Lo scirocco non soffia solo sul Salento. Alcune ipotesi sulle “Storie dello scirocco” di Paolo Vincenti

di Ettore Catalano

Una lingua dotata di perentoria aggressività verso livelli di sorvegliata e tranquilla accademia, giacché il gioco della vita, di cui sono pedine tutti i personaggi di Vincenti, non si lascia più governare da trame prefissate e le singole peripezie, tra ritmi parodici e incalzanti dismisure dionisiache, trovano posto, nel loro disordinato aggrovigliarsi, solo in un accumulo di situazioni che si collocano nell’esistenza collettiva dell’universo  di Oppido Tralignano, pronto a deflagrare solo nel finale in un maremoto insidioso e diabolico. Il tutto sembra placarsi, ma è apparenza, nel colpo grosso testimoniato da Lorenzo, scrittore fallito che trasuda maligno amore per il suo territorio, che proprio la sua incapacità creativa ha contribuito a devastare, blaterando una inesistente battaglia civile e culturale. L’altro polo dell’azione è rappresentato da Fabrizia che, dopo la sua immersione nel mondo di un sesso sfrenato e un po’ sudicio, si trova ora a suo agio prima nelle vesti di ricattatrice e poi in quelle di Astarte, ministrante protagonista nella villa di campagna del dottor Poso, dove, sotto la sua guida, crapula e baccanali continueranno a svolgersi, ma senza alzate di ingegno e scalate al potere, in nome della più canagliesca armonia e fratellanza. Forse Sanguineti avrebbe detto un ritorno al disordine come via maestra del ritorno al tragico, perché, a mio parere, questa “commedia” acquista, a guardarla bene, un passo che intreccia Satyricon e noir, taranta e scirocco, in un riuscito e ben calcolato impasto di ritmi destinati a sciogliersi nella mordace ironia dell’autore.

Proprio la vicenda della nullità creativa di Lorenzo mi induce a pensare  se fare letteratura oggi non sia, in qualche modo, aggiungere all’atto tradizionale della scrittura anche un articolato svolgersi di quelle che una volta erano funzioni extratestuali (intendo il modo in cui il libro viene programmato, confezionato e imposto) e ciò, forse, anche a danno dell’espressività dell’opera, elementi tutti che ci portano a ritenere che ormai dobbiamo parlare più di autori che di letterati nel senso novecentesco del termine. Certo le forme letterarie finiscono ancora per contare qualcosa ma l’editing di un’opera ha oggi un peso rilevante che qualche decennio fa non aveva, sotto la spinta dell’iconismo di massa dell’industria culturale che oggi si adegua al cambiamento imposto dalla scrittura televisiva. Qui sta, in filigrana, la denuncia di Vincenti. Abbiamo a che fare, oggi, con l’infinita moltiplicabilità dei testi e dei generi e molti autori pensano ormai alle tecniche della fiction televisiva più che alla scrittura letteraria in senso pieno, adottando la forma dei codici extratestuali.

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