Il primo critico del futurismo: Mimì Frassaniti (Parte seconda)

di Antonio Lucio Giannone

Mimì Frassaniti intorno al 1910. Collezione privata.

Ma al futurismo Frassaniti dedicò anche, nel 1910, uno stu­dio critico, rimasto inedito e ritrovato manoscritto tra le sue carte[1], che è forse in assoluto, come abbiamo già avuto occasio­ne di sottolineare, il primo tentativo del genere o comunque, in ogni caso, sicuramente uno dei primi in tutta Italia[2]. Questo lavoro, che rivela nel suo complesso un’accurata documentazio­ne e un buon grado di comprensione delle novità del movimen­to in campo letterario, almeno nella sua fase aurorale, è diviso in varie parti, che affrontano le origini del futurismo, la figura del suo fondatore, F. T. Marinetti, e l’opera dei principali esponen­ti, Gian Pietro Lucini, Paolo Buzzi, Corrado Govoni, Enrico Ca­vacchioli e Aldo Palazzeschi. Lo studio è concluso da un capito­lo, intitolato Che cosa rappresenta il Futurismo.

Nelle prime pagine, di chiara impronta evoluzionistica, Frassaniti rinviene le origini del futurismo nella rivoluzione fran­cese, che “abbattendo tutte le barriere fece riconoscere ed affermare la coscienza di Sé”[3]. Da essa deriverebbe anche il simbo­lismo, da lui definito “padre legittimo” del movimento italiano, che con maggiore energia e risolutezza di quello porta avanti il suo programma rinnovatore.

Di Marinetti, prima di prendere in esame le opere, si met­tono in rilievo alcuni tratti della personalità, come la grande “energia” e attività, la lotta ai luoghi comuni, la cultura “profon­da e fresca”, la fantasia “aperta e smagliante”, la ribellione e soprattutto il costante ricorso alle immagini: “Ora nessuno più di lui ha bisogno – ed è una dote rarissima – di ricorrere al mon­do delle imagini per esprimervi un’idea, per magnificare una sua concezione. E queste imagini non sono comuni – ma d’una bel­lezza nuova; esse hanno l’impronta dell’ orribile e del grandioso della Natura tanto che paiono le cose abituali viste attraverso una lente misteriosa”.

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