1) Le principali fonti informative e analitiche sulle ZES sono costituite da un Report della Banca Mondiale del 2017 (“Speciali economic zone: an operational review of their impacts”) e, per il caso italiano, da uno studio di The European House – Ambrosetti, del Novembre 2023. Il Rapporto della Banca Mondiale mette in rilievo come l’importanza delle ZES sia stata largamente sovrastimata, soprattutto in considerazione del fatto che le analisi che le hanno riguardate si sono concentrate quasi esclusivamente sui casi di successo. Così, a quanto risulta, accade anche nel caso italiano, laddove la ZES Campania viene citata come esempio di ciò che dovrebbero essere le altre, spesso mettendo in secondo piano le specificità non riproducibili di quella esperienza, che rinviano alla molteplicità di fattori che determinano i vantaggi localizzativi.
2) L’evidenza empirica mostra che le otto Regioni del Mezzogiorno attraggono una quota modesta degli investimenti diretti esteri, che tendono a concentrarsi al Nord, nonostante i salari siano mediamente più bassi al Sud. Le fondamentali ragioni che spiegano questo fenomeno sono riconducibili all’assenza, nelle zone economiche speciali, di altri fattori di contesto: fra questi, soprattutto, la disponibilità di capitale pubblico – infrastrutture, in primo luogo – e la presenza di criminalità organizzata. Trasporti e sicurezza sono beni pubblici e rappresentano dotazioni essenziali per gli investimenti, influenzando la produttività del lavoro e, dunque, il costo del lavoro. La letteratura scientifica, fin dai primi contributi di Alfred Marshall (1920) sul tema, ha anche messo in evidenza l’effetto della vicinanza delle attività produttive sulla riduzione dei costi di trasporto e, per conseguenza, sui vantaggi localizzativi. Hanno notevole rilevanza – si ritiene – gli effetti di spillover, e, dunque, la trasmissione – fra imprese vicine – di conoscenze, codificate e tacite, rilevanti per le innovazioni organizzative e tecnologiche. Incidentalmente, secondo alcuni autori, è proprio su queste basi che si spiegherebbe il successo dei distretti industriali italiani. In linea generale, si può concludere, a riguardo, che le ZES funzionano bene laddove, come nel caso della Campania, si è già raggiunto un buon grado di sviluppo economico (con un’incidenza elevata, rispetto alle altre Regioni del Mezzogiorno, del manufatturiero con elevato contenuto tecnologico, soprattutto nella farmaceutica). Il successo della ZES di Dubai, ad esempio, viene spiegato con la posizione strategica rispetto ai traffici marittimi e con l’elevato tasso di crescita.
3) Lo studio di Ambrosetti evidenzia la necessità di attuare politiche industriali nel Mezzogiorno come pre-condizione per l’attrazione e lo stimolo degli investimenti nelle zone economiche speciali, incidendo sulla specializzazione produttiva, al fine di aumentarne l’intensità tecnologica.
4) L’istituzione della ZES unica corre il duplice rischio di produrre un eccessivo carico burocratico a livello centrale e soprattutto di far perdere, rispetto all’assetto pre-esistente, con otto ZES decentrate, i rapporti con il territorio e, dunque, la possibilità di valorizzarne le potenzialità, come messo in evidenza nello studio di Ambrosetti. In questo senso, sembra di trovarsi di fronte a un atteggiamento schizofrenico nel Governo, dal momento che l’accentramento delle ZES si muove in direzione contraria rispetto a quella indicata dal progetto dell’autonomia differenziata e anche rispetto alle nuove disposizioni del MIUR sui rapporti fra Università e territorio (la cosiddetta Terza Missione).
[“La Gazzetta del Mezzogiorno”, 20 luglio 2024]