Antonio Prete: l’olio, simbolo del Sud a cui ritorno

L’olio è anche un rimando agli ulivi, alla natura, uno dei temi della sua poetica.

Nella tradizione culturale e popolare l’olio non solo vivifica, ma è anche una sostanza ritenuta salvifica. Non ha mai una funzione negativa sul corpo ma costituisce sempre un elemento benefico. Tuttavia, non posso non pensare, per altri versi, al dramma che gli ulivi hanno subìto in questa terra, alla malattia che ha devastato il paesaggio, trasformando questa selva di ulivi in scheletrica aridità, desertico flagello. Inoltre l’olio è l’immagine tradizionalmente legata alla luce perché è l’alimento della lucerna, della fiamma, immagine di una lunga tradizione secolare; il rapporto tra luce  e ombra è un concetto che considero fondamentale nella mia poesia e l’olio lo rappresenta alla perfezione in quanto ravviva la luce senza, però, dissipare le ombre. Allora in questo riconoscimento leggo una sorta di richiamo a tenere vivo il rapporto con la terra, con le domande che la terra ci pone.

L’ultimo verso di “Menhir” è “l’aspra malinconia del vivente”. C’è malinconia nel suo pensare il Sud?

C’è la malinconia per il dolore storico che il Sud porta con sé. Da una parte c’è il dolore di una povertà che non è stata ancora sradicata e dall’altra il dolore percepito come passione. Questa “malinconia del vivente” è la consapevolezza del limite, caratteristica della cultura mediterranea, risalente alla cultura greca che cercava di trovare nell’orizzonte una cura al senso umano del limite e della finitudine. Io lego sempre questa malinconia al senso della finitudine: non solo nella poesia, ma anche nella prosa ho sempre cercato di raccontare questo rapporto tra limite e orizzonte, questo senso della “lontananza” che non è sradicamento ma si avverte a partire dal qui ed ora, si percepisce nella necessità dell’altrove, dell’”oltrelimite”: proprio perché siamo  immersi nella finitudine dobbiamo tenere viva la relazione con l’altrove e con l’impossibile.

Come pensa che evolverà la poesia di Antonio Prete?

È difficile dirlo. Non considero la poesia progettuale. Mentre la scrittura in prosa ha bisogno di un momento di configurazione di forme e strutture, la poesia racchiude l’inatteso ed è inattendibile. Non possiamo prefigurarla. Il tempo della poesia accade quando si è spinti dal sentimento, non è prevedibile. Mi accade di non prevedere.

Semmai posso dire quello che mi piacerebbe che mi accadesse: la poesia non è solo pura immagine, è anche lavoro, è costruzione di una forma, quindi l’esperienza della lingua nella sua pienezza. Il primo verso è un dono e tutto il resto è lavoro, diceva Paul Valery. Desidero trovarmi nella condizione di essere visitato da un’onda, da una pulsione che mi porti a un respiro meno frammentario, magari la dimensione del poemetto, una poesia che presenti l’elemento dialogico. Una piccola drammaturgia. È un desiderio di applicarmi a una struttura poetica più aperta, ispirata a una poesia che frequento molto, quella di T. S. Eliot, che presenta una drammaturgia ricca di piani e sovrapposizioni, che dimentica la poesia-frammento per generare un versificare unitario.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, 26 luglio 2024]

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1 risposta a Antonio Prete: l’olio, simbolo del Sud a cui ritorno

  1. Antonio Devicienti scrive:

    Un grazie e un caro saluto.

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