La politica degli sconti alle imprese non paga

1) Il principale problema dell’economia italiana, e ancor più dell’economia meridionale, è la perdita di competitività conseguente al calo di lungo periodo del tasso di crescita della produttività del lavoro, come documentato, da ultimo, da Banca d’Italia, sia nelle Considerazioni finali del Governatore, sia nel Rapporto sulle economie regionali. Si tratta di un problema che deriva da numerosi fattori: le piccole dimensioni aziendali, la bassa spesa pubblica e privata in ricerca e sviluppo, una specializzazione produttiva, soprattutto al Sud, fortemente sbilanciata in settori a basso valore aggiunto, la sottoutilizzazione del capitale umano. In questo scenario, la misura corre il rischio non solo di non risolvere il problema, ma addirittura di accentuarlo. Un aumento dell’occupazione – come mostrato nell’ultimo anno, in particolare – nelle condizioni date non produce di per sé crescita economica in misura apprezzabile, se i nuovi assunti sono collocati in settori tecnologicamente maturi. L’aumento recente dell’occupazione (di circa 500.000 unità, su fonte ISTAT) si è avuto nei settori delle costruzioni e della ristorazione, cioè in settori a basso contenuto tecnologico e di innovazione. A ciò si aggiunge il fatto che il parametro scelto per quantificare le agevolazioni è discutibile sul piano tecnico, se si considera che, in costanza di fatturato, un aumento dell’occupazione avviene solo se si riduce la produttività del lavoro in valore e che il fatturato può aumentare anche solo per effetto dell’inflazione. In tal modo, si tendono a premiare le imprese che si specializzano in settori con bassa intensità tecnologica.

2) In secondo luogo, si calcola che le attivazioni agevolate dagli incentivi (pari a circa ¼ della nuova occupazione) sono molto fluttuanti e dipendenti dalla durata degli stessi. Peraltro, queste attivazioni si sono avute solo marginalmente a seguito di agevolazioni per le innovazioni e per la formazione professionale. Le imprese cosiddette ad alta crescita (quelle, cioè, in grado di triplicare il fatturato in un triennio) sono relativamente poche nel Mezzogiorno e in Puglia.

3) In terzo luogo, occorre considerare il costo elevato e crescente di queste misure per il bilancio pubblico. La principale stima ufficiale degli effetti delle agevolazioni fiscali è fornita dall’Ufficio Valutazione di impatto del Senato (UVI). Si calcola che il costo a carico della fiscalità generale derivante dalla reiterazione di misure di aiuti alle imprese nel periodo compreso fra il 2016 e il 2022 è stato pari a 82 miliardi di euro. La numerosità di agevolazioni fiscali erariali è in continuo aumento, come è in continuo aumento la perdita di gettito fiscale che ne deriva (dal 2.8% del Pil del 2017 al 4.1% del Pil del 2023). UVI rileva anche la scarsa trasparenza degli effetti di queste misure e l’aumento della complessità del sistema derivante da quella che viene definita una deviazione dal regime fiscale “normale” (https://www.senato.it/4746?dossier=37321).

Queste considerazioni portano a concludere che le agevolazioni fiscali previste dal Governo possono avere effetti solo temporanei (data la loro durata temporanea), non incidono sui problemi principali della nostra economia e hanno come principale conseguenza quella di spostare l’onere dell’aggiustamento delle finanze pubbliche ai Governi che verranno.

[“La Gazzetta del Mezzogiorno” del 13 luglio 2024]

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