Aliprandi dice: “Da notare che il comitato di Padova aveva dato notizia nel giornale locale la domenica 12 luglio 1874 del discorso del senatore Aleardi da tenersi alle ore 11 ant. nell’aula magna della R. Università (domenica)”, mentre il comitato di Arquà si era limitato a “ricordare pubblicamente che sabato alle ore 1 pom. ci sarebbero stati la visita alla tomba del Petrarca e discorsi”.
Nel discorso pronunciato nella piazza di Arquà il 18 luglio 1874, Carducci presentò la figura di Petrarca come quella di un precursore dell’Unità e indicò in lui uno “degli spiriti magni” che incarnavano le virtù dell’intero popolo e di cui gli italiani dovevano andare orgogliosi, traendo ispirazione dal loro magistero nel proprio comportamento civile e morale.
Il poeta iniziava il suo discorso con questa espressione:“Ond’è che cinquecento anni dopo la morte di lui noi italiani ci raccogliamo intorno al suo sepolcro per commemorare grati e reverenti uno de’ patriarchi della nazione; e le colti genti d’Europa convergono e consentono a onorare il padre del Rinascimento e poeta”. Carducci continua nel suo elogio chiamando Petrarca “vero padre del Rinascimento non solo perché promosse la ricerca degli antichi autori per tutte le città d’Italia e in Francia, in Germania, in Spagna, in Inghilterra, non solo perché trasse di Grecia Omero e lo restituì all’occidente […]”. Carducci dice che il Petrarca ha la fede nel Rinascimento… “ma nell’ideale complesso del Rinascimento un concetto e un affetto spiccavano fra tutti gli altri dinanzi alla mente e al cuore del Petrarca: il concetto e l’affetto dell’Italia […]. Il Petrarca vuole una Italia grande […] e la restituzione della santa sede come una ricongiunzione di Roma all’Italia”. Il Carducci dice ancora che il merito del Petrarca “è aver messo su la cima dell’ideale del popolo italiano, il concetto e il nome d’Italia nazione, questo è glorioso e incontestabile merito del Petrarca verso la patria […]”. E poi: “Il Petrarca vede una Italia liberata pacifica riunita”.
E conclude: “E noi, o padre nostro glorioso, ti ringraziamo riverenti e superbi che tu nobilitassi di sì alti sensi si presto la nostra lingua. Dormi, dormi, o poeta, in questo lembo della sacra penisola dove le memorie antichissime si congiungono alle glorie nuove […], qui, dove fuggendo lo strepito delle corti amasti passare gli anni della bene spesa tua vita fra il popolo […] qui, fra questi colli miti e sereni e pure alti, come la tua poesia, come l’anima tua, altri posteri verranno in altri tempi a onorare il tuo nome e la tua tomba….la tua Italia, O Francesco Petrarca, promovendo difendendo estendendo in tutto e per tutto la libertà, si farà sempre più degna di te e de’ suoi grandi maggiori”.
Anna Storti Abate nel suo articolo “Carducci e l’identità nazionale”(Transalpina, 10, 2007)scrive: “L’attività didattica, politica, saggistica e soprattutto poetica del Carducci nell’ultimo ventennio dell’Ottocento fu tutta orientata alla individualizzazione e celebrazione di alcuni ‘miti e riti identitari’ con feste, celebrazioni dei fasti della monarchia sabauda, statue, monumenti, intitolazione di strade e piazze della storia passata e di tutto ciò che poteva costruire una memoria collettiva per creare una nuova nazione. Educare il popolo italiano a riconoscere la propria identità e ad andare fiero per creare un sentimento di identità comune di cui gli italiani apparivano carenti e a inventare una tradizione per la neo-nata nazione …..e individuare tratti costruttivi dell’italianità.” Fu la riflessione di alcuni aspetti della situazione del paese a convincere il Carducci a rinunciare alle polemiche e alla faziosità per impegnarsi dopo il completamento dell’unificazione politica del paese nella costruzione di un’altra unità quella morale, civile, culturale, ideale della nazione”.
“Al discorso era presente Aleardi – scriveva il Carducci a Lidia – e dopo il discorso mio era impensierito, e se ne tornò subito a Padova e stette in casa tutta la sera, per corregger e aggiungere e mettere frange e rosettine al discorso che avrebbe fatto il giorno dopo”.
E queste confidenze il Carducci le fece solo a Lidia definita “splendor de’ miei occhi, sorriso febeo della mia fronte, armonia virile della mia voce” (lettera del 24 luglio 1874),ma non le fa all’amico Antonio Resta4 quando scrive nella lettera del 20 luglio da Padovail resoconto del discorsodicendo “vedersi applaudito cordialmente, e almeno per un po’ di tempo, sentirsi amato da’ suoi concittadini fa bene al cuore. E se va dall’Elvira (Elvira Menicucci, moglie del Carducci dal 1859, nata il 1835 e morta nel 1915, ndr) – o Resta! Le dia parte de’ miei successi ad Arquà; perché mi secca scriveva alla moglie di ricantare le mie lodi”.
E come dice Aliprandi: “un pizzico di vanità c’è pur sempre in Carducci […], come quando egli riferisce a Lidia il 21 luglio: “parlai per un’ora e dieci minuti: da principio applaudivano a certi pezzi, poi non osarono ne’ meno applaudir più, tanto seguivano con attenzione ansiosa il discorso”.
Ma come dice Aliprandi: “I consensi e le adulazioni non avevano ammansito il repubblicano che disertò i pranzi officiali per sfuggire i brindisi a Sua Maestà, smentendo il ‘Giornale di Padova’. che aveva fatto presenti l’Aleardi e il Carducci al pranzo d’onore con relativi incensamenti ai sovrani […]. Inoltre dopo la cerimonia il poeta lascia i corteggiatori per indugiare più proficuamente nelle sale dell’Esposizione dei Codici e delle edizioni petrarchesche […]. Fu un discorso con momenti rievocanti la vita e le opere del Petrarca, andando dalla nostalgia lontana per la terra italica, ai versi con la “menzione del lauro “ che avrebbe incoronato in Campidoglio l’esule dell’Italia, ai versi del Petrarca ‘per pinger Laura’.
Giuseppe Aliprandi dice che fu un discorso sbalorditivo e il ‘Corriere Veneto’ di stampo ebraico-cattolico scriveva: “Restammo muti di meraviglia”. Ancora l’Aliprandi riporta: “Il Giornale di Padova nel fare il resoconto della cerimonia esordiva definendo il discorso ‘meraviglioso, grande […], a volte il poeta spiccava sull’oratore, l’oratore sul poeta: rare volte, forse mai abbiamo udito svolgere il concetto politico del Petrarca con tanta potenza analitica, con tanta nobiltà e verità di pensieri, con sì varia e appropriata venustà di forme”.
NOTE
1Giosuè Alessandro Michele Carducci nacque a Valdicastello, frazione di Pietrasanta, provincia di Lucca, il 27 luglio 1835, e morì a Bologna il 16 febbraio 1907; la frazione, con decreto del Presidente della Repubblica del 1950 ha adottato il nome di Valdicastello Carducci). Si laureò in lettere all’Università di Pisa. Nel 1860 Terenzio Mamiani, ministro della Pubblica Istruzione lo nominò professore di Letteratura Italiana all’Università di Bologna, tenendo l’insegnamento fino al 1904, quando lo lasciò per motivi di salute. Nel 1906 ricevette il premio Nobel.
2 Aleardo Aleardi, nato Gaetano Maria Aleardi, nacque a Verona il 1812 e morì nella stessa città veneta il 17 luglio 1878. Poeta e politico italiano, appartenente alla corrente del Romanticismo. Studiò e si laureò a Padova in Giurisprudenza e successivamente in Lettere e Filosofia presso la stessa Università. Gli fu offerta la cattedra di Letteratura Italiana presso l’Accademia di Brera, ma per uno strano timore a parlare in pubblico e per un senso di scoraggiamento e di sfiducia rinunciò. Diventò deputato, presidente dell’ateneo bresciano e dopo varie vicissitudini anche politiche, nel 1864 si trasferì a Firenze ed accettò la cattedra di Estetica all’Istituto di Belle Arti, che tiene fino alla sua morte. In questo ultimo periodo della sua vita ricevette onori, fu eletto senatore nel 1873 e tenne conferenze e discorsi che gli resero plausi e consensi.
3Nel 1349 il Petracca aveva accettato l’invito di Jacopo II da Carrara, signore di Padova, e del vescovo Ildebrandino Conti, suo amico, e il sabato 18 aprile con rito solenne veniva conferito a Petrarca il titolo di canonico del Capitolo della Cattedrale nel titolo di S. Giacomo. Questa carica l’autore del “Canzoniere” poté ricoprirla, non comportava oneri particolari e nel contempo assicurava al Petrarca una rendita di duecento ducati d’oro e la disponibilità di una casa vicina alla Cattedrale.
4Antonio Resta, nato a Imola nel 1845 e morto nel 1920 a Bologna, dove esercitava la sua professione; era amico intimo di Carducci. Facendo più volte da tramite tra l’editore Galeati e il poeta per la pubblicazione delle “Nuove Poesie”, entrò in possesso di molti autografi e stampati carducciani i quali al momento della sua morte vennero donati a Casa Carducci secondo la sua volontà testamentaria. Casa Carducci è un edificio storico chiamato Carducci perché il poeta trascorse gli ultimi 17 anni della sua vita; è stata innalzata a monumento nazionale da Margherita di Savoia. Oggi è sede di un Istituto culturale che cura e promuove la conservazione, lo studio dell’archivio letterario dello scrittore.
Bibliografia
G. Aliprandi, Il Carducci a Padova. Padova, rassegna mensile a cura della “Pro Padova”, gennaio 1957, pp. 18-24;
M. Pazzaglia, Gli Autori della Letteratura Italiana, Bologna, Zanichelli ed. 2a edizione, 1971, Giosuè Carducci, pp. 713-770;
Presso la tomba di Francesco Petrarca in Arquà, il XVIII luglio MDCCCLXXIV, Discorso di Giosuè Carducci, in Livorno, dalla Tipografia di Franc. Vigo, 1874;
A. Storti Abate, Carducci e l’identità nazionale, in “Transalpina” (online), X, 2007. pp 37-50;
www.bibliotecasalaborsa.it, Severino Ferrari;
www.treccani.it, enciclopedia, Aleardi Aleardo, vol. 2, 1960 .