L’autonomia differenziata non fa i conti con il bilancio dello Stato

di Guglielmo Forges Davanzati

Il Governo Meloni, nel dicembre scorso, ha approvato la revisione del Patto di stabilità e crescita europeo che dispone interventi di riduzione del rapporto debito pubblico/Pil, in particolare per quei Paesi, come l’Italia, con elevato debito pubblico. Il nuovo articolo 81 della Costituzione obbliga al pareggio di bilancio, tenendo conto del ciclo economico. Il combinato di questi due vincoli rende problematico il finanziamento sia dei livelli essenziali delle prestazioni, sia di meccanismi perequativi che garantiscano alle Regioni meridionali servizi di welfare di qualità almeno non peggiore di quella attuale, in considerazione del fatto che obbliga a riduzioni della spesa pubblica, soprattutto alla conclusione del PNRR. Ci si riferisce, in particolare, al servizio sanitario: ambito per il quale le divergenze regionali sono, ad oggi, le più elevate. Si stima che l’aggiustamento fiscale da realizzare nel periodo 2025-2028 sarà più severo di quello, giù molto intenso, del massimo periodo di austerità recentemente sperimentato in Italia, ovvero dal 2011 al 2014. Se si adotta una prospettiva di analisi di medio-lungo termine, si realizza che la fase post-PNRR, combinata con il ritorno dell’austerità, potrebbe essere estremamente complicata per il Mezzogiorno e per l’economia italiana nel suo complesso, per due ragioni: in primo luogo, occorre considerare che la recente crescita realizzata dalle Regioni meridionali è imputata quasi esclusivamente agli investimenti pubblici, come documentato nell’ultimo Rapporto SVIMEZ; in secondo luogo, occorre ricordare che, storicamente, le fasi di austerità hanno coinciso o con l’affermarsi del populismo o con il fascismo.

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