Tornando al tuo testo, confesso che io non ho letto McEwan, putroppo dovrei leggere circa una ventina di libri scientifici all’anno, più centinaia di articoli piuttosto tecnici, su argomenti che vanno dall’ecologia all’evoluzione, e non dovrei fare altro per riuscirci. Così mi sento sempre indietro. Ma è escluso che io possa leggere cose impegnative al di fuori di queste. Mi aggiorno con Micro Mega e Internazionale, ma è poca cosa rispetto a quel che si dovrebbe leggere. Il mio consiglio, quindi, è di spiegare per sommissimi capi il senso dell’opera del nostro, in modo da mettere subito in grado il lettore di entrare nel vivo dell’articolo, senza farlo sentire un buzzurro se non ha letto certe cose. Anche Scalfari a volte scrive come se tutti avessero fatto le sue letture. E succede che, se parla di scienza, abbia delle ingenuità che mostrano la sua carenza di letture in questo campo. Se parla di Torquemada è nel suo. Se parla di ambiente o di evoluzione, e a volte lo ha fatto, si scopre che non c’è altrettanta padronanza degli argomenti. E’ normale. Mica possiamo sapere tutto. E caso strano la pagina della scienza in Repubblica non c’è. Ci sono articoli densissimi e lunghissimi di filosofia, e poi la scienza vene trattata solo se è sensazionalistica. Proprio come avviene nella scuola. E la colpa è di Croce. Della sua confusione tra scienza e tecnica, della sua convinzione di una supremazia culturale dell’umanesimo rispetto alla scienza. E’ per questo che il nostro paese arretra, e fuggono i cervelli. I cervelli che fuggono sono tutti scienziati. Non ci sono umanisti fuggiti all’estero. Anche perchè non li vuole nessuno. Questa osservazione mi è venuta in mente adesso, parlando con te. A me le discussioni servono moltissimo. Ecco, questo potrebbe essere un argomento da sviluppare. Quali sono i cervelli che fuggono? Che cosa viene percepito come eccellente nel prodotto della nostra formazione da parte degli altri Paesi e che viene scartato da noi? Gli altri si beccano biologi, fisici, medici, chimici. A noi restano poeti e romanzieri. E filosofi. Che di solito pubblicano in Italiano e che solo raramente vengono tradotti. Il nostro impatto culturale resta ristretto al nostro paese. Con la sola eccezione di Eco e Calvino.
A questo punto non vorrei essere frainteso. Mi capita spesso. Io non nego il valore dell’umanesimo. Ne sono talmente convinto che presto gratuitamente la mia opera in un corso non prettamente scientifico e trovo moltissimi stimoli e spunti nel praticare anche questo ambiente. Credo che gli scienziati, tra virgolette, siano carenti su questo piano. Ma dovrebbe essere vero anche il viceversa. Il che non avviene. Spesso perchè uno,se pratica la scienza anche a livello non molto alto, dopo cinque minuti è costretto a confrontarsi col mondo intero, mentre si può fare umanesimo senza uscire dalla provincia.
Però ora devo passare ad altre fasi del mio lavoro.
Il fatto è che queste discussioni mi appassionano moltissimo, e mi faccio prendere la mano dalla foga del discorso.
Alla prossima
n.
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17.02.06
Caro Nando,
ho capito di te che a darti spago mi sgomitoleresti tutto, perciò pur accettando l’invito a non lasciar cadere una comunicazione così rara di questi tempi tra universitari quando non si tratti di fatti e misfatti accademici, voglio essere più breve ed essenziale del solito (premessa temibile, me ne rendo conto, pari a quella che negli anni delle belle bandiere costituivano l’incipit dei discorsi più logorroici e non di rado più sconclusionati).
Dunque, gratta gratta siamo arrivati al tema tuo preferito, a quello che ti ho sentito in tante occasioni tirar fuori, perfino in senato accademico, che è poi quello della scissione (il divorzio maledetto, si diceva negli anni Cinquanta) tra scienze dure e scienze sociali. Problema vecchio che ha appassionato da entrambe le sponde scienziati sociali (altrimenti detti “umanisti” e scienziati positivi, della materia, del bios. E’ senz’altro vero che i cervelli che perdiamo appartengono a quest’ultimo ramo del sapere, fertile di applicazioni pratiche, tecniche e tecnologiche: quelli insomma che prima o poi riescono a brevettare qualcosa. Non esportiamo umanisti, dici. Ma non c’è poi da rallegrarsene tanto, considerato lo stato di salute del pianeta.
Ci abbiamo provato a porre per tempo un rimedio alla scissione: a non far mancare le basi di una formazione scientifica agli umanisti e un retrobottega umanista agli scienziati, quando siano morsi dal dubbio (il che accade sempre meno oggi, ma è accaduto in momenti cruciali della storia del Novecento) sulle applicazioni pratiche delle scoperte scientifiche. Ci abbiamo provato ma non ci siamo ancora. Il liceo scientifico gentiliano voleva costruire questa opportunità, anche se Gentile lo subordinò al “classico” che conservò un suo primato nella formazione superiore dei futuri dirigenti.
Ma, per tornare all’oggi, il punto è che i c.d. “umanisti” hanno una consapevolezza dei limiti, dei prezzi troppo alti insomma del divorzio maledetto, e tentano talvolta di sfuggire alle conseguenze di un mondo dimostrato more geometrico; gli scienziati sociali, ossia la schiera degli inutili “oziosi”: filosofi, storici, letterati, cerca di rimediare ai guai, talvolta seri, prodotti dall’onnipotenza scientifica (perché un po’ onnipotenti vi sentite, o no?). Siamo (siete) vicini a scoprire come da un intrico di materia grigia si accenda la scintilla del pensiero; avete localizzato la sede cerebrale delle emozioni; siamo (siete) vicini a spiegarci gli ultimi misteri del genoma, ma poi lo manipolate, e ci mettete nelle mani dei funzionari del sacro che ci ricacciano nel medioevo. Naturalmente enfatizzo. Ma ciò che vorrei dirti è che, una volta storicizzata l’ineluttabilità della scissione, una parte non possa fare a meno dell’altra, come nel grande mito androgino platonico (per non dire di tutte le altre scissioni che non siamo riusciti a sciogliere e che si sono cristallizzate nel destino storico del pianeta: Est e Ovest; Nord e Sud; maschio e femmina; maschio bianco e maschio nero, femmina bianca e femmina nera, ecc.ecc.
Il superamento della scissione è affidato a un progetto di compenetrazione e cooperazione, a cui si lavora dall’una e dall’altra sponda: il futuro sarà ineluttabilmente ecosferico, se si vorranno connettere e compenetrare le esperienze conoscitive separate. Su questo punto dovrei sviluppare, dirti altro, indicarti letture “integranti”, ma non voglio appesantire più oltre. L’e-mail esige brevità, ma già ho strabordato.
E qui vengo al “mio” dr.Marlowe. Nel Saturday di McEwan, che oramai dovrai trovare il tempo di leggerti, un po’ perché ti avrò incuriosito, ma sopratutto perché sono certo che rimarrai appagato da una scrittura precisa, scientificamente controllata. La risoluzione dell’imprevisto/imprevedibile di una tragedia domestica viene scongiurata dai pochi versi neppure tanto originali di un vecchio poeta inglese.
Ho accettato comunque il tuo consiglio, e ho sfrondato e reciso, portando a 16 le 22 pagine del mio pezzo destinate al “Quaderno di comunicazione”. E’ importante capire come ti vede e ti legge uno dell’altra parte. Ti meriti perciò anche tu una rilettura, insieme all’invito a far qualcosa anche tu per superare la scissione, non facendoti mancare qualche buona pagina di letteratura, come pharmakon disintossicante ai tanti trattati scientifici che ti sciroppi per doverosità professionale.
Io per ora mi accontento di Odifreddi. Ho fatto qualche incursione in testi matematici, come nel recente Marcus du Sautoy, The music of the Primes, ma debbo confessare di non essere andato molto avanti. Più profittevole invece la lettura di Marchesini, che ci raccomanda un post-umano(non del tutto convincente). Più affascinanti ho trovato i suoi studi sul teriomorfismo, per le loro implicazioni comunicative. Di questi ultimi due testi ho parlato a lungo con gli studenti e anche in qualche mio libro più recente.
Un caro saluto
a.