Sugli scogli 19. Lettera al mare 1

di Nello De Pascalis

Caro mare,

immagino sarabande sulle tue rive, orde come sciami d’api, la cui parola d’ordine è: ‘sciabordare’, quando terapeutico sarebbe fermarsi per prendere coscienza della stagione che viviamo, nera come la notte, per ridefinire il nostro vivere.

È tua l’estate, piena di ebbrezze, trasgressiva e godereccia. Non mi vedrai dalle tue parti né di sera, né di giorno, meno che mai di notte; di notte si beve, ci si sballa, si recidono vite, come se questo ne fosse l’unico senso. Intanto, l’orologio del tempo batte implacabile, confinando nell’oblio vacuità e tributi di sangue. Passerà l’estate: sento già clamori ultimi, residui di ‘giungla’, scorie. Nel frattempo, ricarico le batterie per i mesi a venire. L’aria frizzante che giungerà da Nord, mi vedrà sulle tue rive con l’onda cuprea del tramonto o coi primi chiarori. Ora l’accidia mi possiede e il caldo mi fiacca (soffro di ipotensione arteriosa); a fatica leggo qualcosa sull’amaca in fondo al viale. Resto qui, autorecluso, attendo.

Ho fatto pochi bagni nei primi di giugno, poi ho smesso. Col passare degli anni sono diventato insofferente ai flussi erranti, ai ‘formicai’, ma rimani il mio ‘genius loci’ e, seppure a distanza, intreccio discorsi con te, come adesso.

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