A chiare lettere. Un dialogo tra scienza e umanesimo. Carteggio Ferdinando Boero – Angelo Semeraro (14 febbraio 2006 – 14 febbraio 2008) 5.

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18.03.06

Caro Nando,

scopro altro comune sentire. Sono convinto anch’io e da tempo che il valore legale dei titoli andrebbe abolito. Lo sostenne già quel coerente liberale che fu Einaudi nei Quaranta, pur accantonando in quel momento la quistione. E’ una cosa che oggi andrebbe fatta, ma non la trovo in nessun programma elettorale, né a destra né a sinistra né tra i centristi/terzisti di entrambi i poli. Eppure la cosa è urgente perché l’allineamento europeo introdotto con le lauree brevi ha prodotto l’affollamento dei procacciatori di titoli a basso costo (e fatica). Tutto gioca al ribasso, e tutti scivoliamo negli inferi. In aree geografiche periferiche come la nostra l’opificio formativo è sempre stata l’unica risorsa produttiva e riproduttiva di classi dirigenti addette all’intermediazione (guardati in giro e vedi i politici che abbiamo). La cosa era chiara già ai meridionalisti dell’ultimo Ottocento e del primo Novecento. Anche localmente si condussero battaglie contro Senofonte, in favore delle scuole tecniche, ma con quali risultati? Sì, vi fu la breve parentesi positivista, che dette dignità agli Istituti tecnici. E i socialisti d’allora si dettero da fare per buone scuole professionali e d’artigianato. Al Costa, come sai, c’è ancora il più ricco gabinetto scientifico messo su dal De Giorgi. E anche i Padri della Compagnia, che fiutavano il vento come gli indiani d’America, si erano attrezzati mutuando alcuni saperi tecnico-pratici delle accademie militari. Ma poi, come sai, vinse la teoria dei due popoli, incarnata nella filosofia-pedagogia di Gentile. Per riprodurre classi dirigenti si rafforzò il classico. Tutti i dirigenti vengono da quelle parti: avvocatura, magistratura, docenza. “Cattedra, altare e fòro” (è il titolo di una vecchia ricerca mia dell’85 che mi costò cinque anni di archivi, ma mi servì per la cattedra per lo zelo della documentazione di prima mano). La nostra università fu inizialmente il prolungamento naturale di quel classico dove Senofonte era stato contestato ma che tornò gentilianamente in auge: arte, religione e filosofia. Non un umanesimo del lavoro: quello per cui si batteva Banfi nelle commissioni culturali del Pci e che lo stesso Pci meridionale, erede di DeSanctis e Croce contrastava, ma quello delle retorikai, funzionali per un sistema educativo riproduttore di dipendenza, obbedienza, servilismo. Cattedre e sagrestie. Il più consapevole meridionalismo di “Cronache meridionali”, di “Nord e Sud”: Rossi Doria e la scuola di Portici, per fare un solo riferimento, ci davano le prime radiografie di un sud a macchia di leopardo che si sarebbe potuto sollevare attraverso la promozione di quadri tecnici, ma noi eravamo già produttori di manovalanza intellettuale generica, una volta soddisfatta l’esigenza di fornire un po’ di insegnanti di bellelettere che la riforma della scuola media del ’62 richiese. Poi arrivaste voi: extra, strani e stranieri: scienziati positivi un po’ svagati, un po’ pazzi. Linguaggi incomprensibili. Ricordo  Tonietti e Donini, e il buon Garola che mi straziava con discorsi incomprensibili fino alle estreme ore notturne. E il resto potresti aggiungerlo tu.

Perché vado a briglia sciolta sul filo di una memoria capricciosa e volubile? Forse per dirti la mia sensazione che quelli furono anni decisivi e non ce li siamo saputi spendere al meglio. Ricordo le battaglie sindacali in Cgil con colleghi ora al soglio delle Supreme Stanze, le contestazioni del conflitto di interessi di un notabile democristiano di Tricase, fondatore nonché rettore del nostro ateneo, nonché direttore amministrativo ad interim, che si fece trovare con le mani nel sacco pilotando due concorsi ad personam. Ma quello che ci sembrò un lento ma inesorabile processo di democratizzazione che non si sarebbe arrestato, sarebbe invece stato travolto negli anni della deregulation craxiana. Bisognava tutti cambiar casacca e diventare ciambellani. Quelli che non lo hanno fatto o non seppero farlo si sono rifugiati negli studi, scrivono lettere…

Scusa lo sfogo.
Se vuoi leggerti qualcosa che problematizzerà (ma non troppo) il tuo tema centrale, leggiti sul MicroMega il carteggio di Daniel Dennett e Richard Swinburne “Dio di fronte al tribunale della scienza”. Buona lettura.

Caramente

a. 

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21.03.06

eh, caro Angelo,

lo so bene quali sono stati i percorsi degli intellettuali della Magna Grecia, ma questo non significa che non ci siano stati buoni frutti. Ce ne sono stati. Alla fine se ne devono tirare su cento per averne uno buono, in tutti i campi. Più o meno. E una buona cultura non fa mai male. Il mio lamento è che l’alternativa era il liceo (io ho fatto lo scientifico, ma di scienze non c’era quasi nulla) o l’istituto tecnico. Allo scientifico le ore di matematica erano pari a quelle di latino (e la matematica non è una scienza, è una lingua, allo scientifico c’è la matematica, al classico c’è il greco). Di scienze-scienze non c’è proprio nulla. Me ne sono accorto quando sono arrivato all’università, e ho scoperto che c’erano cose che mi piacevano. Incredibile. Ecco, io chiedo che a fianco alle materie umanistiche, anche quelle scientifiche abbiano pari dignità. Non rivendico alcuna superiorità, ma credo che sia culturalmente monco chi conosce bene certe cose e ignora completamente altre cose.

Oggi, per la ventesima volta ormai (son qui da vent’anni) ho iniziato le lezioni ai ragazzi del primo anno. Erano un centinaio. E ho iniziato scrivendo le solite due paroline: pipì e popò. E ho fatto la stessa desolante scoperta di ogni anno. Nessuno sa da dove viene la pipì. Tredici anni di scuola, e non si è trovato il tempo di spiegare le funzioni del corpo umano, in modo da fargliele ricordare. Tutti, ma proprio tutti, al mio “Ei fu siccome immobile….” sono andati avanti in coro. Come mai tutti hanno in testa il cinque maggio e nessuno sa da dove viene la pipì? Non è cultura sapere ANCHE come funziona il proprio corpo? Oggi non lo è. E questo mi fa molto arrabbiare. Non è giusto. E crea cittadini ignari delle cose più elementari. Perchè mia figlia deve passare mesi a imparare tutte le proprietà dei triangoli e poi nessuno le spiega da dove viene la 

pipì? E sai qual’è la cosa più grave? Che a nessuno viene la curiosità, il dubbio. Ma da dove viene ‘sta benedetta pipì? Credono di sapere. E quindi sono ignari della loro ignoranza. Almeno, uno se non ha letto i Promessi Sposi lo sa, e sa di essere ignorante. Nel caso delle scienze è peggio.

Insomma, a me non soddisfano gli intellettuali a metà, e l’Italia ne è stracolma. Come dici giustamente, usano l’eloquio imparato a scuola e sono, usando il buon Sandro, degli azzeccagarbugli. Mi hanno spaccato i coglioni con le traduzioni di Cicerone, e non faccio che raccontartelo. A me piaceva Cesare. Ma no, era troppo semplice. Frasi brevi, autoconclusive. Vuoi mettere un bel periodo ciceroniano? Non faccio che ripeterlo, lo so, ma mi ha lasciato il segno. Questo è il prodotto dei licei classici, con una supponenza di superiorità basata solo sull’ignoranza dell’altra metà della cultura. Io, almeno, lo so di essere ignorante. So di non avere il tempo di leggere tutto quello che è stato pubblicato (sto leggendo tre libri contemporaneamente, uno si chiama The Origin of Phyla, l’altro è The Evolution of Development, e il terzo è una monografia del settecento di cui mi piace tanto l’odore, e me la leggo per rilassarmi. Come faccio a leggere la critica della ragion pura? O il tuo McEwan? Io non leggo più un romanzo dall’età di ventidue anni. Ogni anno escono almeno venti libri che dovrei leggere, e non riesco mai a stare al passo. Poi ci sono gli articoli. Non so se mi spiego. Tutto quello che so, di estraneo al mio campo primario, lo traggo dalla lettura integrale di Internazionale. La mia rivista preferita. Se devo divertirmi vado al cinema. Per me la letteratura, oggi, è il cinema. 

Lo so che si tratta di una cosa opinabile, ma è quel che sento. alla prossima

n.

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23.03.06

Non voglio impegnarmi con te in una discussione sugli scambi, più o meno fruttuosi, tra cinema e letteratura. Entrerei nel vespaio di una discussione senza fine sul chi deve a chi (e poi, con te è sempre così: un soldo a cominciare…).

Sono tra quelli che non se ne lasciano mancare il nutrimento, sull’uno e sull’altro versante. Anche se dei film finisco per dimenticarmi presto, forse perché li godo in uno stato di trans soporifero e dislocativo; i libri no. Bene o male, sempre e comunque, mi danno e mi dicono qualcosa. Parlo ovviamente di buona letteratura. Quella che ossigena e alimenta le emozioni a beneficio dell’immaginario, dei sogni che riescono a illuderci (nel senso letterario dello stare al gioco).

E mi spiace che tu perderai le delizie di McEwan, come perdi i benefici delle memorie che vanno producendo quelli che escono dal servizio attivo (inutile quindi raccomandarti “La ragazza del secolo scorso” della Rossanda che a me, vecchio militante nelle belle bandiere, ha dato e detto molto. Inutile raccomandarti l’Eco “a passi di gambero” ecc. Ho una mezza convinzione, e voglio dirtela per come la sento: che se anche il linguaggio scientifico vestisse panni più colorati saremmo tutti più coinvolti nella questione che poni: dell’origine di pipì e popò. E ci risiamo: due culture, due formati espressivi, linguaggi diversi.

Comunque, sfuggendo McEwan sfuggi ciò che potrebbe dirti sugli scienziati, di cui sembra diffidare non poco, almeno quando dice che non dovrebbero mai occuparsi di realtà, dal momento che il principale loro compito sembra quello di inventare modelli che giustifichino le loro osservazioni. Non voglio sposare questa tesi, che mi sembra rigida e mal ti si confà, apparendomi tu prim’ancora che un collega umano, troppo umano, una creatura curiosa e ben piantata nel principio di realtà; capace, alla bisogna, di contrastarlo, in nome e per conto di una realtà more geometrico dimostrabile. Ma se avesse ragione poi lui?

A presto

a. 

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23.03.06

Vedi, caro Angelo, ci sono scienziati e scienziati. La filosofia  della scienza ha eretto la fisica a paradigma di scienza. E i fisici sono davvero come li dipingono i vari non scienziati che si occupano di scienza. Pensano di aver capito tutto. Ma non capiscono la complessità, perchè sono intrinsecamente riduzionisti. Riducono la semplicità e poi cercano di rifarla. Ma ci sono le proprietà emergenti. A volte lo ammettono, ma poi continuano come se niente fosse. I biologi, si dice, hanno l’invidia per la fisica. Perchè non riescono a trovare leggi. Ci sono sempre eccezioni, e le certezze vacillano. E si finisce sempre nelle leggi della termodinamica. Una legge della biologia è che tutti i viventi muoiono, ma altro non è che la legge dell’entropia… e questo è il bello della biologia. E’ la scienza delle eccezioni, della causalità multipla. E’ questo che la rende diversa da tutte le altre scienze, e la rende simile alle scienze umanistiche, anche perchè gli umani sono sistemi biologici e anche i loro prodotti sono biologici. Non esistono funzioni senza strutture.

Se ti piacciono i libri, te ne regalo uno. L’ho scritto io. Può darsi che persino me lo pubblichino, anche se ho faticato molto a trovare un editore. Tutti si sono dichiarati entusiasti (Airplane, Einaudi, Liguori, Laterza, Sellerio, Zanichelli e altri ancora) ma tutti si sono dispiaciuti di non avere una collana in cui poterlo collocare. E pensare che ho voluto scrivere un libro diverso. Un libro piacevole che però dice cose serie. Il collega Muci, che poi è un editore, si è dichiarato disposto a rischiare. Vedremo….

se hai tempo e voglia, magari dagli un’occhiata. Recentemente ho scoperto che Mozart scriveva musica a due livelli, e non faccio che ripeterlo. Uno per rendere appetibile ciò che faceva agli ascoltatori medi, l’altro per dire cose che di solito non venivan dette (in campo musicale). Mi ci sono riconosciuto. In teoria il libro dovrebbe divertire un lettore qualunque. Tutti sono in grado di capire tutto quel che c’è scritto.  Ma alcune cose sono abbastanza profondette. Credo.

Ecco, agli editori non è piaciuto il modo con cui l’ho scritto. Volevano qualcosa di formalmente “dotto”. Allora sì, non ci sarebbero stati problemi. E poi non volevano le figure. Insomma, volevano un libro serio. A me piace dire cose serie facendo divertire. Come ho cercato di fare anche nell’articolo che ti ho mandato per la nostra rivista. Ma pare che questa cosa non sia gradita agli “intellettuali”. Mia moglie ha comprato il libro di Rossanda. Ma davvero non ce la faccio. Passo la mia giornata a leggere e a scrivere. Tornando agli scienziati, io credo che siano persone che vogliono capire, che si fanno domande. La finalità della scienza è ridurre l’ignoranza. Penso che non ci sia nulla di male, a parte il fatto che ci fanno credere che ci abbiano sbattuto fuori dall’eden perchè abbiamo voluto conoscere. Un bel messaggio davvero. Non sarà da lì che deriva questa sfiducia nella scienza? E allora di chi abbiamo fiducia? di sua eminenza? Sai una cosa? sono così tentato di votare per la rosa nel pugno. Sono gli unici che rivendicano la laicità. Ma eran tutti craxiani. Come si fa?

ciao

Nando

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30.03. 06

Caro Nando,

ancora consonanze (ma dove andremo a finire?): Mozart; le scienze del Biòs come scienze delle eccezioni e della causalità multipla; perfino la… rosa nel pugno, di cui condividiamo –buon ultime- perplessità sui trascorsi dei proponenti, compresa la rappresentanza locale, che è poi una nostra collega brava nel far capriole. Come si fa? Già… Come già da molto tempo in qua: tenendoci ben strette le narici tra il pollice e l’indice.

Sul doppio registro di Mozart mi avevi già detto, e da allora vado inseguendo ogni volta il secondo livello, senza molto successo.Sono curioso del tuo libro in fieri, e sono sicuro che un editore intelligente prima o poi lo trovi. Volentieri lo leggo prima che qualcuno te lo stampi. In fondo tu fai ciò che io tento di fare con questi Quadernidi comunicazione e con questo benedetto corso di Scienze della comunicazione: trovare bande più larghe per ampliare e diffondere: addestrare capacità comunicative in grado di tradurre le cripticità degli specialismi. Si dovrebbe chiamare democrazia delle conoscenze, funzionale a un allargamento della democrazia politica. Io poi credo che tutto il linguaggio scientifico, o buona parte di esso, si avvolga di misteriosità come tutta l’area del sacro (che ha bisogno di iniziatici e di noviziati) per conservare il power (che il più delle volte è un povero, misero power di corporazioni del sapere scisso). Siamo sempre lì, e forse ci stiamo ripetendo, ma è sempre un piacere leggerti e sentirti vivo e reattivo.

Caramente

a.

(continua)

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