particolarmente interessante è anche il capitolo sull’invettiva all’Italia, nel Canto VI del Purgatorio. Catalano riporta correttamente quella che è l’idea politica di Dante, e cioè la monarchia universale (di cui peraltro parla nel De Monarchia), vale a dire un solo Imperatore su tutti i Comuni, purché questi – riconosciuta la sola autorità imperiale – siano liberi e autonomi nelle loro cose. Il dubbio che il Poeta fosse divenuto ghibellino sorge legittima, ma non è così. Dante spera di rientrare a Firenze, quindi sposa la causa di Enrico VII di Lussemburgo (detto Arrigo), che scende in Italia per riaffermare il potere imperiale su quello temporale del Papa. Una vittoria di Arrigo avrebbe significato il ritorno del Poeta a Firenze, da uomo libero. Ma l’Imperatore muore di malaria a Buonconvento il 24 agosto 1313, così le speranze dell’Alighieri muoiono con lui. Ma perché Dante, ch’era Guelfo bianco, e quindi sostenitore del potere temporale dei papi (seppur con qualche differenza anche rispetto alla sua stessa fazione), prediligeva la monarchia universale sotto un unico Imperatore? A parte l’obiettivo personale di fare rientro a Firenze, il Poeta riteneva che se il Papa fosse rimasto al di fuori delle questioni politiche occupandosi solo di quelle spirituali, il potere imperiale avrebbe potuto mettere fine agli scontri tra fazioni, portando alla pacificazione in tutta Italia. Non è un caso che, in merito alla battaglia di Benevento del febbraio 1266 tra Manfredi e Carlo I d’Angiò (il primo, figlio illegittimo di Federico II di Svevia, espressione del potere imperiale; il secondo, figlio del Re di Francia Luigi VIII, sostenuto dal Papa), Dante scriva con affetto proprio di Manfredi: “Io mi volsi ver lui e guardai il fiso: / biondo era e bello e di gentile aspetto, / ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso”. Questa raccolta di scritti di Catalano è una avvincente analisi di quello che su Dante i più non conoscono. Un vademecum per studenti, studiosi e appassionati che merita di essere letto. Fare letteratura è una cosa seria, e Catalano ci riesce benissimo. Non perché fosse il suo mestiere fino a qualche anno fa, ma perché la letteratura va oltre il mestiere. Essa attiene all’anima, quindi alla passione e al fuoco che abbiamo dentro. Un fuoco che, per chi fa letteratura, divampa come una fiamma incendiaria a tal punto da contribuire allo sviluppo culturale del Paese. Ed Ettore, in questo, merita la più autorevole considerazione.
Buona lettura.