Manco p’a capa 209. Aeroporto Malpensa, ovvero il marchio degli italiani

di Ferdinando Boero

La nostra reputazione è quello che gli altri dicono di noi. Chi ha una cattiva reputazione viene trattato con circospezione. Magari è un violento, truffatore, molestatore, disonesto, corrotto e corruttore, ma se ha una qualche “potenza” (tipo: un sacco di soldi) è meno vulnerabile alle critiche. I suoi familiari e i suoi amici, visto che dispensa favori, lo “vedono bene” e sorvolano sui suoi comportamenti: elargendo benefici, “compra” il consenso. Nell’era berlusconiana la mia reputazione è stata compromessa, nei miei viaggi all’estero, a causa di Berlusconi, al quale, in quanto italiano, venivo omologato: corna in foto ufficiali, il bunga bunga, la definizione di Merkel e Bindi, la nipote di Mubarak, le “femmine” introdotte in politica dopo le cene eleganti di cui parlò anche la moglie del “drago”, a cui si davano in pasto le vergini. Forse non erano proprio vergini, ma l’harem di Olgettine lo aveva. I colleghi stranieri mi chiedevano se fosse tutto vero. Come era possibile che gli elettori sputtanassero il loro paese scegliendo un tipo così? E poi le condanne, le leggi ad personam, le prescrizioni a seguito di leggi su misura, i condannati al suo posto, tipo Previti e Dell’Utri. La P2. La televisione spazzatura, tette e culi, e vagonate di calcio, con pullman di troie in dono ai giocatori vittoriosi. E poi plastiche facciali, capelli finti, il gesto del mitra a chi fa una domanda scomoda all’amico Putin, che gli ha regalato un lettone. Non un abitante della Lettonia, proprio un grosso letto, su cui ospitare il contenuto dei pullman da mandare ai giocatori.

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