Sull’autonomia differenziata

Va detto subito che tale modifica costituzionale fu attuata dal Governo Amato con una maggioranza di centrosinistra. E non può essere una giustificazione il fatto che la modifica fu proposta con intento difensivo, per evitare cioè spinte verso la secessione delle regioni del nord, che in quel momento erano forti. Come si è visto, tali spinte si sono attenuate, ma non si sono estinte; si sono solo adattate alle nuove situazioni, come dimostra appunto la legge sulla autonomia differenziata, voluta fortemente dal partito che allora minacciava la secessione, ossia la Lega (allora Nord ora di Salvini). Sotto questo profilo la legge è l’estremo tentativo di dare corpo ad un mai sopito sentimento antimeridionale.

La legge in sé non ha nulla di pericoloso. Dipende, come sempre, dalle modalità con cui viene applicata. Se si trattasse di aggiungere alcune norme locali a un saldo quadro nazionale, niente di male. Ma se si tratta di stravolgere con norme speciali l’unità nazionale, allora il discorso cambia. L’unità nazionale è un bene che viene tutelato dalla Costituzione ed è stato l’obiettivo degli sforzi effettuati da parti diverse in quel movimento che rubrichiamo sotto il nome di “Risorgimento” e che reca in questo nome l’idea di una ‘rinascita’ del popolo italiano. Ed è un bene a cui non possiamo rinunciare. Sicché l’applicazione della legge sull’autonomia trova un limite non tanto nelle questioni economiche, che pure ci sono (come vedremo fra poco), ma in una questione morale, che è appunto la salvaguardia dell’unità nazionale. Tale unità, che si basava su una coscienza che politicamente e culturalmente si è manifestata con prepotenza fin da Dante (“ahi serva Italia…”) e Petrarca (“Italia mia…”) ed è stata raggiunta nell’Ottocento a prezzo di tanti sforzi, non può essere messa ora a repentaglio da improvvide iniziative. Tale senso dell’unità è sempre convissuto con la coscienza di una netta distinzione tra nord e sud, che, per le diverse posizioni geografiche e le diverse vicende storiche, hanno seguito strade economiche e sociali diverse. Una differenza che permane anche oggi e che probabilmente è destinata a durare perché i processi politici che possono attenuarla, anche se lodevolmente avviati, hanno bisogno di tempo, di molto tempo, per incidere sulla struttura sociale che vogliono cambiare. Si tratta di processi di secoli, non di anni. Ma è una differenza che costituisce una ricchezza dell’Italia, perché rappresenta un invidiabile caleidoscopio di culture che ha pochi paralleli nel mondo. Sicché è particolarmente criminoso l’atteggiamento di coloro che, in nome di questa oggettiva diversità, alimentano sentimenti di avversione o di inimicizia, in entrambi i sensi, tra le due componenti dell’Italia. Quello che l’Italia è oggi nasce dalla unione delle sue due parti sicché distinguere tra regioni oggi più ricche e regioni oggi più povere trascura il dato che a questa ricchezza, o povertà, ha contribuito nel tempo tutta l’Italia, non solo la parte direttamente interessata. Come in una famiglia il benessere deriva dal contributo di tutti i suoi componenti (anche di coloro che apparentemente non producono reddito, ma offrono servizi o solo sentimenti) così in un paese tutte le sue parti contribuiscono alla sua ricchezza. Si dice: quale sarebbe stata la sorte del Sud se non vi fosse stata la ricchezza del Nord? Ma si può dire anche: quale sarebbe stata la ricchezza del Nord senza il mercato costituito dalle regioni del Sud? Distinguere oggi tra le due parti dell’Italia non è solo un atto ingiusto, è un atto di prepotenza.

Si dice che l’autonomia favorisce processi di responsabilizzazione nella gestione delle risorse. Ma il problema sono le risorse. Si possono gestire le risorse che ci sono, non quelle che non ci sono. E la diversità economica delle regioni italiane pone drammaticamente questo problema. Tra le norme della legge ve n’è una particolarmente insidiosa. L’art. 5, che modifica l’art. 119 della Costituzione, recita:

“I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.”

È evidente che la compartecipazione ai tributi erariali è in rapporto all’entità di questi ultimi, sicché le Regioni che hanno maggiori contributi hanno maggiore compartecipazione. Non c’è bisogno di molta perspicacia per capire che ciò stabilisce di per sé differenze tra Regioni più ricche e Regioni più povere. Invece la gestione dei tributi a livello nazionale serve proprio a colmare le differenze strutturali che esistono tra i vari territori.

In definitiva, la legge sull’autonomia differenziata, così come è stata concepita e come si intende applicarla, rappresenta un vulnus all’unità nazionale e, dal punto di vista morale, va contrastata. Opportune quindi le iniziative che intendono sottoporla a referendum abrogativo per valutare che cosa pensano tutti gli italiani di una legge che li riguarda tutti, indistintamente.

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