Noterellando… Costume e malcostume 20. Viva il vivaio!

Ce ne sono due, di vivai, nella zona di Roma dove abitiamo: uno è abbastanza vicino a casa, tanto da poterci andare anche a piedi. Per l’altro, un po’ più distante, e anche meglio fornito, è consigliabile l’auto, quanto meno per avere la libertà di prendere, all’occorrenza, un sacco di terriccio in più o qualche vaso particolarmente ingombrante.

Le nostre piante, sistemate sul terrazzo di casa – abbastanza ampio e soleggiato per riceverne una discreta varietà (c’è perfino un piccolo olivo e una pergolatina d’uva rosa) – le governa di solito Teresa, che ha il pollice verde. Io, appena appena il mignolo.

Ma il punto non è questo.

Dicevo del vivaio. Davvero vivo. Festoso. Gioiosamente contagioso.

Appena arrivati, abbiamo notato il parcheggio sorprendentemente occupato di auto, e i vialetti pieni di gente. Sembrava una festa all’aperto. Gente che andava via con rose, gerani, ciclamini, gerbere, garofani, azalee, piante sempreverdi o qualche arboscello da frutto. Altra che arrivava, distribuendosi per i vialetti. Una primavera fuori stagione. Sotto una verandina, due suore avevano ciascuna un mazzo di fiori straordinari che dovevano portare in chiesa, e chiedevano alla commessa se poteva provvedere all’incombenza, essendo sprovviste di mezzi di trasporto. Più in là, un vecchietto cercava il settore delle piantine aromatiche. E altri, impreparati, che aspettavano semplicemente, per la propria scelta, di lasciarsi ammaliare dalla bellezza di cui eravamo tutti circondati.

Ecco: la bellezza.

Il pensiero istintivo-emotivo che sorge, non è ‘banalmente’ poetico. La bellezza è nelle cose, nella vita, nel mondo che ci circonda. Essa è, soprattutto, in noi: “animali” intelligenti e sensibili, in grado di riconoscerla. E amarla. Perché capiamo – o comunque ‘sentiamo’ – che la bellezza è un bene prezioso, che ci aiuta a vivere meglio.

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La vita è così ricca di occasioni, emozioni, sorprese da non poterla banalizzare o sciupare correndo sempre e soltanto verso l’effimero, inseguendo traguardi labili, fragili e vuoti. Che snaturano, oltretutto, la nostra ‘nobiltà’ di esseri liberi e pensanti, rischiando di isolarci nel proprio egoistico orticello.

C’è, intorno a noi, un mondo esteriore, che si rispecchia col nostro mondo interiore. Sta a noi saperli governare entrambi al meglio, traendone amore anziché odio, gioia e serenità anziché tristezza e insoddisfazione, e piacere anziché fastidio o dolore.

Mi rendo conto, mentre scrivo, che le problematiche del vivere di oggi si sono vertiginosamente dilatate anche rispetto a un recente passato. E tuttavia, non posso non denunciare un’accresciuta e diffusa “indifferenza etica”, un modus vivendi e operandi spesso sotto le righe, che potrebbe sfociare (e se ne vedono già chiaramente i primi segni) nell’intolleranza, nella contrapposizione, nell’egoismo estremo.

Non mi è mai piaciuta quella vecchia espressione popolaresca che, piuttosto rozzamente, recita: «Vada bene il mio cappotto che degli altri me ne fotto»”. Noi non siamo soli. Né possiamo vivere bene da soli. Nel nostro ormai piccolo mondo c’è ancora e sempre posto per tutti: il bianco, il nero, il rosso, il giallo…

Dobbiamo solo imparare a convivere meglio (perfino con noi stessi), educando in questo le nuove generazioni, e aiutandole a rinnovarsi, migliorarsi, comprendersi, rispettarsi, mantenendo altresì integri i propri caratteri e le proprie individualità, che sono componenti distintive e complementari della bellezza stessa della natura.

Né più né meno di quanto succede in un giardino o in un vivaio, dove la bellezza e la varietà di piante e di fiori diversi traducono perfettamente, nella diversità, il significato della vita.

[“Il Galatino”, anno XLVIII n. 16 del 16 ottobre 2015]

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