di Boris Andreevič Lavrenëv
(continuazione)
Capitolo Quinto
Interamente rubato a Daniel Defoe, ad eccezione che Robinson non era costretto ad attendere a lungo Venerdì.
Aral, un mare poco allegro.
Le rive piatte, su cui c’è assenzio, sabbie, dune accavallate.
Gli isolotti sull’Aral, come crêpes versate sulla padella, lisce quasi a specchio, si appiattirono sulle acque, la riva appena appena visibile, e non abita su di essi vita alcuna.
Né volatili, né erba e l’odore degli esseri umani si avverte soltanto d’estate.
L’isolotto principale sul mar di Aral è Barsa-Kel’mes.
Il vero significato del nome è sconosciuto, tuttavia i kirghisi lo interpretano come «la morte umana».
D’estate dal villaggio «Aral’skij» si dirigono verso l’isolotto i pescherecci. La pesca è ricchissima nei pressi di Barsa-Kel’mes, l’acqua bolle al passaggio di tutta questa marea di pesci.
Ma, non appena iniziavano a ruggire sul mare i venti delle tempeste autunnali, sollevando dei bianchissimi montoni schiumosi, i pescatori si precipitavano a mettersi in salvo nel golfo pacifico del villaggio «Aral’skij» e sino alla primavera non mettevano più fuori il naso.
Se succedeva che prima dell’arrivo delle tempeste autunnali, i pescatori non erano riusciti a trasportare fuori dall’isola tutto quanto il pescato, il pesce salato rimaneva accatastato per tutto l’inverno dentro ben ventilate baracche-deposito, costruite alla meglio con le assi di legno.