Noterellando… Costume e malcostume 15. Il bisogno del sogno

Certo, non possiamo pensare che i nostri sogni si avverino miracolosamente da sé. I sogni vanno accarezzati e guidati: nei sogni c’è l’idea e la speranza, le quali devono essere necessariamente confortate dalle nostre azioni, anche piccole purché utili, che spesso possono risultare decisive: senza, quindi, abbandonarsi a sognare ad occhi aperti, ma alimentandosi di un sogno ‘possibile’, per quanto all’apparenza irrealizzabile o inverosimile.

A ben riflettere, la storia dell’uomo, e il suo progresso civile, sono ricchissimi di sogni emblematici.

Non era un sogno quello di Galileo Galilei di portare lo sguardo fin dentro il cuore dei cieli? E non si è poi realizzato – con la prima macchina volante dei fratelli Wright – il sogno (che fu anche di Leonardo da Vinci) di volare come gli uccelli? E, arrivando quasi ai giorni nostri, non era un sogno romantico e irrealizzabile (salvo che per i poeti e gli innamorati) quello di raggiungere la luna?

È evidente che i sogni non riguardano solo, come negli esempi già fatti, il progresso scientifico (per quanto esso si riverberi poi ampiamente nella vita dell’uomo comune), ma tutta la nostra sfera vitale, emozionale, sociale.

Pensiamo per un momento ai sogni dei grandi musicisti come Bach o Beethoven o Mozart. Ai grandi esploratori e navigatori come Marco Polo o Cristoforo Colombo e fino ai grandi poeti e scrittori: Omero, che ha sognato e ci ha fatto sognare tutta la storia della guerra di Troia e di Ulisse; al nostro Dante, che continua a partecipare alle nuove generazioni il suo straordinario viaggio nell’Inferno, nel Purgatorio, nel Paradiso; o a Miguel de Cervantes, creatore di Don Chisciotte, il cavaliere-sognatore per eccellenza.

Ma anche a Federico Fellini. E a Charlie Chaplin. E a tutti i grandi registi, attori e sceneggiatori del cinema o del teatro.

*  *  *

Per tornare un po’ più con i piedi per terra, diamo uno sguardo anche alle grandi imprese concrete. In simili occasioni, il pensiero mi corre sempre ad un sogno, che fin da ragazzo mi ha sempre lasciato ammirato.  Al sogno che aveva il tenace e irriducibile artigiano Giovanni Borghi, fabbricante di fornelli elettrici in una piccola officina al centro di Milano, trasferitosi poi a Varese nel periodo della seconda guerra mondiale, dopo che i bombardamenti avevano semidistrutto il suo laboratorio, mettendolo quasi in ginocchio.

Ma era coraggioso e determinato, quell’artigiano. Qualche piccola risorsa economica ce l’aveva ancora, e con un po’ di prestiti, poteva sognare di mettere in piedi una nuova piccola fabbrica, magari un po’ più grande di quella distrutta, che con la forza del lavoro, delle idee, e della volontà poteva perfino diventare grandissima. Tornò così ad accarezzare il suo sogno impossibile, creando una fabbrica di elettrodomestici a tutto campo: non solo fornelli, ma anche frigoriferi e lavatrici, poi anche televisori…

Nasce così, fra gli anni Cinquanta e Sessanta (quelli del cosiddetto “miracolo economico italiano”), la Ignis, che in pochi anni diventerà un’industria di livello mondiale, nel settore la più grande in Europa, raggiungendo una forza lavoro di diecimila operai, esportazioni in ottanta Paesi, fatturato annuo di quaranta miliardi di lire.

Generoso e attivissimo fino ai suoi ultimi giorni, il Cumenda (Commendatore), come lo chiamavano rispettosamente e confidenzialmente i suoi dipendenti, ebbe anche la laurea honoris causa in Ingegneria. La sua storia è stata raccontata nel 2014 anche in una fiction televisiva: Mister Ignis-L’operaio che fondò un impero.

Sognare, dunque.

Guardare avanti. Oltre. Con la volontà, il desiderio, la tenacia di arrivare.

Il sogno è energia. Come – meglio e più di tutti – ci ha insegnato Martin Luther King con il suo invincibile «I have a dream».

[“Il Galatino” anno XLVIII n. 10 del 29 maggio 2015]

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