A chiare lettere. Un dialogo tra scienza e umanesimo. Carteggio Ferdinando Boero – Angelo Semeraro (14 febbraio 2006 – 14 febbraio 2008) 4.

Ho aperto quel saggetto con una frase di Frank Zappa: senza deviazione dalla norma il progresso non è possibile. Se ci fossimo attenuti alle norme, al prevedibile, saremmo ancora nelle caverne. Bisogna deviare. Ecco un buon spunto di discussione, magari per un altro numero della rivista. Le deviazioni sembrano ridicole, le avanguardie sono spesso ridicolizzate. Mi ricordo quando la gente diceva che i disegni di Picasso erano infantili: son buono anch’io a farli! Ora, per Picasso, non lo dice più nessuno. Poi ci sono persone che ci marciano. Come quel Fontana. Un taglio sulla tela va bene, ma poi ne ha fatti migliaia, e li ha venduti a caro prezzo. La deviazione è diventata norma. Il bello è che continuiamo a vederla come deviazione.

Domanda: esistono cose dirompenti del passato che possono essere dirompenti anche oggi? O continuamente assimiliamo tutto, e lo neutralizziamo?  Ce ne sono, anche se poi non sono state fatte con quello scopo. I cazzi presenti dappertutto a Pompei sono ancora oggi visti come qualcosa di deviante. Di osceno. Eppure servivano per buona fortuna, come i menhir, e tante altre raffigurazioni falliche. Ma per noi, succubi della sessuofobia cattolica, un cazzo è ancora una forte deviazione.

In un bel film degli anni settanta, stop a Greenwich Village, l’aspirante comico dice che non c’è nulla di più comico di una bella scoreggia al momento giusto. Queste deviazioni sono ancora deviazioni perchè le norme non sono cambiate.

Vabbè, ci starei ore a parlare con te, ma devo scappare.

Alla prossima

n.

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14.03.06

Caro Nando.

La previsione fu virtù rivoluzionaria. Solo nella trasformazione di una prassi alienata si aprono altre possibilità. Che non è possibile assegnare alla scienza, né alla métis calcolistica della ragione (sempre “pratica”, anche quando se ne studino le “pure” regole del suo funzionamento “scientifico”). 

In tutti i testi che ho scritto per questo nostro corso di comunicazione, è costante l’invito – rivolto ai giovani lettori/studenti- a coltivare possibilità non ancora inventariate; disegnare sentieri non ancora battuti. Il primo, “Altre aurore” l’ho scritto sotto le torri abbattute dell’11 settembre e invitava a considerare come la comunicazione conservi il suo imprinting negativo di assimilazione dell’altro (distruggerlo per poi ricostruirlo). Ho rifatto iI viaggio di Colombo e poi di Cortès oltre le colonne d’Ercole. Il secondo, “Calypso la nasconditrice” invitava a non lasciarsi trattenere nelle forme appagate e appaganti della società spettacolare, ricca di lusinghe e di piaceri artificiali; “Lo stupore dell’altro”, invitava poi a cogliere i vantaggi della diversità, dell’intrusione, dell’oltrepassare la linea grigia di ogni confine. Contro ogni evidente convenienza a starsene ben radicati nelle identità. Con l'”Omero a Bagdhad, infine, ho studiato le possibilità del “riconoscersi” attraverso l’eccezionalità di un dolore condiviso, come accadde ad Achille e al vecchio Priamo sotto le mura iliache abbattute.

Scusami questa lunga autocitazione, ma è per dirti che il “presientimento” è un intenso “sentire”, un’induzione feconda contro ogni evidenza di ragione; un insight, un I care; un’educazione dell’occhio e dell’orecchio interiore, da cui Sua Sovranità ci distrae col suo frusto spettacolo di nani & ballerine. Ebbene, io questo presentimento ce l’ho. Ci sta ‘int’all’aria…

Li abbiamo compressi e fatti simili a noi: spregiudicatamente egoisti, arrivisti, cinici. C’è stata (ed è in corso) una nuova invasione barbarica che non promette niente di buono. Ma mi sembra di capire che hanno capito, e che cominciano a dire che non vogliono starci. Sia pure a modo loro.

C’erano molti equivoci su un corso di comunicazione, e bisognava pur dire chi siamo e cosa vogliamo, anche se tutto quello che nella comunicazione ci abbiamo messo non corrisponde alla nebulosa percezione che ne hanno le miserelle sovranità del belpaese, pronte tutte, nessuna esclusa,  a denunciarne l’inutilità e il velleitarismo.

Caramente

a.

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16.03.06

Caro Angelo,

ieri ero a Venezia, per una conferenza, e i colleghi di lassù si lamentavano dei corsi di Scienze della Comunicazione sorti un po’ dappertutto. C’era anche una giornalista francese che lavora con 24 Ore, Repubblica, NYTimes e altre testate di questo tipo, e  concordava. Migliaia di giovani aspiranti giornalisti, destinati alla frustrazione. Non posso che concordare. Sono troppi. Però… però ho detto che nella massa dei biologi e degli ambientalisti con cui ho di solito a che fare trovo scarsa motivazione, scarso entusiasmo.  Moltissimi hanno scelto il corso per esclusione, non per convinzione. 

Ci sono gli entusiasti, ma sono pochi. Gli aspiranti comunicatori sono entusiasti, tutti. Hanno grande voglia di imparare, di fare, di progredire. Ho trovato persone che mi sono piaciute molto. Certo, di scienza sono totalmente ignoranti, ma la colpa è della scuola, mica loro. Ma con pochissimo stimolo diventano curiosi, hanno voglia di progredire, di imparare, di provarci. Certo, quest’anno ho fatto il corso alla specialistica, erano pochi. Ma sono stati tutti molto bravi. Per me è stato bello.

Che ti devo dire? Ho già cinque corsi da fare. Questo è il sesto. E lo faccio gratis. Ho provato quest’anno, per vedere. Pensando: se è una palla ritiro la disponibilità. Non la ritiro. Mi piace. Ho visto che quel che faccio ha lasciato un segno. Ho avuto grandi soddisfazioni, mi sono divertito, ho imparato. E ho conosciuto meglio i miei colleghi “dell’altra parte”.

Certo, non possiamo fare lezione a centinaia di persone. Ma così, anche con qualcuno di più, credo che sia un bene. Facciamo cittadini migliori. Però stringe il cuore vedere che tutto questo entusiasmo, queste capacità, difficilmente troveranno sbocco.

Mi piacciono i temi che hai trovato. Mi sarebbe piaciuto contribuire a tutti. Sarà per le prossime volte.

a presto

n.

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16.03.06

Caro Nando

Le tue preoccupazioni, e quelle che sento diffondersi in ambienti accademici e politici (ho dovuto scrivere al cantiere prodiano per invitarli a smetterla di infierire dalla tv su scienzecom per dirci che mancano gli ingegneri) sono state e sono ancora il mio cruccio in tutti questi anni. Ci ho passato le notti a pensarci e a tormentarmi. Come accogliere una domanda giovanile e organizzare un piano formativo all’altezza delle sfide culturali della nuova cittadinanza e di professioni tanto incerte e indefinite quanto orientate sul futuro? Come dargli al meglio una comprensione della modernità senza fargli mancare i necessari riferimenti ai fondamenti che non sempre stanno nel Moderno?  Le aurore dalle dita di rosa mi infondevano fiducia. Vai avanti, mi dicevano gli déi primattini: la causa è giusta; tieni duro sul numero programmato; duecento sono già  troppi con i laboratori che non ti daranno. Datemi almeno le tre opzioni sulle specialistiche. Niente da fare. Puoi sceglierne una sola, e stai un anno fermo. Ma in questo modo perdiamo i migliori studenti, in giro per il belpaese a cercarsi la specialistica che avremmo potuto impiantare in un territorio fertile e motivato come la Puglia.

Potrai così capire il nervosismo e anche la ferocia (il “cattivo carattere”) con cui ho combattuto i silenzi, le supponenze e gli opportunismi dei nostri maggiori graduati. Per non dire degli stessi arruolati all’impresa.

Impresa che si rivelava ogni giorno più impossibile, perché travalicava le questioni poste da un corso di comunicazione, e andava dritto al cuore della scissione delle culture e dei saperi e dell'(irrisolto) problema nostro di riuscire a dialogare.

Siamo andati e andiamo in aula ognuno con la propria porziuncola di sapere, ognuno interpretando al meglio, ma nell’angustia di ogni autarchia disciplinare, quello che supponiamo possa servirgli. Le sintesi, le sinapsi mentali se le sono costruite loro, nel migliore dei casi, laddove c’è vera motivazione. Noi non siamo stati capaci di accoglierci attorno ai problemi che professioni comunicative a più uscite pongono, e cercare qualche risposta adeguata all’altezza della sfida posta nella domanda.

E’ per questo che avevo chiesto di fermarsi un po’, dopo che anche un dipartimento, che avrebbe forse potuto costituire un riferimento per tutti quelli di buona volontà, è stato negato.

No, mio caro Nando, le cose serie quaggiù non le sappiamo e non le potremo mai fare. Manca un comune sentire proiettato sul futuro dei néoi. Tu dici comunicazione e quelli già conteggiano i profitti. Dici: non più di duecento, e quelli pensano a quanti milleuro in più entrerebbero se fossero trecento. Chiedi insegnamenti qualificati, e quelli ti mandano gli ultimi arruolati per virtù familiari.  Cerchi per loro qualche buon testimone, e quelli se li tirano per le loro fiere delle vanità. E’ una questione antica: annullare le differenze; impedire che qualcosa sfugga all’occhio attento del grifone. Stiamo parlando di professioni dell’informazione, e perciò aggiungici pure il gran dispitto con cui guardano a te, a noi, l’editoria mediale locale, per non dire dei palazzi del potere locale. Anche per questo bisognava fermarsi e chiamarli a un tavolo di chiarimenti. Progettare insieme le uscite, gli assorbimenti in un territorio che gronda marchi e cresce sulla comunicazione turistica. Diteci quello che vi serve. Toglieteci e toglietevi dal buio. Condividete con noi la responsabilità nel disegnargli un futuro di questo territorio.

Nonostante tutto (e tutto questo), anch’io sono stato e ci sto bene con i nostri ragazzi, anche se mi imbarazzano i loro silenzi. Non li mitizzo. Ho avuto anche da loro dispiaceri, ma li ho elevati a dimensione simbolica, come era giusto che facessi: un padre debbono pure contestarlo, visto che quello naturale debbono tenerselo così com’è per poter rimanere a casa fino a quarant’anni! Senza dire che subiscono anche cattive influenze in un ambiente cialtrone come il nostro. Se penso però ai miei luoghi di formazione, così ricchi di aoristi ma tanto poveri di passioni, mi torna un po’ di fiducia. Se non altro le nostre passioni loro le avvertono, e noi riusciamo ancora a trasmettergliele.

Sursum corda!  

P.S. I temi, non solo quelli dei libri ma anche quelli del “Quaderno di comunicazione””, non li ho “trovati”, ma li ho trattati sintonizzandomi su una presunzione dei (loro) bisogni.

A presto

a.

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