Manco p’a capa 211. Turandomi il naso…

di Ferdinando Boero

La ricchezza di vocaboli (e la vittoria alleata della Seconda Guerra Mondiale) ha fatto dell’inglese la lingua universale della scienza. Non essendo fonetico come l’italiano, però, l’inglese parlato è fin troppo ricco. La pronuncia di water (acqua) cambia a seconda della geografia e circolano video di madrelingua che la pronunciano in modi differenti, deridendosi a vicenda. Ho iniziato a parlare inglese ripetendo a pappagallo le canzoni di Beatles e Stones, senza capirne il significato. Ora sono un Oxford author (uso anche la virgola di Oxford) ma evito di parlare inglese in modo “naturale”. Dovrei cambiare pronuncia a seconda di chi ho davanti. In inglese si fa lo spelling, scandendo vocali e consonanti, a scanso di equivoci. L’alfabeto è un incubo. Per noi e si pronuncia e. Ma in inglese si pronuncia diversamente a seconda che sia Est (ist) o West (uest). Mi direte, c’è davanti una w, magari e si pronuncia e ogni volta che segue una w, come in… we. Misteri.
Quando andai in USA la prima volta, era il 1981, portavo scarpe decorate con tre strisce blu, e i miei cugini americani mi prendevano in giro. Naichi(s) are better! Naichi? poi vidi il nome scritto: Nike. Se dicevo niche… mica mi capivano. Quando furono di moda anche da noi la gente che se la tira le chiamava naik. Tacendo quella e finale che gli americani pronunciano i. Non parliamo di come americani e inglesi pronunciano i nomi latini delle specie. Per me, che ho studiato latino, Clytia si pronuncia clizia, ma per loro è claitia.

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