di Mario Spedicato
L’ultima fatica di Rosangela Barone è stata interamente destinata alla cura dell’autobiografia di Amedeo Guillet, La mia Tela Yenemita, che ha visto la luce pochi mesi dopo la sua improvvisa morte[1]. Questa iniziativa scientifico-editoriale di recente approdo suggerisce una riflessione storiografica che possa in primo luogo fare il punto sulle novità metodologiche sperimentate e in secondo luogo sulle prospettive di ricerca assicurate in questo particolare settore di studi. Una necessità dettata non solo dalla forma redazionale prescelta, unica nel suo genere, ma anche per le svariate fonti utilizzate, che arricchiscono oltre il dovuto l’articolato contesto storico di riferimento, le cui vicende vengono ricostruite in larga parte sui diari personali (compresa la corrispondenza privata) e sui documenti d’ufficio dello stesso protagonista ordinati nel “retiro” irlandese, con la complicità e con la consulenza della Barone, negli anni in cui è direttrice dell’Istituto italiano di Cultura a Dublino. La collaborazione istituzionale prima e l’amicizia personale poi crea l’endiadi perfetta perché questo denso materiale di memorie trovi una sistemazione organica per un mirato approdo editoriale, approdo che nell’ultima decisiva fase si avvale dell’apporto non trascurabile di Alfredo Guillet, figlio dell’ambasciatore e zelante custode della documentazione superstite conservata nell’archivio di famiglia. Un’operazione che per ragioni diverse si dilata oltre i tempi programmati, rischiando persino l’oscuramento per il silenzio prolungato dei referenti istituzionali, ma che alla fine viene a concretizzarsi con due voluminosi tomi, lasciando però qualche scoria di amarezza per la dipartita inaspettata di Rosangela, che avrebbe meritato di vedere pubblicato e di godere pienamente del suo lavoro per l’impegno e per la determinazione profuse nella cura di questa autobiografia.