14-02-2006
Caro Angelo
i complimenti fanno sempre piacere, soprattutto quando vengono da persone che non hanno peli sulla lingua. Ti ho già scritto sul tuo scritto, sull’uso di agnostico e laicista. Come ti ho detto, con un po’ di vanagloria, sono redattore di molte riviste scientifiche. E da redattore (non editore, come spesso la gente traduce editor) il mio mestiere è trovare quel che non va, più che quel che va. Quel che va, si lascia, e non ci sono problemi. Bisogna concentrarsi su quel che non va. Il che fa assumere atteggiamenti irritanti. A nessuno piace essere criticato. Ho cominciato la mia carriera collaborando con un ricercatore inglese, lavorava al Natural History Museum di Londra. Lui era così gentile da correggere i miei scritti in inglese. Mi ha ferocemente preso in giro per anni, per il mio modo “italiano” di scrivere in inglese. Quel che mi rimproverava di più era l’uso sovrabbondante di parole. Poi ho capito. La colpa era del latino. I miei professori amavano Cicerone, e consideravano Cesare un povero mentecatto. Troppo semplice, diretto. Vuoi mettere un bel periodo ciceroniano? E così io scrivevo come Cicerone. Ci ho messo anni per arrivare a scrivere come Cesare. E il mio amico mi diceva: tu devi scrivere con cento parole quello che hai scritto con quattrocento parole. Si può. E me lo faceva vedere.
La gente deve investire il suo tempo nel leggere quello che scrivi, e devi rispettare il suo tempo. Ci ho messo tanto, e ancora non ci sono mica riuscito! Però ci provo. E cerco anche di dire le cose in modo che le possano capire tutti, anche se sono complicate. Anche questo è molto difficile. ma quando mi riesce sono felice. Perché sembra tutto così facile, banale, e invece la semplicità richiede un sacco di lavoro.
Ecco, se posso permettermi, visto che è comunque quello che mi dico sempre quando ho finito di scrivere una cosa, non c’è niente che non va nel tuo scritto, tutto fila. però se fosse di quindici pagine invece che di ventitre sono sicuro che sarebbe più efficace. Dicendo tutte le stesse cose che già dice. Lo so che ci hanno sempre detto che quello è il modo di scrivere, e il tuo modo di scrivere è già lontano anni luce dalle supercazzole con scappellamento a destra di cui parli anche tu. È lo stile che si trova su Micro Mega, una rivista che leggo spessissimo, che mi piace per quel che dice. È anche, e ti faccio un complimento, lo stile degli articoli dotti di Scalfari.
Ecco, dal mio punto di vista, si potrebbero dire le stesse cose anche a chi non sa tutto quello che sa chi scrive. Anzi, pensando che l’articolo lo deve leggere e capire anche chi non sa niente. Anche a chi non ha letto McEwan, che se uno non l’ha letto si sente subito escluso, e passa oltre. Se uno ha letto un po’ di Darwin, un po’ di Wilson e un po’ di psicoanalisi spicciola, magari ce le ritrova nel mio articolo, ma io voglio parlare anche a chi non li ha letti.
Lo so che si arriva a Berlusconi, se si va per questa strada. Bisogna sapersi fermare prima. E poi il Berlusca dice in modo semplice cose che gli servono per ingannare. Se quell’abilità la usasse per dire cose sensate, sarebbe bene.
Oh! io so scrivere anche la supercazzola, intendiamoci. E quando scrivo su riviste molto tecniche sono comprensibile solo a una cinquantina di persone in tutto il mondo, forse meno. L’articolo che ti ho mandato non poteva essere troppo tecnico, però. Anche se lo
trasformassi, non potrei farlo diventare pubblicabile su una rivista scientifica. E allora mi sono divertito, sperando di essere divertente. Che poi è quello che faccio a lezione.
Noi, questo mestiere lo facciamo perchè ci divertiamo, no? e allora facciamolo vedere!
Mozart diceva che lui scriveva musica a due livelli, il più visibile era quello per tutti, per chi non capisce niente di musica e prova piacere ad ascoltare belle melodie. Poi c’era il livello per quelli come lui, quello che solo pochi potevano apprezzare. Introdusse le dissonanze e nessuno se ne accorse, tra i suoi entusiasti ammiratori.
Però rivoluzionò il modo di scrivere la musica.
Lo stesso faceva il mio amico Frank Zappa: scriveva musica rock, ma Pierre Boulez se ne accorse che c’era ben altro sotto, e alla fine della sua vita il buon Frank gettò la maschera.
Ecco, ti ho detto che bisogna dire le cose con poche parole e mi sono subito contraddetto…
n.
***
16.02.06
Caro Nando,
cercherò di trarre frutto dalla tua lunga ma gustosa filippica assottigliando il mio pezzo di una cinquina di cartelle. Questa poi mi sembra l’invito neppure troppo underground del tuo messaggio.
Ecco a me piacciono rapporti schietti come questo che si va collaudando nel nostro botta e risposta. E debbo dirti di condividere molte cose e anche – ma questo non è proprio ciò che conta – la tua visione agnostica, che invece è esattamente la qualità degli intellettuali che McEwan prende di mira nel suo Saturday, dal quale prendo occasione per dire altro. Il dr. Henry Perowne, protagonista di quest’ultimo suo romanzo, è il prototipo di quell’occidente dove si può vivere appagati di una propria visione disincantata del mondo, preoccupati semmai che l’attuale disordine – chiamiamola entropia sociale – possa incrinare una vita di grandi soddisfazioni personali: una buona carriera attiva, una famiglia appagante, ecc. ecc.
Sulla tua dichiarata professione di fede agnostica poi (passi l’ossimoro), debbo dirti di aver sempre difeso la fruttuosità di una visione laicista più che laica. Preferisco laicista, anche se tutti gli ismi volgono in senso deteriore il significato delle parole perché il laicismo, pur contenendo il concetto di laicità, non evapora e non si appiattisce in essa, anzi si esprime con un profilo più definito e combattivo contro vecchi e nuovi clericalismi. Croce la chiamava religione della libertà, ma non convince richiamarsi alla religione per dire dell’assoluto della libertà. Scalfari ha avuto il merito di rinfrescarci un po’ la memoria su queste questioni, molto manipolate negli ultimi tempi dai laici devoti (e se ne comprendono bene le ragioni). E a te, lettore forte di Micromega, non sarà certamente sfuggito lo scambio di attenzioni tra Ratzinger e Marcello Pera, seconda carica della Repubblica, in cui l’ex cardinale del de propaganda fide torna a insistere sulla coincidenza tra libertà di scelta e scelta del Bene e della fede, di cui resterebbero ovviamente depositarie le gerarchie ecclesiastiche. A Ratzinger sta a cuore la fedeltà dei laici, a cui lo statista Amato riconosce la “marcia in più” della fede rispetto a un laicismo un po’ demodé che continua a rivendicare libertà di coscienza e separazione dei poteri. Ridotta al nocciolo la questione è che il credente non abbia bisogno della sua libertà, perché ha scelto una volta per tutte affidandosi alla sua chiesa. Più che libero è un liberato: liberato una volta per tutte dalla fatica di dover ogni volta scegliere personalmente. Il non credente invece, agnostico o laicista che dir si voglia, ha vita più difficile: non può che fare appello alla propria ragione, sorretta dalla memoria dell’accaduto storico nello sviluppo del pensiero.
Per tutto questo, non mi piace che il pragmatista Rorty, appartenente all’allegra tribù ironico-liberale, si scagli alquanto gratuitamente contro l’occidente laicista. Che vuol dire? È in questione la Carta Europea, arenatasi proprio sulla questione della laicità? Ancora me lo chiedo dopo le mie venti e passa cartelle. McEwan è il volto narrativo della sociopolitologia alla Bauman, e sta facendo i conti con l’insicurezza che irrompe con gratuità nella vita normale di normali cittadini. Non impreca contro l’irruzione improvvisa del male nel suo nido familiare, ma attiva una intelligenza (creativa) per uscirne senza danno. Fa agire la poesia, ossia la universalità del sogno umano per “altre” possibilità. E riprende fiducia quando vede che la poesia può mettere in ginocchio la gratuità del male.
Ora mi sono stancato e vado a vedermi “Il posto al sole”, la fiction più pedagogica della Nazione, a cui sono fedele da alcuni anni in qua.
Un caro saluto e a presto
a.
(continua)