Racconti sovietici 9. Quarantunesimo 2

di Boris Andreevič Lavrenëv

(continuazione)

Ritratto di
Boris Andreevič Lavrenëv.

Capitolo Secondo

 In cui sull’orizzonte appare una macchia scura,  che, ad uno studio più ravvicinato, si trasforma nel  tenente della guardia imperiale, Govorucha-Otrok.

Dai pozzi Gian-Gel’dy sino ai pozzi Soj-Kaduk c’erano settanta verste, da lì, fino alla sorgente Uškan, ce n’erano altre sessantadue.

Di notte fonda, piantando il calcio del fucile in mezzo ad una radice serpeggiante di una pianta desertica rinsecchita, Evsjukov con voce raffreddata, raggelante, disse: «Alt! Pernottamento!».

Accesero un falò con dei rami di saksaul, che ardevano con una fiamma grassa di nerofumo e si inumidiva la sabbia attorno al fuoco in un cerchio scuro.

Tirarono fuori dalle some riso e lardo. Nel paiolo di ghisa misero a cucinare un risotto che sprigionava un acre odore di montone.

Gli uomini si ammucchiarono strettamente davanti al fuoco. Tacevano, battendo i denti, cercavano come potevano di proteggere il corpo dalle gelide dita febbrili della tormenta di neve che penetravano in ogni strappo dei loro vestiti. Si scaldavano i piedi direttamente sul fuoco, cosicché la pelle indurita degli scarponi scoppiettava e zufolava.

I cammelli sbrigliati tintinnavano malinconicamente di sonagli nel turbine biancastro della tormenta.

Con le dita tremanti, Evsjukov si fece una sigaretta di tabacco forte arrotolata a mano.

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