di Ferdinando Boero
AGIP era un’azienda petrolifera pubblica fondata sotto il fascismo. Enrico Mattei fu incaricato di liquidarla, subito dopo la guerra, ma lui aveva altro per la testa e ne fece un grande ente pubblico nel campo degli idrocarburi, in competizione con i colossi del petrolio. Purtroppo la sua visione è stata presto messa da parte e le industrie pubbliche che costavano più del guadagno che producevano (a causa di sciagurate gestioni) furono privatizzate. Il pensiero di farle funzionare bene, come fece Mattei fondando ENI, fu presto scartato. I privati spremono le aziende e poi le smantellano. Una grande impresa pubblica, molto problematica, ancora sopravvive: produce, con costi altissimi, un prodotto che, trovando scarsa collocazione in Italia, viene esportato, gratis, verso paesi che ne traggono grandi profitti. Che fare? Visto che comunque un po’ dei suoi prodotti sono assorbiti a livello nazionale, si pensa di ridimensionarla: è inutile produrre grandi quantità di qualcosa che regaliamo agli altri, avendo speso senza ricavarne guadagno. Anzi, perdendoci, visto che i prodotti che scartiamo vengono usati per farci concorrenza. Si potrebbe tentare di capire come mai il nostro mercato non assorba un prodotto tanto ambito all’estero, ma pare che questa eventualità non sia neppure presa in considerazione: non ci sono Mattei in giro, solo qualche Matteo. Avete indovinato a quale impresa mi riferisco? È la più importante, su cui si basa il futuro del paese. Vabbé, ve lo dico: è l’università che, a sua volta, si fonda sull’istruzione preuniversitaria. Senza un capitale umano con alta qualificazione, una nazione semplicemente decade. Il “mercato” estero ogni anno assorbe 120.000 giovani italiani, in gran parte laureati: se ne vanno perché il mercato interno offre stipendi inferiori a quelli che altri sono disposti a pagare. I paesi che assorbono i nostri laureati prendono i migliori, e li pagano bene. Quelli che restano si accontentano di lavori sottopagati, spesso precari.