di Antonio Lucio Giannone
Non ricordo con esattezza quando ho conosciuto Vicente González Martín. Probabilmente sarà stato in occasione di qualche Convegno in Italia negli anni Novanta del secolo scorso o nei primi anni Duemila. Conoscevo benissimo i suoi interessi relativi ai rapporti tra la letteratura italiana e quella spagnola, e gli studi, numerosi e importanti, su Miguel de Unamuno. Anch’io da molti anni mi occupavo di uno scrittore, Vittorio Bodini, che non è stato soltanto uno dei maggiori ispanisti del Novecento, studioso e traduttore impareggiabile di alcuni classici, antichi e moderni, della letteratura spagnola, dal Don Chisciotte di Cervantes a Quevedo, Góngora, Calderón fino al Novecento (García Lorca, Rafael Alberti, Juan Larrea, Pedro Salinas e altri), ma è stato anche lo scrittore italiano contemporaneo che più ha risentito dell’influenza della Spagna, della cultura, della letteratura spagnola sulla sua stessa opera creativa, in versi e in prosa. In particolare, è stato un grande interprete dell’anima spagnola e colui che più di ogni altro ha intuito un profondo legame esistente tra la Spagna e l’Italia, e in particolare con il Sud d’Italia, la sua terra.
Nel 1989 avevo raccolto i suoi reportage dalla Spagna e le prose di argomento spagnolo in un volume intitolato Corriere spagnolo (1949-1954), di cui avevo curato una seconda edizione, ampliata, nel 2013 con le Edizioni Besa di Nardò nella collana “Bodiniana”, da me diretta. In questi scritti egli conduce un’esplorazione della Spagna partendo dalle manifestazioni più tipiche del folclore, del “colore locale” spagnolo: il capodanno a Puerta del Sol, il flamenco, la corrida, i serenos, il combattimento dei galli, le processioni della Settimana santa, le rappresentazioni del Don Juan di Zorilla, il cognac di Jérez. Ma tutte queste manifestazioni, che per tanti altri cronisti erano solo il pretesto per brillanti ma superficiali pezzi di colore, gli servono per conoscere meglio il paese visitato, la realtà più profonda e segreta della Spagna, la cosiddetta «Spagna nera», come lui stesso scrive in un articolo su Lazarillo de Tormes, riprendendo un’espressione di Lorca. A Bodini cioè non interessa la Spagna visibile, ma quella “invisibile”, la sua dimensione stregonica e metafisica. E la guida ideale in questa ricognizione della realtà profonda del paese visitato è proprio Lorca, che gli insegna a scavare nell’ «inconscio collettivo» del popolo iberico, a cogliere le «radici della terra e del sangue».