Per Bandirali, la formula jakobiana P=N+S, secondo cui il paesaggio (P), inteso come fenomeno estetico, si determina e costruisce attraverso una costante interazione fra natura (N) e soggetto che vi transita e la osserva (S), andrebbe aggiornata in considerazione di un altro fattore che si frappone fra questi due versanti. Nella rappresentazione artistica del paesaggio, infatti, entra inevitabilmente in gioco anche il medium (pagina o tela o cinepresa ecc.) attraverso cui avviene, in concreto, la trasformazione della realtà esterna in un’opera d’arte. Un medium che nel settore audiovisivo ha un peso specifico molto più ingente rispetto ad altre discipline: «Il cinema è un medium meccanico ancora più ingombrante e potente – scrive Bandirali –. Dunque il paesaggio cinematografico è l’apice del paesaggio come rappresentazione di un soggetto che si separa dalla natura e la osserva».
Sulla base di queste considerazioni, Bandirali si interroga poi su come funzioni effettivamente la rielaborazione dello spazio nel cinema e nelle serie tv, individuando due distinte modalità di intervento, che determinano altrettante traiettorie – e intenzionalità – espressive, che però non sono da intendersi come compartimenti stagni bensì come tendenze di massima, ciclica alternanza di strategie o orientamenti estetici: 1) lo spazio si trasforma in ambiente quando assolve a funzioni diegetiche, divenendo parte integrante del racconto: spazio, dunque, inteso come territorio del mythos, della narrazione, ingranaggio della storia che si vuole raccontare. È il modello, per esempio, che si afferma nel cinema hollywoodiano entre-deux-guerres, fatto di azioni, di causalità, di eventi correlati; 2) lo spazio si trasforma in paesaggio quandosviluppa, invece, un’istanza contemplativa e percettiva: spazio, dunque, inteso come territorio della contemplazione, della theoria, della sosta riflessiva. Era proprio questa, secondo Bandirali, la vocazione originaria del cinema, poi ripresa e reintrodotta a partire dal secondo dopoguerra dal cinema del reale sulla scorta di registi innovativi come Rossellini. Ed è interessante notare come anche nella più recente serialità televisiva, comunque caratterizzata da un indubbio predominio dell’azione, la funzione–paesaggio si insinui sempre più di frequente a sospendere il ritmo della narrazione, generando così inedite soluzioni espressive.
«Medium loci – conclude Bandirali –vuol dire che tra la cosa in sé (lo spazio) e la sua riproduzione c’è un medium dotato di un set di regole e di operazioni (la messa in quadro, per esempio), responsabile di un processo che a valle genera artefatti narrativi (gli ambienti) o contemplativi (i paesaggi)». Osservare più da vicino questo processo, indagando a fondo i meccanismi di rielaborazione dello spazio nella narrazione audiovisiva (e magari anche il circuito inverso, meno attenzionato da Bandirali: cioè studiare come le caratteristiche geoculturali di un determinato territorio incidano sulla poetica di un autore) è un’operazione che permette di aprire originali prospettive di ricerca.
[«L’immaginazione», 334, marzo-aprile 2023, pp. 53-54]