Nessuna macchina potrà mai sostituire la sensibilità dell’insegnante

Si potrebbe obiettare che se non lo ha ancora fatto, con molta probabilità la tecnologia riuscirà ad inventare un marchingegno che insegni a pensare. E’ probabile. La tecnologia avrà sviluppi che forse non riusciamo nemmeno a immaginare. Ma non si può fare a meno di chiedersi quale sarà il modo in cui insegnerà a pensare. Magari insegnerà a pensare in un modo per tutti uguale, con un pensiero dalla struttura omogenea, compatta, conforme, un pensiero che non dialoga, non interagisce, non si confronta. Magari insegnerà a pensare senza commettere errori. Con un pensiero perfetto. Che progetterà opere d’arte perfette, edifici perfetti, romanzi perfetti. Ma non è di un pensiero perfetto che ha bisogno una civiltà. Il pensiero di cui ha bisogno una civiltà è quello imperfetto che tende continuamente alla perfezione con la consapevolezza che la perfezione non potrà raggiungerla mai. La civiltà ha bisogno di persone con  un pensiero originale. La formazione di un pensiero originale comincia con un maestro elementare; anzi, con una maestra della scuola dell’infanzia. Perché è a quell’età che la mente comincia a strutturarsi, a confrontarsi con le forme del reale e dell’immaginario, a elaborare le visioni del mondo, a distinguere il falso dal vero, a intravedere le direzioni verso le quali orientarsi, a comprendere che le strade sono tante, e che ci sono strade giuste e strade sbagliate. Allora ci vuole un maestro. Non c’è mai stato un tempo nel quale non sia esistito qualcuno che abbia insegnato qualcosa a qualcun altro. Neppure nelle caverne più profonde. Qualcuno ha insegnato a qualcun altro a cacciare, a non avvicinarsi troppo al fuoco, a nuotare, a costruire palafitte, a tracciare segni sulle pareti, a contare. L’apprendimento dell’essenziale si realizza solo con un maestro. Rinunciare alla sua presenza fisica  vuol dire rinunciare alla condizione della prossimità, della reciprocità, sostituire l’apprendimento con l’addestramento.

Il maestro è colui che traccia sentieri attraverso i quali passano le forme e i contenuti del  sapere che caratterizzano le discipline. Lo fa gradualmente, tenendo presente che ogni mente ha una propria conformazione, una propria modalità di accoglienza delle conoscenze. Non saprei dire se una macchina, per quanto “intelligente” possa essere, è o sarà in grado di regolare l’insegnamento in relazione a quelli che sono gli stili  di apprendimento di ciascuno. Non saprei dirlo ma sospetto che non possa avere una competenza di questo genere. Poi  c’è qualcosa di imprescindibile che una macchina non potrà avere mai: la sensibilità di un maestro nei confronti dei suoi allievi. La sensibilità che ti fa capire con uno sguardo se un bambino ha compreso oppure no. Ecco, uno sguardo di sensibilità un robot non potrà mai averlo.  

 [“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 30 giugno 2024]

 

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