A chiare lettere. Un dialogo tra scienza e umanesimo. Carteggio Ferdinando Boero – Angelo Semeraro (14 febbraio 2006 – 14 febbraio 2008) 3.

Qui abbiamo i filosofi che non sanno nulla di quel che valutano, ma si permettono di dire cosa sia bene e cosa sia male. Oggi, un filosofo non può non essere scienziato, e se uno scienziato non è anche filosofo allora è solo un tecnico. Oppure: visto che non è possibile essere sia scienziati sia filosofi, perchè ormai c’è troppo  da imparare, allora è bene che i due si parlino il più possibile. Senza complessi di superiorità o di inferiorità. Però evitando le supercazzole con scappellamento a destra. Gli scienziati scrivono in modo stringato (a parte me ora), essenziale, se scrivono di scienza. Stanno molto attenti a dividere i fatti dalle opinioni, le ipotesi dalle cose provate. Usano, o dovrebbero usare, quel che si chiama rigore scientifico. Dall’altra parte si è fieri di ignorare. Quanti umanisti hanno letto l’origine delle specie, l’origine dell’uomo, l’espressione delle emozioni negli animali e nell’uomo? e altri ancora scritti da Darwin? Te lo dico io: pochissimi. Tutti hanno letto Aristotele e Kant. Non ci siamo. L’onnipotenza delirante dei tecnici deve essere smontata, come dev’essere smontata la pretesa detenzione di cultura da parte degli umanisti. Ma ora torno ai miei curricula. Poi, al mio ritorno, leggerò il tuo scritto. Ora sarebbe troppo di fretta

ciao

n.

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18.02.06

Caro Nando,

prima di leggerti le mie inutili cose vai, se hai un po’ di tempo, a leggerti ciò che scrive oggi Galimberti su Repubblica (“Pensare la scienza”). E’ come se lo avessimo chiamato nella nostra discussione. O lui ci avesse letto.

Dunque: a che serve la filosofia? Arist: non serve, perché non è serva, e vuol tenere aperti tutti gli spazi di pensabilità che non si risolvono nel calcolo e nell’esperimento. Nel rendere il dovuto omaggio al pensiero scientifico, che ci ha affrancati dalla superstizione e dalla tirannia dei sacerdoti del sacro, andrebbe, con lo stesso vigore critico, combattuta la superstizione scientifica, che intende risolvere il senso della vita e del mondo nella descrizione quantitativa che la scienza offre della vita e del mondo.

Ciò che all’inizio del secolo scorso ci ha detto Jaspers è abbastanza illuminante e resta in piedi: la scienza è un’ideazione umana, una delle tante, non la sola. E quando non ci basta, bisogna attivarne altre. E allora, meglio se ti sarai attrezzato un buon retrobottega.

a presto

a.

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06.03.06

Caro Angelo,

se devo dire una cosa la dico, non ci giro molto in giro. Il succo del tuo articolo arriva verso la fine, almeno in modo palese. La preparazione del lettore ai concetti che esprimi alla fine è molto lunga e per un po’ il poveretto (io) non riesce a capire perchè si parla di romanzi. Confesso che quando leggo gli scritti sui quali mi si chiede un giudizio, uso un livello di attenzione medio basso. Quello del normale lettore. Lo faccio apposta. Non devo fare troppa fatica a capire. Se la faccio, allora vuol dire che la maggioranza dei lettori non andrà avanti, perchè appena fanno fatica staccano. Io ci ho messo un po’ a capire dove volevi andare a parare. Ma devo confessare che sono arido, lo ammetto. Che non sono attratto dall’eleganza della forma e dalla dotta citazione. Cosa che invece viene perseguita da moltissimi e, anzi, chi scrive semplice viene tacciato di …. aver fatto le commerciali.

Mi hanno inflitto sette anni di latino. Te l’ho già scritto, a me piaceva Cesare, se proprio dovevo studiare qualche latino. Ma ai miei professori piaceva Cicerone. Cesare era un soldato, Cicerone era un avvocato. Cesare era troppo facile. Un idraulico. Vuoi mettere il periodo ciceroniano? Che eleganza, che maestria nel padroneggiare la lingua. Io diventavo  matto. Non ci capivo niente.

No, il tuo scritto non è ciceroniano. Tranquillizzati. Secondo me va benissimo nel contesto in cui si dovrà porre. Penso che il mio sia da idraulico…. Ma non mi importa.

Una cosa che ci viene chiesta quando facciamo un lavoro per una rivista scientifica (te ne accludo uno che mi è appena arrivato, così ti fai un’idea delle cazzate che scrivo) è un riassunto. Dove dobbiamo spremere il significato di quel che diciamo. In poche righe. la gente deciderà da quello se leggere o no il nostro lavoro. Se io dovessi fare un riassunto del tuo scritto, lo farei sulle ultimissime pagine. E’ lì che centri il problema. Ma, lo ripeto fino ad annoiarti, io sono un personaggio arido, che (a dispetto della lunghezza dei miei messaggi) di solito cerca di essere essenziale.

Ancora non sono convintissimo della necessità della parola laicista. 

Mi pare un’invenzione di Buttiglione. Ci sono persone che basano la loro esistenza (o dicono di basarla) su convinzioni religiose, anche nella sfera pubblica, e ce ne sono altre che, se hanno convinzioni religiose, se le tengono per sé e hanno una morale che prescinde dal credere o meno in un’entità superiore. Io faccio parte della seconda categoria. Chiamatela come volete. Per me gli altri sono fondamentalisti religiosi. Persone che pensano di avere in tasca il libro scritto da Dio. E’ pericolosissimo avere in tasca il libro scritto da Dio. Perché toglie ogni dubbio. Dio non è mica scemo, no? 

E quindi se seguo i suoi dettami sono nel giusto. Ci sono persone che hanno dubbi e ci sono persone che non hanno dubbi. Ci sono poche cose su cui non ho alcun dubbio. Una è che le persone prive di dubbi siano pericolose, potenzialmente.

Chi parla con sufficienza di laicità e di laicismo come si definisce? Se uno nega il relativismo allora è assolutista. Ha in mano la verità assoluta. Questo mi fa paura. moltissima. Perché so, dalla storia, cosa hanno combinato queste persone, e vedo quel che stanno combinando.

alla prossima

un forte abbraccio

n.

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12.03.06

Caro Nando

In questi giorni ho seguito sulla stampa interessanti ipotesi sui vulcani in risveglio e sui rischi che corre Napoli, ad es., se il Vesuvio dovesse uscire dal suo letargo. Ecco: con te ho questa impressione: di stare sotto un vulcano, ma debbo subito aggiungere che lave e lapilli che mi giungono attraverso i tuoi messaggi sono piacevoli: una pioggerellina fitta e calda, di quella da cui piacevolmente lasciarsi bagnare. Caldo e umido sono poi gli umori ippocratici degli appena nati, esposti ai primi stupori della vita. Sarà stupore anche il nostro, o almeno il mio, che da tempo non avevo occasione  di discutere con colleghi dell’altro “polo”. Le ultime volte che è accaduto rimanda a molti anni fa. Valeva la pena infliggerti per ben due volte la lettura delle svagate mie possessioni senili, che vagheggiano un testo aperto a interferenze letterarie e autobiografiche.

Forse, hai ragione tu, bastavano quelle ultime pagine, ma a me piace prendere sempre le cose un po’ alla larga e partire da lontano. Dovevo trovare la chiave per uscire da quell’angoscia dell’imprevedibile che un po’ ci minaccia tutti, e questa chiave può dartela solo la buona letteratura: in questo caso le narrazioni di McEwan (a partire dall’ultimo romanzo che a questo punto ti avrà sufficientemente incuriosito e sono sicuro che leggerai). Nelle ultime pagine (mie) c’è la storia (metaforizzata) del come si rischia tutti di diventare stupidi o crudeli quando la fiducia (e la sicurezza) di cui abbiamo bisogno per progredire vengano meno. L’antidoto, l’unico, è il ricorso alla memoria dell’umanità che sa elevarsi un attimo prima di sprofondare. Potrebbero bastare due versi mediocri. Due versi soli contro tutto la catastrofe in agguato. La fiducia si fa nuova speranza e in qualche modo anche ostinazione a credere… quia absurdum.

Su laicità e laicismo ci siamo capiti e c’è, mi pare, una coincidenza di vedute. Rorty, filosofo analitico, rimprovera a quest’altra parte dell’Occidente – e ai saggi intellettuali illuminati che come te hanno fiducia nei fatti positivi constatabili e dimostrabili, e come me continuano a confezionare messaggi di emancipazione per bottiglie che forse non arriveranno da nessuna parte, che non siamo più in grado di controllare l’imprevisto/imprevedibile. Che abbiamo smarrito la capacità di previsione, e che scienza e coscienza ci sfuggono di mano. E che abbiamo scarse munizioni per difenderci dalle nuove minacce: che non sono gli aerei in fiamme, ma l’imprevedibilità dei comportamenti dei simili del Sapiens, che s’impasticca per efficacia delle prestazioni di ogni tipo.

Un po’ è così: i cani neri ci hanno resi tutti un po’ cinici.  “Sento” diffidenza tra i giovani per le nostre ricette illuminate, piene di buone intenzioni. A che serve che ci diciate: studiare per sapere, per conoscere, per distinguere? A che serve se poi la vostra generazione, la meglio gioventù dei Settanta, ci ha regalato questa infinita disperazione?! E i più si lasciano docilmente sagomare, mentre i più motivati sgomitano per una cooptazione.  Eppure siamo costretti a non disperare: nei silenzi un po’ disperati di alcuni si accende qualcosa… E si sentono strani scricchiolii.

Te la dico nella lingua dei vesuviani, che mi è cara: ‘nce sta ‘int’ all’aria nu presientimento!… 

Caramente

a.   

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