Padre Bernardo è la storia del giovane figlio di calzolaio che per intelligenza e doti di cuore e di mente giunge a laurearsi, conquistando la stima e l’affetto di tutta la gente del paese. La vicenda si svolge durante la prima guerra mondiale. La storia di Sandro si intreccia con quella della sorella Rosaria che, a meno di vent’anni, va sposa al maresciallo di aviazione Anselmo, figlio del capostazione di Arigliano don Lazzaro Leoponte.
Abbiamo parlato di impianto verghiano.
Difatti il narratore ha scelto di raccontare gli avvenimenti così come si riflettono nei cervelli e nei cuori dei suoi personaggi. Per questo accade che la vocazione di Sandro di farsi frate barnabita col nome di padre Bernardo, dopo che in zona di guerra per un fenomeno telepatico ha visto l’apparecchio del cognato precipitare in fiamme ed ha sentito il grido angoscioso della sorella, la quale per analogo fenomeno ha avvertito anch’ella la catastrofe del marito, si svela nelle ultime pagine del romanzo, ma bisogna cercarne il preludio a pag. 55: “Ormai il domani gli si spiegava davanti cosi come l’aveva sognato da giovinetto nelle scuole di provincia e poscia nell’università, cosparso di difficoltà di ogni specie e di fugaci trionfi offuscati da nuovi ed audaci tentativi di affermarsi, di poter fare tra la società un passo sicuro per meglio servire il prossimo, per essere nel suo piccolo mondo una lampada accesa, anche se con la fiammella scialbo”.
Si rinvergono nelle pagine del romanzo pittoresche chiacchierate che artisticamente si articolano secondo un ritmo in cui la progressione del pensiero scivola circolarmente a mezzo di correnti associazioni di impressioni dall’una all’altra immagini di vita municipale. Sono veri propri cori come quelli delle pp. 29, 30, 31 e 47, 48, durante alcune serate danzanti al circolo cittadino ed alle pp. 31, 82, durante la processione. Emergono nomi che fanno pensare a macchiette paesane sono idiotismi galatinesi come, ad esempio, Pilitiso, Crisostomo il Pampascione, ed accanto ad essi forme del parlato quotidiano: mettere carne a cuocere a p. 74; uno schiappinu di quella fatta a p. 75; acchittarsi con la palla; ultima a comparire alla “spaccata” quel lunedì di Pasqua a p. 87. tutti risero all’uscita dello Stoppello a pag. 91; voleva <<sprovare>> le intenzioni del giovanotto a p. 94; egli non è toccato di camicia a p. 108; il conflitto ormai pigliava per le lunghe a p. 114.
Non mancano elementi retorici propri del letterato come la seguente allitterazione di p. 21: “…l’ombrello tutto imperlato di goccioline d’acqua che alla luce delle lampadine elettriche luccicavano come perle”, 0 neologismi come smatassare a p. 77 od una palmata sulla fronte a p. 78, ed infine al lettore attento non sfugge l’eco manzoniano come a p. 62, a proposito della pudica Rosaria, novella Lucia, intenerita dallo sguardo del corteggiatore laddove invece il pudore del personaggio manzoniano appare sempre in circostanze infelici e spiacevoli: “Anche lungo la strada di casa, per cui aveva affrettato il passo, sentendo in sé uno strano senso di sbigottimento, che le riempiva però l’animo di straordinario diletto…”.
Un’ultima annotazione. Senza dubbio il romanzo resta fasciato, ma non imbozzolato nell’ideologia religiosa, e tuttavia non scade nel confessionalismo. Ed anche questo a noi appare una prerogativa con la quale il narratore ha interpretato con fedeltà e coerenza ed estremo realismo le condizioni, la cultura e la civiltà del Salento, la cui gente, nei primi decenni del secolo, ha rinvenuto nella fede l’unica sorgente di vita giacché tutto le è stato negato.
[“Il Corriere Nuovo” del 27 ottobre 1985, p. 3]