di Gigi Montonato
Il titolo è fuorviante, Gramsci è vivo, perciò intrigante; il genere è un pamphlet per affermazione dell’autore; il sottotitolo, Sillabario per un’egemonia contemporanea, è indottrinante; la casa editrice è Rizzoli; infine, ma non infine per importanza, l’autore è Alessandro Giuli, il nuovo direttore del Maxxi col governo Meloni, subentrato alla piddina Giovanna Melandri.
Il titolo col libro c’entra poco. Gramsci vivo è il titolo di un’opera dell’artista cileno Alfredo Jaar, la prima di dieci opere che il Maxxi ha commissionato ad altrettanti artisti per il decennale del Museo romano in collaborazione con la Treccani. In quest’opera Jaar riproduce la copertina del numero del 30 aprile 1937 di “Giustizia e Libertà”, in cui si dà la notizia della morte di Antonio Gramsci. Jaar ha cambiato il titolo in Antonio Gramsci è vivo ed ha sostituito il suo ritratto con una cella con le porte spalancate, come si vede in copertina. “In questa immagine asciutta – dice Giuli – di colpo la notizia si trasforma nel suo contrario e ci colloca davanti una celebrazione della reale persistenza del pensiero di Gramsci”. Fin qui non si può non essere d’accordo: Gramsci è patrimonio di tutti coloro, di destra o di sinistra, che amano la politica; ma nel libro c’è dell’altro.
C’è che bisogna chiudere definitivamente col fascismo, che il catechismo degli italiani, una volta di destra, più o meno estrema, deve essere la Costituzione, che la vera egemonia da raggiungere è una sorta di compenetrazione culturale di destra e sinistra: “essere progressivi nella conservazione e conservatori nel progredire”; la destra deve essere “anche una sinistra tricolore”.