La sua asserzione: “Il fascismo è morto e sepolto e storicizzato entro i confini pur mobili della ricerca scientifica” è condivisibile. Lascia un po’ perplessi la sentenza: “il giudizio politico è irrefutabile: nel XX secolo il Torto è stato sconfitto da una Ragione la cui astuzia ha hegelianamente prodotto la Nuova Italia antifascista in cui specchiarsi e riconoscersi tra luci e ombre senza nulla obliterare della nostra autobiografia”. Giuli non dice è andata come è andata, ora accettiamo il verdetto della storia; ma si trasferisce nel tempo per dire che il fascismo fu il torto e l’antifascismo la ragione.
Citando qua e là più o meno importanti autori (Bobbio, Calogero, Calamandrei) e grani di saggezza, l’uso fa l’organo, spiega: “Chi ricopre un ruolo istituzionale è invariabilmente sottoposto a un processo di spersonalizzazione attiva che ne ridisegna l’equazione individuale secondo uno schema che supera la parte in nome del tutto”. Alla luce di questa “confessione” si capisce anche lo sconfinamento dal ruolo e il passaggio da una posizione politica ad un’altra. Insomma, per diventare democratici a diciotto carati, da neofascisti che si era, devi occupare una carica di governo, un posto nelle istituzioni dello Stato. L’esperienza educa. Una lezione di vita che sembra voglia dettare una legge politica: all’opposizione puoi essere quello che vuoi, al potere quello che devi. Il tanto temuto e bistrattato neofascismo è vinto dall’esercizio governativo dei suoi ex sostenitori. È qualcosa a cui stiamo assistendo da quando quelli di destra sono al governo: un processo trasformistico, impensabile fino a due anni fa. Per fare un esempio, mai prima di quest’ultimo anniversario della morte di Matteotti era venuto in mente a qualcuno di riservare simbolicamente per sempre al deputato socialista ucciso nel 1924 il posto che occupava in Parlamento. Doveva arrivare la destra postmissina al potere perché ciò si verificasse.
La sortita di Giuli, però, lascia sospettare che dietro ci sia una qualche manovra. Avventurarsi in atti di totale sottomissione all’ex nemico non può essere frutto di ripensamento personale. Mentre il governo Meloni è impegnato a cambiarla la Costituzione in senso premieristico, un intellettuale di destra, se così ancora si vuole definire Giuli, eleva peana alla Costituzione e parla di un’egemonia orizzontale, in cui tutti si integrano a tutti, alla faccia della distinzione, della chiarezza e della gerarchia, che stanno a destra come le pere stanno sul pero e non sul pruno.
Stando al nuovo pensiero irenistico di Giuli, in difformità dal pensiero della destra postmissina, occorre includere tutti in questo progetto di egemonia e riservare il proprio essere se stessi, semmai resta qualcosa, nel chiuso della propria casa, come una volta si diceva per i panni sporchi. Citare Giuseppe Bottai in quarta di copertina è un’ostentazione di legittimità. Ma Bottai era stato sconfitto. La destra postmissina ha vinto due volte di seguito le elezioni: nel 2022 e nel 2024. A meno che Giuli non voglia annullare quasi ottant’anni di storia.