di Simone Giorgino
Marco Dondero, specialista dell’opera di Vitaliano Brancati – ne ha curato i due «Meridiani» Mondadori: Racconti, teatro, scritti giornalistici e Romanzi e saggi (2003) – raccoglie ne Il gallo non ha cantato. Vitaliano Brancati tra fascismo e dopoguerra, Carocci, Roma 2021, alcuni studi che approfondiscono ulteriormente il percorso intellettuale e narrativo dello scrittore siciliano.
Nella prima parte del libro, intitolata L’attivismo, il fascismo, il comico, Dondero segue lo sviluppo della narrativa di Brancati nel decennio 1932-1941, periodo contrassegnato da un’iniziale adesione e da un successivo, graduale affrancamento dall’ideologia e dalla cultura di regime.
Come ricorda Dondero, il giovane Brancati aderisce «con entusiasmo e piena consapevolezza» (p. 39) al Partito nazionale fascista. Fra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta collabora con alcuni quotidiani come «Il Tevere», «Il Popolo d’Italia» e «La Stampa»; scrive opere «convintamente inserite nella temperie culturale dominante» (p. 42) come il «mito in un atto» Everest (rappresentato a Roma nel 1930) e il dramma Piave (1932); attende al romanzo L’amico del vincitore, dedicato al suo mentore Telesio Interlandi, il quale diventerà, di lì a poco, un «esecrabile interprete della campagna antiebraica del regime» (p. 40); viene persino ricevuto da Mussolini il 16 giugno 1931.