Odissea Minima di Marcello Toma

Marcello Toma, Genesi, gouache e olio su tela, 50×60 cm.

Il nostro vivere, che è sempre un muoverci nel tempo e nello spazio, comprende la ricerca di una meta che solo illusoriamente collochiamo nelle vie del mondo ma che in fondo è un’Itaca interiore.

 Il nostro vivere comprende un ritorno in un luogo originario senza tempo e senza spazio dove ciò che è stato e ciò che avrebbe potuto essere stato convivono con ciò che abbiamo solamente fantasticato.

Le viscere della mente, le circonvoluzioni cerebrali, gli intestini, il Labirinto, gli ingranaggi

 – budella meccaniche -, hanno tutti qualcosa in comune: somatico, psichico, minerale e metallico cercano di somigliarsi ed evocano associazioni che li assimilano l’uno all’altro.

È il mostro ad abitare il labirinto e la paura, percorrendolo, è di incontrarlo anche perché potremmo essere noi stessi, il mostro che temiamo e potremmo amare ed odiare al contempo il luogo che abitiamo. Così incomprensibile, contiene tuttavia il fascino della perdita e della deriva. Un luogo che probabilmente abbiamo costruito noi stessi.

E così siamo nel contempo Teseo, il Minotauro e Dedalo.

Mi piace pensare che Dedalo abbia progettato e realizzato un sottomarino. L’avrebbe costruito per ripescare almeno il corpo del figlio, di quell’Icaro che volò arrogantemente troppo in alto, verso il sole che lo punì precipitandolo in mare.

Nei dipinti di Marcello, gli interni del sottomarino, il mezzo con il quale raggiungere gli abissi, si offrono in una sospensione che li assimila all’inconscio e quindi all’abisso stesso ma reso asfittico e opprimente seppure bello.

Evocano l’acqua, l’ambiente in cui dovrebbero essere immersi, ma non la mostrano.

Quello che ci mostra Marcello è un sottomarino orfano dell’abisso che gli dà il nome, che ci mostra il proprio interno in cui regna un’armonia di forme enigmatiche, che esalta la sua funzione ostentando la sua nudità e l’asetticità del suo grigio corpo metallico.

Un interno che attira e respinge, rifugio e prigione, che rende claustrofilici e claustrofobici.

É in questa sonda degli abissi, sospesa in un nulla che la comprende, è all’interno di un sottomarino che guarda a se stesso e non all’acqua che dovrebbe attraversare e in cui dovrebbe inabissarsi, che si manifestano degli apporti, apparizioni salvifiche, frammenti certi di una vita certa.

Foto, strumenti, oggetti, piante e animali che donano vitalità, narrazione, storia ad un ambiente in cui altrimenti si assisterebbe alla vittoria dell’inerte e dell’inorganico.

La comparsa della vita, dell’azione, delle pratiche (artigianali e artistiche), del gioco, assicura al sottomarino una funzione evocativa che lo rende “sfondo” della nostra ricerca di uomini (quell’oppressione da cui siamo tristemente attratti, che ci ammalia e ci fa perdere a noi stessi) mentre “figura” diventano quei segni, simboli, allegorie che danno senso alla nostra vita, il frutto autentico della nostra ricerca.

Essi costituiscono il tesoro che riportiamo ad Itaca.

ITACA

di Constantinos Kavafis*

Se Itaca è la meta del tuo viaggio

Formula voti sia una lunga via;

Peripezie e scoperte la gremiscono.

Lestrigoni, Ciclopi, e di Poseidone

Accessi d’ira escludili.

Renderli vani è in te se via facendo

Col pensiero li domini, se carne e spirito

Risucchi la vertigine.

Mai vedresti Lestrigoni e Ciclopi

Se Psiche in te non li generasse,

Né L’ irascibile Poseidone ti sbatterebbe

Se Psiche in te non lo drizzasse orrendo.

Voglila lunga, la via.

E i mattini d’estate mai finiscano

In cui ti accolgano finora ignoti

Porti che di dolcezze ti sfiniscano.

A ogni suk dei Fenici sosterai,

Ci farai begli acquisti di coralli,

di madreperle, d’ebani, di ambre,

E di profumi che stordiscano pigliane

A sacchi, di più godrai.

Ma nelle città egizie tu errabondo

Viandante agli eruditi

Rivolgiti, e da loro impara

impara senza fine.

Della tua mente avrai stella polare

Itaca-sempre. Là devi approdare,

Termine ultimo tuo prescritto. Il viaggio

Fallo anni durare, ritorna vecchio

Nella tua isola, gli accumulati

Lungo la via tesori

Li sbarcherai con te, perché da Itaca

Ricchezze non puoi sperare.

Il dono di Itaca è il viaggio che fu bello.

Senza di lei, per te, quale cammino?

E null’altro sarà il suo dare.

Pur così povera mai ti avrà deluso.

Ora tu sei di vita e di sapienza

Talmente ricco! E certo non ti è ignoto

Il senso che ogni Itaca tramanda.

Constantinos Kavafis, Un’ombra fuggitiva di piacere, a cura di Guido Ceronetti, Adelphi Edizioni, Milano 2004

[Pubblicato nel Catalogo della Mostra Odissea Minima, Galatina, 2016]

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